Sostenere quindi che Borghezio ha libertà di parola è mettere in causa il diritto, magari Euripide (che ha letteralmente creato la libertà di parola nella cultura occidentale) ma facendo finta o non accorgendosi di un problema. Ovvero del fatto che se qui si esercita una libertà, da chiara analisi dei linguaggi, è quella di esprimere la propria volontà di persecuzione ossessiva e di trovare un capro espiatorio.
Il modello di comunicazione di Salvini è invece quello di usare il
concetto di democrazia come arma contundente, come uno strumento che
permetta di legittimare – come libertà democratica esercitata – qualsiasi
genere di provocazione. Voler fare comizi alzando diti medi ai
contestatori, urlandogli “sfigati”, sperando poi di essere contestato
più pesantemente per fare la vittima, e raccogliere consenso come tale,
non è democrazia. E’ cercare la provocazione in modo che questa, una
volta filmata e trasformata in notizia, porti maggior consenso a colui
che provoca se identificato come vittima. Salvini in questo senso, si
accoda però come buon ultimo nell’esercizio delle regole della
comunicazione politica istituzionale, quella seguita dai grandi media:
avrai consenso se verrai identificato come vittima ed aggredito.
Certo, l’“aggredito” ce la mette tutta per insultare chi lo contesta. Per aizzare sperando in reazioni quanto più inconsulte. Perché sa di avere dalla sua un dispositivo di comunicazione politica,
rodato da oltre trent’anni di consenso, dove chiunque reagisca
visibilmente ad una qualsiasi provocazione di una autorità (politica,
sindacale, istituzionale) verrà marchiato come un violento
antidemocratico. Risultati di una rivoluzione conservatrice, nella
comunicazione e nella valutazione dei comportamenti collettivi, che
affonda la propria presa sulla società italiana dalla fine degli anni
’70. Se Salvini a Livorno fosse stato infatti colpito da una
pietra, e ci sono decine di casi a fare da precedente, invece che
sfiorato da un pomodoro sarebbe scattata subito la solidarietà
istituzionale. E la condanna mediatica dei “violenti”. Nessuno avrebbe
rimproverato a Salvini di essere quello che è ovvero un provocatore. Uno
che con la democrazia del dibattito non ha niente a che vedere. Basta
vedere lo stile che usa nei talk show in televisione e la regressione
culturale, e sociale, che rappresenta. Già, perché se la Lega è
un partito fascista, del resto l’alleanza con Casa Pound non lascia
dubbi, in confronto il MSI di Almirante era un partito composto di
soloni. Il bello è che gira pure la leggenda metropolitana che la Lega
faccia proposte concrete sull’immigrazione. Si interroghi un qualsiasi
esperto di strategia militare, in materia di blocchi navali o terrestri
proposti da Salvini. Per quanto di destra sia, dall’impraticabilità
delle proposte, si metterà le mani nei capelli. A meno di avere a che fare con i generali della colazione al bar, che mentre addentano il cornetto
parlano di armate di milioni di uomini e stormi di aerei che oscurano il
cielo impedendo l’immigrazione clandestina. Più sobriamente, basta
ricordare che le misure sull’immigrazione della Lega di governo erano
contestate dagli stessi padroncini del nord che la votavano: il partito
di Salvini è un feed-back identitario che, a seconda della stagione,
circola bene sui media e sui social. Ma da sola non è, nonostante più di
20 anni di presenza nelle istituzioni, un partito della destra che
riesce a farsi governo. Ha infatti preso quota rileggendo, più a destra,
le proprie origini tutte basate sulle provocazioni bossiane. Recuperando
i Borghezio, lanciando i Salvini. Incontrando una società terrorizzata e
muta di fronte ad un crisi della quale non vede fine. In fondo non è la
prima volta che un settore di società italiana va verso il nulla.
Qualcuno non se ne accorgerà nemmeno, qualcuno si farà male, qualcuno
si sveglierà come dopo una lunga sbornia. Sempre che non avvenga un bel
crack sistemico, allora il primo che rimane in piedi – e a Salvini può
accadere – prende tutto.
Una volta tanto, invece di citare
costituzione, norme e procedure ricordiamo due aspetti che stanno
all’origine delle democrazie occidentali. La prima, presente in
Euripide, sta nella legittimazione della liberà di parola: qualunque sia
questa parola se l’esprimente la ritiene espressione di verità. Ma è
altrettanto evidente, e qui il secondo aspetto, già nella Grecia antica,
che questa libertà di parola si confonde con la retorica, le tecniche
di persuasione e di inganno. E’ evidente che in qualsiasi società che si
ritiene democratica, a vario titolo perché innumerevoli sono le forme
di democrazia, l’equilibrio tra libertà di parola ed esercizio
dell’inganno è sempre instabile e può ben essere rovesciato a favore di
quest’ultimo. Come è altrettanto evidente che la libertà di parola è
un esercizio tumultuoso e la cui applicazione comporta conflitti anche
potenti. Solo una visione pietrificata della società, quella del
politicamente corretto, può pensare il contrario cercando d'incasellare
le spinte sociali in precetti etici generici quanto improbabili. Però
deve essere ben chiaro, nel caso dei Salvini e dei Borghezio, che c’è
differenza netta tra libertà di parola e pretesto per la provocazione. Due
signori che vengono a Livorno, con la scorta mediatica, a fare saluti
romani e diti medi dando degli “sfigati” al prossimo sperando di aizzare
le persone non hanno niente a che vedere con l’esercizio della
democrazia.
Cosa che non deve essere molto chiara al
prefetto, responsabile per legge del comitato per l’ordine pubblico,
che invece ha garantito questo genere di provocazioni. Proteggendole
come fatto democratico. Ma, come già accaduto altre volte, l’avevamo già
capito dallo stadio come laboratorio della concezione delle democrazia.
Dalle centinaia di provvedimenti, a Livorno, contro comportamenti di
sinistra e dallo sdoganamento, della procura livornese, dei saluti
romani. La libertà di espressione, anzi di quell’espressione, va
tutelata.
Redazione, 23 aprile 2015
Nessun commento:
Posta un commento