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24/04/2015

Genesi del giustizialismo di sinistra

Per tutti gli anni cinquanta e sessanta (per non dire prima) a sinistra era coltivata una fiera diffidenza nei confronti della magistratura: Togliatti, una volta, si lasciò andare a dire che un giudice era più pericoloso di un generale e, quando la stampa di destra attaccava un dirigente comunista, accusandolo di una qualche nefandezza, il Pci suggeriva sempre di ignorare sprezzantemente la cosa, senza dare querela, nella convinzione che il magistrato di turno avrebbe usato il caso solo per screditare ancor più il suo dirigente.

Le pagine dell’Unità e di Paese Sera erano zeppe di articoli che denunciavano le parzialità di una magistratura sempre di mano pesante con braccianti ed operai, sindacalisti ed esponenti di sinistra ed, al contrario, sempre tenera e comprensiva con padroni, questurini e politici corrotti.

A difesa dei giudici e delle Procure erano schierate le destre, dalla Dc al Msi, partiti per i quali, spesso i magistrati nutrivano simpatie.

Poi le cose iniziarono a cambiare nei prima anni settanta, con l’apparire sulla scena di Magistratura Democratica, la corrente dei magistrati di sinistra, che si era caratterizzata come tale dalla scissione del gruppo di Beria d’Argentine (che dette vita ad Impegno Costituzionale). Ma quelli di Md erano visiti come una sorta di drappello di democratici in partibus infidelium, come, peraltro, dimostrava la gragnuola di procedimenti disciplinari cui erano sottoposti, per il loro impegno in casi come Piazza Fontana o la strage di Brescia. Ma, nel complesso, l’atteggiamento, verso la corporazione giudiziaria, restava ostile.

La vera svolta venne con il terrorismo, che colpiva spesso magistrati: la doverosa dissociazione dai brigatisti e simili assassini, spingeva, naturalmente, a difendere le vittime. Il Pci, peraltro, era entrato per un attimo nell’anticamera del governo (la “non sfiducia”, che ne faceva un partner di maggioranza) ed era impegnato a darsi un’immagine di grande forza tranquilla, per cui non era conveniente attaccare un potere dello Stato.

Sconfitto il terrorismo, l’attenzione si spostò sul fronte della Mafia che aveva preso ad uccidere magistrati (Cesare Terranova, Rocco Chinnici ecc.); per la verità c’era stato il caso di un altro magistrato assassinato dalla Mafia nel 1971, Pietro Scaglione (anche allora si parlò di campagna di odio, che aveva armato la mano degli assassini, ma, in quel caso, il dito era puntato contro la sinistra), che però non suscitò alcuna particolare ondata di solidarietà a sinistra, anche perché il magistrato era chiacchierato, forse ingiustamente (su questo ho chiesto una testimonianza al mio amico Ciccio Lalicata, celebre giornalista antimafia).

Ma Terranova era stato parlamentare della sinistra indipendente e Chinnici era un magistrato universalmente stimato. Poi venne il terremoto del “processone” e sorse l’astro di Giovanni Falcone, che divenne subito il beniamino dell’opinione pubblica, anche di sinistra, pur senza aver mai manifestato alcuna idea politica (che pure aveva, ma con molta discrezione). La simpatia per Falcone (poi ingigantita dal suo assassinio nel 1992) iniziò immeritatamente a riverberarsi su tutta la magistratura. Dico immeritatamente, perché Falcone era un personaggio assolutamente fuori del comune. Dotato di un’intelligenza investigativa acutissima, di tatto psicologico e tempismo, magari capace di grande disinvoltura procedurale, ma sempre nel quadro di una impeccabile strategia processuale diretta al risultato. Sono così i nostri magistrati? Ma quando mai! Dunque, un personaggio assolutamente non rappresentativo della sua categoria.

Tuttavia il rapporto fra opinione pubblica (anche di sinistra) e magistratura era ancora a “corrente alternata” perché al resto dell’antica diffidenza, si sommava una profonda insoddisfazione per il modo in cui era amministrata la giustizia, soprattutto per il problema dei ritardi secolari delle sentenze. E, infatti, nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, nel novembre 1987, la tesi anti-magistrati ottenne l’83% dei voti contro il 17%. Il solo Pci, all’epoca, aveva il 24% dei voti cui si sommava l’1,5% di Dp: se anche tutti i Si fossero stati di elettori degli altri partiti (il che è ovviamente impossibile), almeno un terzo degli elettori di Pci e Dp avevano votato contro l’indicazione dei rispettivi partiti.

La formazione definitiva del canone giustizialista di sinistra giunse, con Mani Pulite. La sinistra si sentiva rinchiusa in un ghetto marginale che, seppure riscuoteva ancora un quarto dell’elettorato (fra Pds, Rifondazione, Verdi e Rete), non aveva alleanze in cui sperare e, quindi, era del tutto esclusa dalla possibilità di rovesciare la maggioranza esistente. Quel senso di impotenza determinava uno stato di disperazione, che induceva a pensare che la colpa fosse di un popolo integralmente corrotto che, per questo, negava il suo voto alle forze del rinnovamento.

In quel contesto, la grandinata di avvisi di garanzia apparve come un evento liberatorio, che abbatteva gli uomini della maggioranza (primi fra tutti gli odiati socialisti), spianando finalmente la strada ad uno sfondamento della sinistra. E invece venne Berlusconi. Ma la lezione non fu capita: piuttosto che meditare sulla propria incapacità di costruire un blocco sociale vincente, la sinistra sperò che un nuovo “giudice di Berlino” togliesse davanti il nuovo intruso. L’avviso di garanzia del novembre 1994 confermò questa idea: Berlusconi cadde e, dopo la parentesi del governo Dini, la sinistra vinse nelle politiche del 1996. Ma sfuggì ai più che la vittoria era dovuta alla bizzarria del sistema elettorale uninominale ed alla separazione fra Lega e Forza Italia, mentre la sommatoria dei voti di destra superava nettamente quelli della sinistra.

Dopo un’inconcludente legislatura di governi di sinistra, nel 2001 la destra vinse nuovamente e, a questo punto, si tornò a sperare nell’ortopedia giudiziaria. Ormai Berlusconi aveva le televisioni, era invincibile e doveva essere battuto per via giudiziaria. La corporazione giudiziaria fu accolta a tutti gli effetti come un pezzo della coalizione di sinistra. I vecchi “nemici del popolo” erano diventati gli “amici del popolo”. Il resto è cronaca dei nostri giorni.

Qui ci interessa notare i punti deboli di questa vulgata giustizialista che affida ai tanks delle Procure il compito di aprire la strada.

In primo luogo, come si può notare, la “via giudiziaria alla vittoria elettorale” (ormai c’è chi la sogna anche contro l’orrido fiorentino) reprime ma non risolve. La corruzione rispunta più forte di prima e non migliora la qualità della classe politica.

In secondo luogo, questa passione per i magistrati si fonda su un immaginario del tutto campato in aria: a fare da specchietto per le allodole sono i Falcone, i Borsellino, i Di Pietro, i Levatino, gli Ingroia ecc.

Senza entrare nel merito di ciascun nome (e ne abbiamo messi insieme di diversissimi, salvo che per la popolarità), facciamo notare che si tratta al massimo di qualche decina di nomi (forse dovremmo dire unità) di alcune procure della Repubblica (Palermo, Milano e poche altre). Come dire che abbiamo a che fare con una frazione di minoranza delle Procure italiane, che sono una frazione minoritaria della giustizia penale, che è una minoranza del totale del corpo giudiziario italiano, in cui rientrano anche i giudici civili ed amministrativi. Insomma, stiamo parlando si e no dello 0,5% dei magistrati italiani, dimenticando che:

a. buona parte delle procure è assolutamente inerte;

b. la magistratura penale giudicante manda spesso assolti i corrotti e i bancarottieri e quasi sempre i poliziotti assassini e torturatori, i responsabili delle stragi di stato, e i padroni responsabili delle morti sul lavoro;

c. la magistratura civile funziona in modo indecente, con sentenze definitive che arrivano mediamente dopo 9 anni e spesso assai criticabili. E delle sezioni fallimentari non parliamo qui per rispetto di una persona uccisa innocentemente, ma ne riparleremo quando non ci sarà rischio di un’involontaria ed inopportuna associazione di idee.

Da ultimo, ci permettiamo di far presente che questo canone della magistratura come presidio contro la degenerazione costituzionale del nostro sistema, carica la magistratura di un compito che non gli spetta e sgrava di questo compito chi dovrebbe svolgerlo. Alla magistratura non compete combattere i fenomeni sociali, politici o anche solo criminali, ma giudicare singoli imputati accusati di un determinato reato. Questa ideologia del “giudice con l’elmetto” (la magistratura “contro la mafia” “contro il terrorismo”, “contro la corruzione”) è del tutto impropria e sbagliata: combattere mafia, terrorismo e corruzione è compito della politica. Se questo non accade, non è colpa del popolo bue (o corrotto) ma dei governi e dell’opposizione che non sanno fare il loro mestiere, che è quello di combattere mafia, corruzione e terrorismo. Se poi uno non lo sa fare, può fare altro nella vita.

Il canone giustizialista che si è radicato è solo la foglia di fico che copre le vergogne di un’opposizione al di sotto del suo compito politico.

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