di Chiara Cruciati
Dimmi da chi ricevi armi e
saprò da che parti stai. Il Medio Oriente, sconvolto da guerre civili,
invasioni islamiste, interferenze esterne e milizie stipendiate dall'estero, non pare solo il campo di battaglia tra Iran e Arabia Saudita, ma
anche quello – indiretto – tra Stati Uniti e Russia.
Negli ultimi giorni Washington e Mosca hanno fatto a gara a
chi annunciava prima la consegna di armi ai rispettivi alleati,
definendo con esattezza i rapporti politici e strategici cari ad ognuno
dei due. Ieri è stata la volta degli Stati Uniti: il vice
presidente Joe Biden, durante una cerimonia a Washington per
l’Indipendenza israeliana (per i palestinesi la catastrofe della Nakba,
che Israele celebra secondo il calendario ebraico), ha fatto sapere che
a Tel Aviv saranno inviati nuovi jet da guerra F35 Lockheed Martin,
così da garantirsi “un vantaggio qualitativo” sul resto della regione.
Nonostante le colonie e l’accordo con l’Iran, nonostante le
improvvisate di Netanyahu al Congresso e gli screzi con Obama, le
relazioni militari tra i due paesi non sembrano mai vivere crisi:
“L’anno prossimo consegneremo a Israele l’F35 Joint Strike Fighter, il
nostro miglior prodotto, per fare di Israele l’unico paese in Medio
Oriente con un’aviazione di quinta generazione”, ha detto Biden.
Secondo il quotidiano liberale israeliano Haaretz, ognuno dei
14 jet che saranno inviati costa 110 milioni di dollari (per un totale
di 1,5 miliardi di dollari), che si vanno ad aggiungere a un precedente
accordo – siglato nel 2010 – per l’acquisto da parte israeliana di altri
19 jet, ancora non tutti consegnati. Un affare d’oro per l’industria bellica statunitense, che con le guerre mediorientali si ingrassa a dismisura.
Come si ingrassano le industrie belliche occidentali:
quest’anno in Medio Oriente pioveranno armi per un valore totale di 18
miliardi di dollari (erano 12 miliardi nel 2014), non certo il modo
migliore per porre fine alle violenze come sbandierato da tanti governi.
Ai carichi di armi, droni, missili inviati da Stati Uniti, Canada e
Gran Bretagna ai paesi del Golfo, all’Egitto e a Israele, risponde la
Russia: se la Casa Bianca punta su Tel Aviv, il Cremlino guarda
all’Iran. Il presidente Putin ha autorizzato la scorsa settimana la
consegna di missili anti-aerei S-300 a Teheran. Un annuncio che
non fa certo felice la controparte, che teme così un rafforzamento
ulteriore dell’influenza iraniana nella regione a scapito del ruolo di
burattinaio delle petromonarchie del Golfo, responsabili di molte delle
attuali crisi.
Ma, si sa, il mantra è sempre lo stesso: armare gli amici e disarmare i nemici. Per
questo gli stessi paesi che premono per distruggere gli arsenali
siriani e il programma nucleare iraniano, giustificando le richieste con
la necessità di ridurre i quantitativi di armi nella regione, poi
vendono agli alleati quantitativi di equipaggiamento militare senza
precedenti. Ed ecco che, secondo il rapporto della IHS (Jane’s
Global Defense Trade), l’Arabia Saudita è diventata il primo importatore
di armi al mondo.
Anche qui, secondo Mosca, è necessario ribilanciare: è di pochi
giorni fa la dichiarazione del ministro degli Esteri di Mosca, Sergei
Lavrov, che ha fatto sapere che il suo paese sta armando i governi di Damasco e Baghdad in chiave anti-islamista:
“Lo Stato Islamico oggi è il nostro principale nemico – ha detto Lavrov
– Se non altro perché centinaia di cittadini russi, europei, americani
combattono con l’Isis. Stanno già tornando”.
Il sostegno agli eserciti siriano e iracheno è un modo diretto per mandare un messaggio chiaro a noto a Washington. E Lavrov,
che non entra nei dettagli sugli armamenti, lo dice esplicitamente:
inutili i raid della coalizione, per estirpare l’Isis si deve dialogare
con Assad. Ed ecco che gli avversari in Medio Oriente
ridefiniscono con le armi le loro posizioni: l’asse sunnita guidato
dall’Arabia Saudita, dall’Egitto e la Turchia, sostenuto da Stati Uniti e
– indirettamente – da Israele; l’asse sciita guidato dall’Iran e
formato da Hezbollah, Damasco e – ogni giorno di più – Baghdad. Con
dietro la Russia.
Fonte
Chissà se la gente si sentirà ancora tutta Charlie quando parte di questo oceano tornerà a sparare in casa nostra....
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