di Mario Lombardo
A seguito di
un’indagine giornalistica apparsa nel 2012 negli Stati Uniti, il
Dipartimento di Giustizia di Washington e l’FBI hanno ammesso questa
settimana che, per almeno due decenni prima dell’anno 2000, gli
esaminatori dei laboratori scientifici della polizia federale americana
hanno presentato prove di colpevolezza fasulle a carico degli imputati
in quasi tutti i procedimenti giudiziari recentemente sottoposti a
revisione.
Le autorità federali hanno aperto indagini sulla correttezza di numerosi processi dopo che il Washington Post
aveva rivelato come esami al microscopio dei capelli rinvenuti sulle
scene dei crimini fossero tutt’altro che attendibili ma comunque
presentati in aula come prove pressoché inconfutabili da parte dell’FBI.
In
questo modo, centinaia o forse migliaia di persone innocenti hanno
ricevuto sentenze di condanna per gravi crimini, come omicidio o stupro,
in tutti gli Stati Uniti. I verdetti si erano spesso basati sulle
testimonianze degli esperti dell’FBI, i quali garantivano appunto che i
capelli esaminati appartenevano agli imputati anche se i test non davano
in realtà alcuna certezza.
Le prime statistiche sono state rese
note dall’Associazione Nazionale degli Avvocati Difensori (NACDL) e
dall’organizzazione Progetto Innocenza che hanno collaborato con il
governo americano nella revisione delle prove scientifiche dei casi
sospetti. I risultati fin qui noti riguardano oltre 200 processi, mentre
circa 350 - su un totale di 2.500 - sarebbero stati riesaminati alla
metà di aprile.
Dai dati diffusi questa settimana emerge che dei
28 specialisti dei laboratori dell’FBI coinvolti nei processi
analizzati, 26 avevano esagerato l’importanza dei test tricologici,
favorendo l’accusa in oltre il 95% dei casi. Tra di essi vi sono quelli
di 32 imputati condannati a morte, di cui 14 già giustiziati o deceduti
in carcere.
In definitiva, un numero potenzialmente enorme di
imputati è stato condannato ingiustamente negli ultimi decenni negli
Stati Uniti, a causa della determinazione con cui i procuratori hanno
perseguito verdetti di colpevolezza, da ottenere anche basandosi su
esami scientifici errati condotti dall’FBI.
La ricostruzione di uno dei casi in questione fatta dal quotidiano britannico Guardian riguarda
la vicenda di George Perrot, il quale ha trascorso quasi 30 in carcere
in seguito alla condanna per lo stupro di una donna anziana nel 1985 a
Springfield, nel Massachusetts.
L’allora 17enne Perrot era finito
alla sbarra nonostante non fosse stato rinvenuto alcun reperto
biologico che lo collegasse alla scena del crimine. La stessa vittima
aveva testimoniato che l’imputato non somigliava per nulla
all’aggressore.
Durante
il processo, tuttavia, un agente dell’FBI esperto di analisi
tricologiche aveva spiegato alla corte che uno specialista
sufficientemente addestrato era in grado di confermare quasi senza
margine d’errore che un campione di capelli apparteneva a una
determinata persona.
Ricorrendo a un gergo rigorosamente
scientifico, l’agente dell’FBI aveva così spazzato via ogni dubbio,
collegando Perrot al crimine di cui era accusato. La sua testimonianza,
però, è risultata essere errata, come molte altre basate su questo
genere di esami.
Secondo la comunità scientifica, simili esami
non sono infatti affidabili e capelli di persone diverse possono
apparire simili, così che i test tricologici devono essere incrociati
con più accurate prove del DNA. Uno studio realizzato dall’FBI già nel
2002 aveva peraltro accertato come nell’11% dei casi i propri test del
DNA avessero smentito quelli del capello ritenuti validi.
Nella
città di Washington, l’unica giurisdizione negli USA dove finora sono
stati riaperti tutti i casi con condanne basate su esami di laboratorio
di capelli, a partire dal 2009 cinque imputati su sette, i cui processi
includevano testimonianze errate di esperti dell’FBI, sono stati
scagionati grazie al test del DNA. Tutti e cinque avevano già scontato
condanne dai 20 ai 30 anni di carcere per omicidio o stupro.
Per
il co-fondatore del gruppo Progetto Innocenza, “l’uso per tre decenni da
parte dell’FBI dell’esame del capello al microscopio per incriminare
gli imputati nei procedimenti penali è stato un completo disastro”.
Nei
casi caratterizzati da errori, le autorità federali stanno offrendo ora
la possibilità di eseguire test del DNA sugli imputati, ma solo se
richiesti da un giudice o dall’accusa. Solo gli stati della California e
del Texas prevedono però esplicitamente la possibilità di ricorrere in
appello nel caso esperti di laboratorio ritrattino le loro testimonianze
o quando vi siano progressi scientifici tali da screditare prove
precedenti.
Lo
scandalo delle false prove prodotte dall’FBI per ottenere condanne in
procedimenti penali non fa dunque che confermare la natura brutale e
sostanzialmente anti-democratica del sistema giudiziario statunitense.
L’America è il paese che ospita il maggior numero di detenuti al
mondo in rapporto alla propria popolazione e continua a eseguire
condanne a morte senza sosta.
In alcuni stati, addirittura, la
recente difficoltà nel reperire le sostanze chimiche da utilizzare nella
procedura per l’iniezione letale ha portato al ripristino nei loro
ordinamenti della possibilità di mettere a morte i condannati con metodi
ancora più barbari ampiamente utilizzati in passato, come la
fucilazione e la camera a gas.
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