Altro che "bamboccioni": i dati ISTAT
mostrano che i posti vacanti disponibili sono paurosamente inferiori al
numero delle persone in cerca di lavoro.
Negli ultimi anni si è fatta largo l'idea
secondo cui gli italiani, in particolare i più giovani, non sarebbero
propensi a cercare lavoro. Improbabili commentatori hanno preso spunto
da singoli episodi di cronaca per sostenere la tesi dei disoccupati
scansafatiche. Se fosse solo per questi opinionisti improvvisati,
potremmo tranquillamente lasciarli blaterare di temi di cui nulla sanno.
Il problema è che anche influenti
economisti, nel ruolo di ministri della Repubblica, hanno varie volte
rimarcato la scarsa disponibilità degli italiani, specialmente dei più
giovani, ad accettare le opportunità di lavoro che si presentano. Il
ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa parlò in questo senso di
“bamboccioni”. E la ministra del lavoro Elsa Fornero utilizzò
l’appellativo di “choosy”, che in inglese sta per “schizzinosi”. Sulla
scia dei due economisti che lo hanno preceduto, l'attuale ministro del
lavoro Giuliano Poletti ha esortato gli studenti delle scuole superiori a
cercare un'occupazione estiva, in modo da abituarsi subito all'ingresso
nel mercato del lavoro.
Ora, che alcuni individui siano
scarsamente propensi ad accettare un lavoro è facile da ammettere:
ognuno di noi avrà conosciuto almeno un "bamboccione", in vita sua. Il
problema, tuttavia, è capire se tali appellativi riescano a cogliere un
comportamento rilevante a livello macroeconomico o se invece siano dei
meri esempi di falsa coscienza, di un'ideologia fuorviante rispetto alla
realtà dei fatti.
A tale scopo, è utile considerare il tasso dei posti di lavoro vacanti
calcolato periodicamente dall’ISTAT con riferimento alle imprese
industriali e di servizi con almeno 10 dipendenti. Questo tasso indica
il numero di posti di lavoro disponibili diviso per il totale dei posti
di lavoro, occupati e non. Nel 2014, per esempio, il tasso di posti
vacanti è rimasto pressoché stabile intorno allo 0,5 percento. Peccando
di ottimismo, possiamo assumere che il tasso di posti vacanti calcolato
dall’ISTAT possa essere esteso a tutte le occupazioni, incluse le
imprese con meno di 10 dipendenti e il settore pubblico. Considerato che
nel 2014 l’occupazione in Italia è stata pari a 23 milioni 849 mila
unità, e semplificando un po' il calcolo, possiamo approssimativamente
ritenere che i posti vacanti totali in Italia siano stati all'incirca lo
0,5 percento di 23.849.000, cioè 119.245. Consideriamo adesso il totale
dei disoccupati italiani: alla fine del 2014 erano 3 milioni 410 mila;
tra questi, i giovani disoccupati nella fascia di età tra 15 e 24 anni
erano 708 mila. Possiamo quindi affermare che nel 2014 il
numero di posti di lavoro vacanti, in Italia, non deve aver superato di
molto il 3,5 percento del totale dei disoccupati e il 16,8 percento del
totale dei giovani disoccupati.
Dunque, al netto delle correzioni di
questo semplice calcolo e volendo pure supporre che i disoccupati,
specialmente i più giovani, avessero le qualifiche necessarie per
svolgere le mansioni richieste, i dati mostrano che i posti vacanti disponibili sono paurosamente inferiori al numero delle persone in cerca di lavoro.
Del resto, l’idea che i giovani italiani
siano “choosy” entra in contrasto anche con altre evidenze. La Banca
d’Italia, per esempio, qualche tempo fa ha rilevato che i giovani
laureati italiani tra 24 e 35 anni che hanno accettato lavori a bassa
qualifica rispetto ai titoli di studio conseguiti sono il 40
percento del totale, contro appena il 18 percento in Germania.
Insomma, i dati evidenziano che a livello
macroeconomico il problema della disoccupazione è in primo luogo un
problema di pochi posti di lavoro esistenti. Imputarlo a una scarsa
disponibilità a lavorare da parte degli italiani, in particolare dei più
giovani, è semplicemente un imbroglio.
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