Da diversi mesi è andata scemando l’attenzione verso la situazione ucraina, quel che ha ingenerato nell’opinione pubblica l’idea che un qualche accomodamento stia maturando nei fatti e che la crisi abbia imboccato la via di una soluzione. Niente di più sbagliato: in questi mesi le cose non hanno fatto che peggiorare, anche se i combattimenti sono momentaneamente diminuiti di numero ed intensità, rispetto alla fase precedente.
E’ dal punto di vista politico che la situazione è diventata sempre più compromessa. Decisivo in questo calo di attenzione è stato il diversivo della situazione in Libia e l’inconcludente dibattito “Interveniamo/Non interveniamo”. Gli italiani si sono convinti che il pericolo più immediato venga dalla “quarta sponda” ed hanno distolto lo sguardo da quella che, invece, è davvero la crisi più pericolosa.
Ci troviamo di fronte ad una riduzione secca dei margini di mediazione, il che non fa per nulla sperare in bene. Le sanzioni economiche alla Russia (unitamente al crollo dei prezzi energetici) hanno effettivamente indebolito Mosca spingendola sulla soglia del default, ma questo (oltre che far temere una nuova ondata di crolli finanziari) non ha affatto giocato a favore di una mediazione, ma, al contrario, ha spinto Putin su posizioni più intransigenti, anche perché (e l’omicidio Nemtsov lo ha segnalato) è probabile che ci siano movimenti interni che non gli consentono di fare altro. Che l’omicidio sia stato un segnale dell’ala intransigente o che si sia trattato di una fronda che vuole tornare a fare affari con l’Occidente, a Putin non resta altra soluzione che fare appello al nazionalismo russo e, di conseguenza, a non mollare un centimetro.
Dall’altro lato, Kiev, irresponsabilmente incoraggiata da americani ed europei, ha utilizzato la relativa tregua di questi mesi per riorganizzarsi a passare all’offensiva.
Da alcuni giorni, i quotidiani danno spazio agli allarmi degli ucraini che sostengono di essere prossimi ad essere invasi: guerra psicologica.
Tutto fa pensare, al contrario, che siano loro a preparare un’offensiva per giugno e non tanto contro il Donbass quanto direttamente contro la Crimea. Gioco molto pericoloso e Putin ha lasciato cadere l’affermazione di essere stato pronto, un anno fa, ad usare armi nucleari per difendere la Crimea, cosa che ora non sarebbe più necessaria per le difese nel frattempo apprestate. Come dire “Non ci provate”.
L’ipotesi di un’iniziativa militare ucraina resta lo stesso in piedi. Ovviamente, la sproporzione di forze è tale che i russi non avrebbero difficoltà a travolgere gli avversari, ma, questo è il calcolo di Kiev, a quel punto americani ed europei sarebbero obbligati ad entrare in gioco militarmente (e non solo con sanzioni economiche), per difendere il loro alleato. A proposito, non sarei affatto stupito se scoprissimo che ci sono accordi segreti che obbligano gli occidentali ad intervenire in determinati casi. Ma c’è da mettere in conto che un intervento aperto di americani ed europei potrebbe trovare una risposta russa basata su armi nucleari tattiche ed, a quel punto, saremmo davvero ad un passo da una conflagrazione di grandi dimensioni.
Come si vede, stiamo ballando sul filo del rasoio e qui il rischio di farsi male è molto serio. Il problema è che il “premio Nobel per la pace”, Barak Obama, si è tagliato i ponti alle spalle per un possibile ruolo di mediatore ed altrettanto hanno fatto gli europei, sponsorizzando le tesi più oltranziste degli ucraini, e per di più, non è neppure ipotizzabile un ruolo dell’Onu, che sarebbe immediatamente paralizzata dal veto russo. Peraltro, come negare agli abitanti del Donbass il diritto all’autodeterminazione? Il dogma dell’intangibilità delle frontiere scaturite dal 1945 non tiene più: perché mai kosovari, sloveni, croati e bosniaci avevano diritto a separarsi dalla Jugoslavia e i russofoni di Ucraina no? E la Crimea quando mai è stata Ucraina? Lo è stata per una decisione di Mosca, durata qualche decennio ed all’interno di un quadro tutto interno all’Urss, sciolto il quale, ovviamente quei confini artificiali non hanno più ragion d’essere.
Sulla base di quale diritto gli ucraini pretendono di prelevare il gas russo diretto all’Europa senza pagarlo e gli Usa pretendono che i russi non realizzino gasdotti alternativi a quello che passa per l’Ucraina?
Per dirla in due parole: gli Usa hanno solo un interesse, che coincide con la loro strategia imperiale, di isolare la Russia ed evitare che si ponga come terza potenza mondiale, perché questo romperebbe il containment verso la Cina. Gli ucraini l’hanno capito e cercano di massimizzare la loro rendita di posizione, con un gioco che sembra la parodia di quello di Cavour fra Austria e Francia.
Di fatto qui si profilano due tendenze: da un lato la nascita di una tacita intesa fra Russi e Cinesi, che attira, per ragioni e con modalità diverse Turchi, Greci ed Israeliani in funzione anti americana. I Greci sono attirati dal possibile sostegno finanziario sino-russo, ed, insieme ai Turchi, dalla prospettiva di un gasdotto variante del vecchio progetto Southstream che, peraltro, piacerebbe anche agli israeliani, che aborrono l’idea di una dipendenza europea dal gas quatariota. Dall’altra che gli eventi precipitino e si vada dritti ad uno scontro militare senza precedenti.
Non è detto che accada il peggio, ma mi sembra che questo quadro sia nettamente più preoccupante di quello libico.
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