Sono giorni cruciali nella trattativa sul programma nucleare iraniano
in corso nella città svizzera di Losanna tra Teheran e i cosiddetti
Paesi del 5+1 (Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito, Russia,
Germania), sotto l’egida dell’Unione europea.
Se si rispetterà la tabella di marcia, entro la fine del mese
si dovrebbe giungere a un accordo quadro che detti le linee guida per
un’intesa definitiva entro la fine di luglio, con l’obiettivo di
garantire che l’Iran non si doterà dell’atomica in cambio della revoca
delle sanzioni.
Il cammino del negoziato, però, è ancora in salita. Se dalla Repubblica islamica trapela un certo ottimismo, con Ali Akbar Salehi, a capo dell’agenzia atomica iraniana, che ieri
ha dichiarato che è stata raggiunta un’intesa “sul 90 per cento” dei
punti in discussione, ammettendo però che restano da sciogliere nodi
fondamentali, dagli Stati Unita, invece, arrivano gli strali dei repubblicani che dominano il Congresso.
Per il presidente Barack Obama, democratico, l’intesa con l’Iran
sarebbe un grosso successo diplomatico, ma l’opposizione gli sta
mettendo i bastoni tra le ruote.
La scorsa settimana un gruppo di 47 senatori repubblicani ha
scritto una lettera aperta alla leadership iraniana spiegando che il
Congresso potrebbe modificare l’accordo e che il prossimo presidente
potrebbe persino stracciarlo. Un’iniziativa insolita a cui si aggiunge
un progetto di legge che obbligherebbe Obama a sottoporre al voto del
Congresso l’intesa. Problemi interni che la Repubblica islamica non ha, ha commentato il presidente del Parlamento Ali Larijani, spiegando che se l’Ayatollah Ali Khamenei
approva l’accordo, nessuno si opporrà. Per l’Iran, che ha sempre negato
di usare il proprio programma nucleare a scopi militari, sarebbe una
boccata d’aria: le sanzioni soffocano la sua economia, anche se, fanno
notare i detrattori del negoziato, non hanno impedito a Teheran di
dotarsi di uranio arricchito negli ultimi anni. L’opposizione
più strenua arriva da Israele, dotato di armi nucleari, che non concede
alcun credito ai nemici iraniani e nega ogni possibilità di negoziato
che preveda un alleggerimento delle sanzioni. Una linea che certamente
resterà invariata dopo la conferma alle urne del premier Benjamin
Netanyahu, appena uscito vincitore dalle elezioni anticipate anche grazie
a una campagna elettorale incentrata sulla sicurezza.
A Losanna i colloqui tra Iran e i Paesi dei 5+1 procedono a ritmo serrato. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, meno ottimista di Salehi, ha parlato di “duro lavoro” diplomatico.
È possibile che l’intesa slitti a causa dei festeggiamenti per il
Nowruz, il capodanno persiano che cade il 21 marzo, ma questo per molti
analisti dovrebbe essere l’ultimo round del negoziato iniziato nel 2013.
Le pressioni su Obama e sul presidente iraniano Rouhani non lasciano
molto tempo a ulteriori rinvii, secondo alcuni. Restano però diversi
nodi da sciogliere, dettagli tecnici che l’Iran vorrebbe definire
contestualmente all’accordo quadro.
Prima di tutto la durata dell’accordo. Secondo la Casa Binaca, l’Iran dovrebbe accettare limitazioni al suo programma nucleare almeno per i prossimi dieci anni,
un periodo di tempo che si pone a metà strada tra i venti anni
inizialmente ipotizzati da Washington e gli otto proposti da Teheran.
Inoltre, la riduzione del programma nucleare iraniano servirà
a garantire che la Repubblica islamica non sia in grado di produrre una
bomba atomica in meno di un anno, in caso decidesse di disattendere gli
accordi. È il cosiddetto break-out time.
Altra questione cruciale sul tavolo è quella del numero e del
tipo di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio (utile alla
produzione di armamenti) che l’Iran potrebbe mantenere in funzione.
Quelle operative erano 10mila su 20mila totali. Gli Stati Uniti e le
altre potenze del 5+1 vorrebbero una riduzione ad alcune centinaia, ma
sarebbero disposti a trattare su 6.500, mentre Teheran punta a tenerne attive circa 9.000. La questione non è stata risolta e resta aperta anche quella del destino del reattore ad acqua pesante di Arak e di quello del sito sotterraneo di Fordow.
Altro punto saliente del negoziato è quello riguardante la ricerca e
lo sviluppo nel settore centrifughe, che l’Iran vuole mantenere. Per i
5+1, invece, c’è il rischio che lo sviluppo di tecnologie più efficienti
riduca il break-out time.
Infine, la questione delle sanzioni, di come e
quando alleggerirle o eliminarle. Ovviamente l’Iran preme per la fine
immediata, ma Washington ha sempre parlato di passaggi graduali: prima
la sospensione e poi l’eliminazione. Inoltre, la questione è anche
interna agli Usa, dove i repubblicani hanno minacciato nuove
sanzioni contro l’Iran, a dispetto delle esortazioni di Obama che ha
agitato il suo potere di veto. Il presidente dovrà imporre la sua
autorità, ma alcune misure possono essere sospese soltanto dal Congresso
e, inoltre, i repubblicani si stanno dando da fare per raccogliere una
maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere, con intese con i
democratici “ribelli”, per scavalcare il veto presidenziale.
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