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20/03/2015

Egitto - Il nuovo regime è il vecchio regime

L’Egitto impegnato a incarcerare attivisti e condannare a morte Fratelli Musulmani si scopre invece magnanimo con i vecchi uomini di Mubarak che, dopo aver depredato le casse dello Stato per anni e contribuito a portare il paese sull’orlo della bancarotta, hanno anche soffocato nel sangue le manifestazioni scoppiate soprattutto a causa della tragica situazione socio-economica in cui versava il paese. Habib el-Adly, ex ministro degli Interni di Mubarak, è stato assolto ieri dal tribunale di Giza da tutte le accuse di corruzione che pendevano su di lui: secondo i pm avrebbe ammassato illegalmente oltre 25 milioni di dollari durante il suo ufficio.
 
Il mese scorso una corte d’appello egiziana aveva ribaltato la condanna – sospesa – a cinque anni di Adly e dell’ex premier Ahmed Nazif per altre accuse di corruzione. L’ex ministro dell’Interno, inoltre, era stato prosciolto lo scorso novembre dalle accuse di omicidio, che gli erano valse l’ergastolo in primo grado, assieme all’ex presidente Hosni Mubarak. Nei 18 giorni di rivolta contro il rais, infatti, furono 800 le persone uccise e fu proprio il titolare degli Interni ad autorizzare la repressione dei manifestanti. Secondo la Corte d’Assise del Cairo, Mubarak non doveva essere processato quindi “non sarà né assolto né condannato”. Il rais è stato scagionato anche dalle accuse di corruzione relative all’export di gas verso Israele.

Tra le priorità del nuovo Egitto, guidato da una cordata di militari capeggiati da Abdel Fattah al-Sisi, c’è la “lotta al terrorismo”, una vaga definizione con cui il governo sembra identificare chiunque si opponga al regime restaurato. Dopo aver rovesciato il presidente [il primo della storia egiziana eletto secondo regole democratiche, ndr] Mohamed Morsi con un golpe nel luglio del 2013, il nuovo capo dello Stato al-Sisi si è impegnato a reprimere qualsiasi forma di dissenso, promulgando leggi come il divieto di manifestazioni non autorizzate, che hanno riempito le carceri egiziane di attivisti sia islamisti che laici. La messa al bando della Fratellanza, dichiarata organizzazione terroristica nell’ottobre 2013, ha quindi dato il via ufficiale alla condanna a morte di centinaia di dimostranti islamisti, scontratisi con le forze dell’ordine per manifestare contro il colpo di stato ai danni del loro leader eletto durante il sanguinoso mese di agosto del 2013.

In quest’ottica si deve leggere la sentenza di qualche giorno fa del tribunale di Giza, che ha condannato alla pena di morte la Guida suprema della Fratellanza Musulmana, Mohammed Badi’, e altri 13 membri del movimento islamico per aver causato – si legge nella sentenza – “caos e attacchi contro la polizia e le istituzioni di stato”. Accuse simili, seppur la condanna sia molto più leggera, sono state pronunciate contro Alaa Abdel Fattah, blogger e attivista diventato uno dei leader della sollevazione popolare contro Mubarak del 2011. Nel 2013 era sceso in piazza assieme ad altri attivisti, nonostante i divieti, e questo gli è costato l’accusa di organizzazione di una protesta illegale e di aggressione a un poliziotto. È finito alla sbarra assieme ai suoi compagni, ai quali sono state inflitte pena dai tre ai cinque anni.

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