Bambini yemeniti fuggiti con le famiglie da Sirwah giocano di fronte ai loro rifugi provvisori a Marib. (Foto: AFP) |
Secondo le stime dell’Unicef, almeno 64 bambini sono stati uccisi dai bombardamenti aerei, 26 da ordigni inesplosi e mine, 19 da colpi di pistola, tre da granate e tre da cause non verificate relative al conflitto. La maggior parte dei piccoli, e cioè 71, è morta nel nord del Paese, dove si trova la provincia di Saadah, storica roccaforte dei ribelli Houthi al confine con l’Arabia Saudita.
Numeri destinati a crescere, sia perché il processo di verifica è ancora in corso sia perché, come spiega Julien Harneis, rappresentante dell’Unicef in Yemen “ci sono centinaia di migliaia di bambini in Yemen che continuano a vivere nelle circostanze più pericolose”. Circostanze che non solo attentano alla loro vita, ma anche alla loro mente: “Molti di questi bambini – continua Harneis – si svegliano spaventati nel bel mezzo della notte per i suoni dei bombardamenti e per gli spari. Senza una rapida fine della violenza, i bambini non saranno in grado di condurre una vita normale”.
Traumi futuri che vanno ad aggiungersi a quelli attuali: secondo l’agenzia Onu, infatti, circa 2 milioni di piccoli yemeniti non possono più frequentare la scuola, mentre circa 8 milioni di loro hanno bisogno di assistenza umanitaria. Centinaia di minori, poi, come aveva denunciato l’Unicef due settimane fa, sarebbero stati reclutati dalle fazioni armate e formerebbero un terzo dei combattenti nel conflitto.
Intanto continua a salire il bilancio delle vittime. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivelato giovedì scorso che la conta dei morti in Yemen aveva superato le mille unità, mentre l’UNHCR ha specificato ieri che almeno 551 delle vittime sono civili. Sebbene martedì scorso l’Arabia Saudita abbia annunciato la fine dell’operazione “Tempesta Decisiva” iniziata il 26 marzo e dei relativi bombardamenti a tappeto per impegnarsi piuttosto nel processo politico, declamato con il nome di “Ripristino della Speranza”, i raid sono continuati anche nei giorni scorsi.
I combattimenti intorno ad Aden hanno provocato 28 morti tra ieri e oggi, mentre l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, alleato dei ribelli Houthi, ha invitato proprio i miliziani sciiti ad accettare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu in cambio di una tregua da parte della coalizione anti-Houthi. Un cessate il fuoco permetterebbe alle agenzie umanitarie di raggiungere vaste parti del Paese ancora inaccessibili agli aiuti a causa dei combattimenti, come chiedono varie organizzazioni tra cui la Croce Rossa e l’OMS.
L’entrata degli aiuti nel paese, come confermano le organizzazioni internazionali, è diventata più facile da qualche giorno, e cioè da quando è terminata l’operazione “Tempesta Decisiva”, con le autorità saudite che concedono i permessi più velocemente. Ma anche se cessassero tutti i combattimenti, resterebbe il problema dei trasporti: in un paese dalle deboli infrastrutture, molte strade sono state danneggiate o minate. E se non si agisce subito, concordano le Ong, si rischia la malnutrizione generica della popolazione.
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