Nell'ansia di dimostrare che qualcosa contro la Russia si sta facendo, l'Unione Europea mette sul tavolo iniziative clamorose ma dalla base giuridica, o addirittura economica, inesistente. Tanto da attirarsi le critiche perplesse anche degli “operatori di mercato”.
Ma andiamo con ordine. In questi giorni ha fatto notizia l'apertura di una procedura da parte dell'Antitrust europea nei confronti di Gazprom, gigante russo dell'energia. Arriva pochi giorni dopo un'analoga decisione nei confronti di Google, e tanto è bastato a far dire che “l'Unione Europea non guarda in faccia a nessuno, è obiettiva”.
Sciocchezze. Sul monopolio globale di Google, sia nel campo dei motori di ricerca sia in quello dei sistemi operativi per smartphone ci sono pochissimi dubbi. Mentre nella produzione di gas Gazprom è un concorrente tra tanti, e nemmeno il principale (la stessa Unione Europea ha come fornitori Algeria, Arabia Saudita, Norvegia, in piccola parte residua anche la Libia). Per esempio, su 300 miliardi di metri cubi di gas russo importati dall'Europa solo 125 vengono da Gazprom.
Scelta politica, dunque, non “necessità” antitrust. E scelta non motivabile con dati di fatto.
Per poter comunque contestare a Gazprom un comportamento “illecito” l'antitrust di Bruxelles si è dovuta affidare alle presunte “scorrettezze” commesse non contro il “libero mercato”, ma solo contro “alcuni clienti”. Guarda caso alcuni paesi dell'Europa dell'Est sempre pronti a chiedere fulmini e tempeste contro Mosca.
Ma come si fa a contestare l'«abuso di posizione dominante» solo contro “alcuni clienti”? In un mercato aperto come l'Europa non è impossibile rivolgersi ad altri produttori (la Norvegia, per esempio), anche se naturalmente ci sono seri problemi di conversione da un sistema di approvvigionamento all'altro (dai gasdotti alle navi gasiere, in questo caso).
L'accusa è dunque stata formulata in altro modo. Gazprom avrebbe attuato una «politica dei prezzi sleale», «ostacolato la concorrenza transfrontaliera» creando «barriere artificiali». La Commissione ha dunque concluso che Gazprom applica una strategia di frammentazione dei mercati del gas nel Centro-est Europa, riducendo ad esempio la capacità di rivendita transfrontaliera di gas dei suoi clienti.
Un po' contorto, no? Soprattutto, fanno notare gli analisti, ci sarebbe bisogno di stabilire qual'è il prezzo giusto del gas. E questo, nel “libero mercato”, è un problema delegato alla libera azione di venditori e compratori, al momento di firmare i contratti. Si può ovviamente sempre accertare se vi sia stato un aumento immotivato del prezzo concordato, oppure forniture di qualità non corrispondenti a quella contrattata, ma una «politica dei prezzi sleale» solo con alcuni paesi è davvero difficile da provare.
Formalmente, l'accusa è di aver costretto Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia a restrizioni territoriali negli accordi di fornitura con i grossisti e alcuni clienti industriali, vietando l’export del gas e imponendo clausole che limitano l’utilizzo del gas a un territorio specifico. Questi paesi, insomma, nel contratto liberamente sottoscritto, avrebbe accettato di non riesportare le partite di gas ricevute da Gazprom, che in via alquanto misteriosa avrebbero teoricamente potuto diminuire di prezzo (di solito, quando si rivende a terzi, il prezzo aumenta).
E in ogni caso: qual'è il “prezzo giusto”? Non potendo chiederlo a Iva Zanicchi – la trasmissione è chiusa da tempo – la commissione guidata dalla danese Margrethe Vestager si è inoltrata nell'analisi delle formule usate dai russi per arrivare a determinare il prezzo richiesto, mettendo sotto accusa l'indicizzazione rispetto al prezzo del petrolio. Peccato che così facciano davvero tutti i fornitori di gas al mondo. E in ogni caso, visto il crollo del prezzo del greggio nell'ultimo anno, questa indicizzazione va addirittura a favore dei clienti, non del venditore.
Non sappiamo se la procedura arriverà alla fine, condannando Gazprom a una multa miliardaria. Ma ci sembra possibile dire che questa inchiesta fa parte del “pacchetto di sanzioni contro la Russia” decise da Bruxelles e Washington, dunque un piccolo passo avanti nell'escalation. E che il “libero mercato”, se mai è esistito, non c'entra nulla...
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