Ieri un tribunale del Cairo ha messo al bando l'organizzazione Fratelli
Musulmani: proprietà sequestrate, sedi chiuse, attività vietate. Oggi è
giunta la prima risposta dei sostenitori islamisti del deposto
presidente Morsi - tuttora agli arresti - di fronte alla sede delle
Nazioni Unite nella capitale. Ad organizzare la manifestazione è stata
l'Alleanza Nazionale per il Sostegno della Legittimità.
Intanto, però, alla base c'è chi si muove in direzioni alternative, contro la Fratellanza e contro l'esercito. È nato oggi un nuovo gruppo, Revolution Path Front,
formato da attivisti con l'obiettivo di tornare ai principi originari e
scatenanti la rivoluzione del 25 gennaio 2011: "Pane, libertà e
giustizia sociale". Oggi a mezzogiorno la campagna verrà
ufficialmente lanciata, come riporta la pagina Facebook del nuovo
movimento. L'obiettivo, "ridistribuire le ricchezze tra le classi povere
egiziane", sfidando le politiche perpetrate prima dai Fratelli
Musulmani e ora dal nuovo governo che, secondo Revolution Path Front, non ha ancora adottato alcuna misura in merito.
"Siamo un gruppo alternativo che combatterà contro l'oppressione
militare e contro la violenza e il settarismo dei Fratelli Musulmani,
per tornare alla rivoluzione del 25 gennaio", spiegano gli attivisti. Hatem Tallima, portavoce del Revolution Path Front,
si dice ottimista: il movimento "saprà rappresentare la voce collettiva
di chi sostiene tali idee di giustizia sociale. Seppure, so che il
numero di persone che credono in questi principi per ora è limitato".
E punta il dito contro la Fratellanza, che tradendo lo spirito
rivoluzionario egiziano ha tolto ogni speranza ai manifestanti, ormai
convinti di non poter ottenere nulla se non "uno Stato autoritario":
"La nomina di 17 governatori provenienti dall'esercito, la
reintroduzione di personaggi legati a Mubarak nelle istituzioni statali e
il modo in cui le assemblee costituenti sono state formate - spiega
Tallima - fanno capire che l'Egitto non sta camminando nel giusto
sentiero".
Dal gennaio 2011, l'Egitto ha visto alternarsi governi di natura
diversa, da quello militare a quello islamista, senza però assistere ad
un miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione,
che spinsero il popolo egiziano in piazza contro il regime di Mubarak. Il
tasso di disoccupazione si attesta ancora intorno al 13%, mentre la
Banca Mondiale calcola che un quinto della popolazione viva sotto la
soglia di povertà.
A peggiorare una situazione critica è stato anche il governo Morsi che ha optato per politiche di libero mercato, attraverso la
ristrutturazione del sistema economico (volta ad attrarre il prestito
da quasi 5 miliardi di dollari dell'FMI) i tagli alla spesa pubblica e
la spinta verso una maggiore privatizzazione del settore produttivo.
Una serie di politiche che hanno provocato la reazione delle classi
lavoratrici, che nell'anno di governo islamista, hanno organizzato
manifestazioni per chiedere migliori condizioni salariali, incentivi
alle aziende in procinto di chiudere i battenti, nuove opportunità di
lavoro. Secondo i dati pubblicati dal Centro Egiziano per gli Studi
Economici e Sociali, nel 2012 si sono tenuti 3.187 scioperi, 2.400 le proteste da gennaio a maggio 2013.
La risposta dell'esecutivo è stata la repressione, scelta pagata a duro
prezzo. Ora la palla passa al nuovo governo, figlio di un golpe
militare, gestito da quell'esercito che da anni possiede e controlla
gran parte dell'economia egiziana.
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