Per tutti gli anni cinquanta e sessanta
(per non dire prima) a sinistra era coltivata una fiera diffidenza nei
confronti della magistratura: Togliatti, una volta, si lasciò andare a
dire che un giudice era più pericoloso di un generale e, quando la
stampa di destra attaccava un dirigente comunista, accusandolo di una
qualche nefandezza, il Pci suggeriva sempre di ignorare sprezzantemente
la cosa, senza dare querela, nella convinzione che il magistrato di
turno avrebbe usato il caso solo per screditare ancor più il suo
dirigente.
Le pagine dell’Unità e di Paese Sera
erano zeppe di articoli che denunciavano le parzialità di una
magistratura sempre di mano pesante con braccianti ed operai,
sindacalisti ed esponenti di sinistra ed, al contrario, sempre tenera e
comprensiva con padroni, questurini e politici corrotti.
A difesa dei giudici e delle Procure
erano schierate le destre, dalla Dc al Msi, partiti per i quali, spesso i
magistrati nutrivano simpatie.
Poi le cose iniziarono a cambiare
nei prima anni settanta, con l’apparire sulla scena di Magistratura
Democratica, la corrente dei magistrati di sinistra, che si era
caratterizzata come tale dalla scissione del gruppo di Beria d’Argentine
(che dette vita ad Impegno Costituzionale). Ma quelli di Md erano
visiti come una sorta di drappello di democratici in partibus
infidelium, come, peraltro, dimostrava la gragnuola di procedimenti
disciplinari cui erano sottoposti, per il loro impegno in casi come
Piazza Fontana o la strage di Brescia. Ma, nel complesso,
l’atteggiamento, verso la corporazione giudiziaria, restava ostile.
La vera svolta venne
con il terrorismo, che colpiva spesso magistrati: la doverosa
dissociazione dai brigatisti e simili assassini, spingeva, naturalmente,
a difendere le vittime. Il Pci, peraltro, era entrato per un attimo
nell’anticamera del governo (la “non sfiducia”, che ne faceva un partner
di maggioranza) ed era impegnato a darsi un’immagine di grande forza
tranquilla, per cui non era conveniente attaccare un potere dello Stato.
Sconfitto il terrorismo, l’attenzione si
spostò sul fronte della Mafia che aveva preso ad uccidere magistrati
(Cesare Terranova, Rocco Chinnici ecc.); per la verità c’era stato il
caso di un altro magistrato assassinato dalla Mafia nel 1971, Pietro
Scaglione (anche allora si parlò di campagna di odio, che aveva armato
la mano degli assassini, ma, in quel caso, il dito era puntato contro la
sinistra), che però non suscitò alcuna particolare ondata di
solidarietà a sinistra, anche perché il magistrato era chiacchierato,
forse ingiustamente (su questo ho chiesto una testimonianza al mio amico Ciccio Lalicata, celebre giornalista antimafia).
Ma Terranova era stato parlamentare
della sinistra indipendente e Chinnici era un magistrato universalmente
stimato. Poi venne il terremoto del “processone” e sorse l’astro di
Giovanni Falcone, che divenne subito il beniamino dell’opinione
pubblica, anche di sinistra, pur senza aver mai manifestato alcuna idea
politica (che pure aveva, ma con molta discrezione). La simpatia per
Falcone (poi ingigantita dal suo assassinio nel 1992) iniziò
immeritatamente a riverberarsi su tutta la magistratura. Dico
immeritatamente, perché Falcone era un personaggio assolutamente fuori
del comune. Dotato di un’intelligenza investigativa acutissima, di tatto
psicologico e tempismo, magari capace di grande disinvoltura
procedurale, ma sempre nel quadro di una impeccabile strategia
processuale diretta al risultato. Sono così i nostri magistrati? Ma
quando mai! Dunque, un personaggio assolutamente non rappresentativo
della sua categoria.
Tuttavia il rapporto fra opinione
pubblica (anche di sinistra) e magistratura era ancora a “corrente
alternata” perché al resto dell’antica diffidenza, si sommava una
profonda insoddisfazione per il modo in cui era amministrata la
giustizia, soprattutto per il problema dei ritardi secolari delle
sentenze. E, infatti, nel referendum sulla responsabilità civile dei
magistrati, nel novembre 1987, la tesi anti-magistrati ottenne l’83% dei
voti contro il 17%. Il solo Pci, all’epoca, aveva il 24% dei voti cui
si sommava l’1,5% di Dp: se anche tutti i Si fossero stati di elettori
degli altri partiti (il che è ovviamente impossibile), almeno un terzo
degli elettori di Pci e Dp avevano votato contro l’indicazione dei
rispettivi partiti.
La formazione definitiva del canone
giustizialista di sinistra giunse, con Mani Pulite. La sinistra si
sentiva rinchiusa in un ghetto marginale che, seppure riscuoteva ancora
un quarto dell’elettorato (fra Pds, Rifondazione, Verdi e Rete), non
aveva alleanze in cui sperare e, quindi, era del tutto esclusa dalla
possibilità di rovesciare la maggioranza esistente. Quel senso di
impotenza determinava uno stato di disperazione, che induceva a pensare
che la colpa fosse di un popolo integralmente corrotto che, per questo,
negava il suo voto alle forze del rinnovamento.
In quel contesto, la grandinata di
avvisi di garanzia apparve come un evento liberatorio, che abbatteva gli
uomini della maggioranza (primi fra tutti gli odiati socialisti),
spianando finalmente la strada ad uno sfondamento della sinistra. E
invece venne Berlusconi. Ma la lezione non fu capita: piuttosto che
meditare sulla propria incapacità di costruire un blocco sociale
vincente, la sinistra sperò che un nuovo “giudice di Berlino” togliesse
davanti il nuovo intruso. L’avviso di garanzia del novembre 1994
confermò questa idea: Berlusconi cadde e, dopo la parentesi del governo
Dini, la sinistra vinse nelle politiche del 1996. Ma sfuggì ai più che
la vittoria era dovuta alla bizzarria del sistema elettorale uninominale
ed alla separazione fra Lega e Forza Italia, mentre la sommatoria dei
voti di destra superava nettamente quelli della sinistra.
Dopo un’inconcludente legislatura di
governi di sinistra, nel 2001 la destra vinse nuovamente e, a questo
punto, si tornò a sperare nell’ortopedia giudiziaria. Ormai Berlusconi
aveva le televisioni, era invincibile e doveva essere battuto per via
giudiziaria. La corporazione giudiziaria fu accolta a tutti gli effetti
come un pezzo della coalizione di sinistra. I vecchi “nemici del popolo”
erano diventati gli “amici del popolo”. Il resto è cronaca dei nostri
giorni.
Qui ci interessa notare i punti deboli
di questa vulgata giustizialista che affida ai tanks delle Procure il
compito di aprire la strada.
In primo luogo, come si può notare, la “via giudiziaria alla vittoria elettorale”
(ormai c’è chi la sogna anche contro l’orrido fiorentino) reprime ma
non risolve. La corruzione rispunta più forte di prima e non migliora la
qualità della classe politica.
In secondo luogo, questa passione per i
magistrati si fonda su un immaginario del tutto campato in aria: a fare
da specchietto per le allodole sono i Falcone, i Borsellino, i Di
Pietro, i Levatino, gli Ingroia ecc.
Senza entrare nel merito di ciascun nome
(e ne abbiamo messi insieme di diversissimi, salvo che per la
popolarità), facciamo notare che si tratta al massimo di qualche decina
di nomi (forse dovremmo dire unità) di alcune procure della Repubblica
(Palermo, Milano e poche altre). Come dire che abbiamo a che fare con
una frazione di minoranza delle Procure italiane, che sono una frazione
minoritaria della giustizia penale, che è una minoranza del totale del
corpo giudiziario italiano, in cui rientrano anche i giudici civili ed
amministrativi. Insomma, stiamo parlando si e no dello 0,5% dei
magistrati italiani, dimenticando che:
a. buona parte delle procure è assolutamente inerte;
b. la magistratura penale giudicante
manda spesso assolti i corrotti e i bancarottieri e quasi sempre i
poliziotti assassini e torturatori, i responsabili delle stragi di
stato, e i padroni responsabili delle morti sul lavoro;
c. la magistratura civile funziona in
modo indecente, con sentenze definitive che arrivano mediamente dopo 9
anni e spesso assai criticabili. E delle sezioni fallimentari non
parliamo qui per rispetto di una persona uccisa innocentemente, ma ne
riparleremo quando non ci sarà rischio di un’involontaria ed inopportuna
associazione di idee.
Da ultimo, ci permettiamo di far
presente che questo canone della magistratura come presidio contro la
degenerazione costituzionale del nostro sistema, carica la magistratura
di un compito che non gli spetta e sgrava di questo compito chi dovrebbe
svolgerlo. Alla magistratura non compete combattere i fenomeni sociali,
politici o anche solo criminali, ma giudicare singoli imputati accusati
di un determinato reato. Questa ideologia del “giudice con l’elmetto”
(la magistratura “contro la mafia” “contro il terrorismo”, “contro la
corruzione”) è del tutto impropria e sbagliata: combattere mafia,
terrorismo e corruzione è compito della politica. Se questo non accade,
non è colpa del popolo bue (o corrotto) ma dei governi e
dell’opposizione che non sanno fare il loro mestiere, che è quello di
combattere mafia, corruzione e terrorismo. Se poi uno non lo sa fare,
può fare altro nella vita.
Il canone giustizialista che si è
radicato è solo la foglia di fico che copre le vergogne di
un’opposizione al di sotto del suo compito politico.
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