Foto delle vittime dei rastrellamenti del 1915 di fronte alla stazione di Haydarpasa (Foto: Reuters) |
Nel centenario del genocidio armeno continuano a piovere polemiche su Ankara. Le celebrazioni di ieri, che hanno visto la partecipazione di migliaia di persone alla marcia di piazza Taksim e ad altri eventi organizzati da associazioni turche e straniere per la commemorazione del centesimo anniversario del genocidio armeno da parte dell’Impero ottomano, sono state quasi completamente disertate dalle autorità turche, che hanno deciso di controbilanciarle anticipando di un giorno le celebrazioni della battaglia di Gallipoli.
La situazione che si è prodotta è stata la seguente: mentre a Erevan, capitale dell’Armenia, il presidente francese François Hollande e quello russo Vladimir Putin partecipavano alla cerimonia in ricordo del massacro degli anni 1915-1923 e nella simbolica Istanbul si tenevano decine di altri eventi, a Canakkale, sullo stretto del Dardanelli, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan accoglieva il principe Carlo d’Inghilterra, il premier australiano Tony Abbott e quello neozelandese John Key per una solenne cerimonia in ricordo del centenario della Campagna di Gallipoli, quando durante la prima guerra mondiale gli Alleati provarono a raggiungere Costantinopoli ma furono bloccati dalle forze ottomane.
Lo sbarco, che ebbe luogo il 25 aprile 1915, costò la vita a circa 250 mila soldati alleati e fu una delle peggiori sconfitte delle potenze dell’Intesa durante il primo conflitto mondiale. Una commemorazione importante, quindi, ma che secondo le autorità armene sarebbe stata deliberatamente spostata indietro di un giorno per “mettere in ombra l’anniversario del genocidio armeno”, una definizione che il governo turco non accetta e continua a contestare, riferendosi al massacro di circa 1.5 milione di armeni residenti nell’allora impero Ottomano come a “i fatti del 1915″.
Il presidente armeno Serzh Sargsyan, dopo aver rifiutato nel gennaio scorso l’invito di Erdogan alla cerimonia per lo sbarco a Gallipoli, ha attaccato duramente Ankara: “A cosa è servito – ha scritto – se non a distogliere l’attenzione mondiale dalle attività per il centenario del genocidio degli armeni? La Turchia ha una responsabilità molto più importante verso il proprio popolo e verso l’umanità: il riconoscimento e la condanna del genocidio armeno”. Un riconoscimento che sembra impossibile per un genocidio che, seppur internazionalmente riconosciuto, la Turchia continua a definire “infondato”, come ha recentemente ricordato Erdogan stesso in un commento riportato dal quotidiano Today’s Zaman.
Sebbene l’anno scorso l’allora primo ministro Erdogan abbia fatto una sortita straordinaria, porgendo per la prima volta le condoglianze alle vittime per i massacri di quegli anni e sebbene ieri il governo turco sia stato senza precedenti rappresentato dal ministro turco presso l’UE Volkan Bozkir alla cerimonia di commemorazione al Patriarcato armeno, la diatriba sul termine “genocidio” continua a infiammare Ankara e i suoi rapporti con la comunità internazionale.
All’inizio di aprile, infatti, la Turchia ha richiamato i suoi ambasciatori a Vienna e in Vaticano per consultazioni dopo che i due paesi avevano definito i massacri del 1915 “genocidio”. Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione non vincolante la scorsa settimana, chiedendo alla Turchia di riconoscere il “genocidio armeno”, una mossa che Ankara ha duramente condannato. Secondo la storiografia e narrativa turche, infatti, circa 500 mila armeni – e altrettanti turchi dall’altra parte della barricata – morirono di fame o combattendo al fianco degli invasori russi durante la prima guerra mondiale.
Le foto e le testimonianze delle “marce della morte” invece, in cui centinaia di migliaia di armeni perirono guardate a vista da guardie turche durante i trasferimenti forzati verso le regioni orientali e desertiche dell’allora Impero Ottomano, raccontano una versione diversa. Le cifre, secondo gli storici, spaziano da 1.2 a 1.8 milioni di vittime tra gli armeni negli anni 1915-1923.
Soddisfazione generale è stata espressa sulle celebrazioni di ieri, soprattutto a Istanbul, per la partecipazione di molti turchi nei cortei. Una riuscita impensabile fino a qualche anno fa, a detta delle organizzazioni non-governative che hanno aderito: “Dieci anni fa – ha dichiarato ad al-Jazeera Levent Sensever di Durde, una ONG turca contro il razzismo – non si sarebbe mai potuto discutere pubblicamente sulla questione armena in Turchia. Con gli sforzi della società civile e il sostegno di partner internazionali, questo è cambiato”. Ma molte ombre rimangono.
Il quotidiano Hurriyet ha riportato che ieri la polizia ha disperso un gruppo di studenti dell’Università Tecnica di Istanbul che stava allestendo la propria commemorazione per il centenario del genocidio degli armeni, dopo lo scoppio di una rissa nel momento in cui le guardie di sicurezza private hanno cercato di rimuovere un banner e cartelli che gli studenti avevano appeso. E per quel che riguarda l’adesione turca alla condanna internazionale del genocidio la strada sembra ancora lunga: secondo un sondaggio diffuso qualche mese fa dal Centro per gli Studi di Economia e di Politica Estera (EDAM) su un campione di 1.508 cittadini turchi, solo il 9.1 per cento dei soggetti intervistati crede che Ankara dovrebbe ammettere di aver perpetrato un genocidio e scusarsi per quelli che comunemente le autorità turche definiscono “i fatti del 1915″.
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