Dopo la puntata di sabato scorso del programma “Scala Mercalli” in onda su Rai Tre, pubblichiamo la recensione del libro di Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers, William W. Behrens III
I limiti dello sviluppo, tradotto così in italiano invece de “I limiti della crescita”
Rapporto del
System Dynamic Group Massachusetts Intitute of Technology (MIT) per il
progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità – Mondadori, 1972.
Nonostante siano passati oltre 40 anni
dalla sua pubblicazione, I limiti dello sviluppo è sicuramente ancora
oggi una lettura interessante. Questo breve testo fu originariamente
commissionato nel 1970 dal Club di Roma ad un gruppo di studiosi del
Mit, il System Dynamic Group. Due anni dopo furono pubblicati I limiti
dello sviluppo, un rapporto generale che compendiava le ricerche svolte e
riassumeva i risultati ottenuti dal gruppo: l’intento dello studio era
quello di intraprendere un’analisi per “definire chiaramente i limiti
fisici e le costrizioni relative alla moltiplicazione del genere umano
ed alle sue attività materiali sul nostro pianeta”. Per compiere questo
immenso lavoro il System Dynamic Group isolò 5 questioni generali:
aumento della popolazione, disponibilità di cibo, consumo di materie
prime, sviluppo industriale e inquinamento.
Dopo la formazione di gruppi di studio
dedicati ad ogni particolare problema, queste 5 questioni furono
interrelate strettamente fra loro e l’analisi completa di ognuna di esse
mise in luce in che modo ognuna dovesse necessariamente essere
considerata come parte di un’unica macro-questione. Il sistema
attraverso cui furono interrelate queste questioni fu il linguaggio di
simulazione World 3 inventato dall’informatico Jay Forrester.
Lo stesso Forrester, oltre ad essere
docente al Mit fu anche il fondatore della Dinamica dei sistemi – da cui
il nome stesso del gruppo di lavoro del Mit – e docente di Donella e
Dennis Meadows. Come noto, i dati allora disponibili furono introdotti
in un calcolatore che fornì una serie di 12 scenari basati sulle
tendenze allora in atto: si trattò del primo caso di elaborazione
tramite un modello formale che riuscisse ad essere effettivamente
globale per gli scopi che si prefiggeva: fornire una completa
simulazione per la dinamica complessiva del sistema mondo considerato
nelle 5 componenti suddette. I risultati raggiunti ne I limiti dello
sviluppo furono una serie di scenari che indicavano un collasso dello
sviluppo durante il corso del XXI° secolo. Questo collasso implicava
sempre un calo della popolazione, del prodotto industriale procapite, e
delle rese agricole: questo calo era più o meno brutale in funzione di
determinate ipotesi sulle capacità di controllo del tasso di natalità,
sulla possibilità di aumentare la resa dei terreni agricoli e
sull’impiego dell’energia nucleare. In quasi ogni caso – 9 su 12 – il
risultato finale dei modelli è comunque il collasso. Questi scenari però
avevano una loro consistenza sulla base di un presupposto tacito
(esplicitato a pg 117): popolazione e capitale devono essere lasciati
crescere liberamente fino al raggiungimento di un qualche “limite
naturale”, devono cioè “cercarsi il proprio livello”, senza che vi sia
l’interferenza di un’azione che sia intesa a frenarne o modificarne
l’ascesa. Date queste condizioni iniziali non è però possibile trovare
uno sbocco per le dinamiche studiate che non sfoci in un collasso
globale.
Quest’ultimo è evitabile soltanto
legando strettamente alcuni indici, come quello di natalità e quello di
investimento a dei “controindici” che modifichino sostanzialmente lo
sviluppo futuro della società globale, spingendo il mondo verso uno
stato di equilibrio.
Questa possibilità è indagata nel sesto
ed ultimo capitolo del libro, in cui vengono avanzate delle interessanti
riflessioni sul rapporto tra un’ipotetica società in equilibrio e la
possibilità di produrre innovazione e di evitare la stagnazione. In ogni
caso è da tener presente che questo equilibrio richiede un impegno
politico immenso: nelle pagine conclusive de I limiti dello sviluppo le
condizioni poste come necessarie per il raggiungimento dello stato
stazionario sono piuttosto stringenti ed in ogni caso relative ad anni
compresi tra il 1975 ed il 2000. Nell’ultimo caso analizzato nel libro,
quello relativo all’anno 2000, le ipotesi utilizzate per ottenere uno
stato stazionario non riescono ad invertire il collasso: i giusti
provvedimenti presi troppo tardi non riescono a frenare la caduta della
produzione alimentare e industriale procapite, anche se adottati
integralmente. Tutti questi scenari, che sono stati per lungo tempo
aspramente avversati insieme al lavoro complessivo del Club di Roma
dovrebbero oggi permettere di osservare alcuni fatti in un’ottica
diversa, in un momento in cui sono (quasi) cessate le voci di una
imminente uscita dalla crisi.
Un passo ulteriore sarà l’aperta e
pubblica ammissione che questa crisi è dovuta anche al raggiungimento
dei limiti fisici toccata da quella dinamica complessiva che il Club di
Roma aveva a suo tempo indicato come fondamentale. Da segnalare infine
anche l’introduzione scritta da Aurelio Peccei, figura poliedrica di
dirigente d’azienda, partigiano nelle file di Libertà e Giustizia,
saggista e filantropo, che del Club di Roma fu l’ispiratore e la guida
fino alla morte, avvenuta nel 1984.
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