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08/10/2015

Renzi, una supercazzola al giorno leva la realtà di torno

Scusate, non ce la facciamo ad essere seri. Proviamo ad essere serissimi ovvero dando il loro nome agli oggetti. Infatti quella che Renzi, presidente del consiglio, sta somministrando agli italiani è una serie di sontuose supercazzole. Da far impallidire il ricordo dell’altra serie dove si erogavano supercazzole: quella del film Amici miei che da toscani sappiamo leggere in molte sfumature. Il regista? Il consulente di Renzi, l’ormai mitico Notfup, nick e acronimo di not my fucking problem, alias Filippo Sensi, ex assistente di Rutelli, uno che delle supercazzole ha fatto scuola manierista, con tesi di dottorato dedicata alla fenomenologia. E qui il Sensi deve aver esagerato con la sospensione del giudizio, tema classico di ogni dibattito fenomenologico, facendo sospendere la realtà ad un intero paese, allontanandola dai giornali e dagli schermi video.

Fateci caso: c’è una questione economica? Vai con la presenza rassicurante del ministro dell’Economia. O con quella euforizzante del presidente del consiglio in persona. Al massimo c’è quella pedagogica dell’esperto, sempre in linea col governo. Il set di Sensi è la politica quotidiana, su tutte le piattaforme mediali, qualsiasi siano i temi da affrontare. E sul set, Renzi prende gli applausi. Mancano gli spettatori come accaduto durante il narcotico discorso di Renzi all’Onu? Si fanno circolare foto ritoccate col Photoshop di una aula dell’Onu stracolma. Chissà cosa avrebbe pensato Husserl, padre della fenonomenologia, del Photoshop. In molti lo danno come antenato dell’intelligenza artificiale, Sensi lo porta direttamente alla realtà virtuale.

L’economia? Una serie di notizie, che si rimandano tra loro, dove Renzi afferma che l’Italia in 10 anni supererà la Germania. E qui si tocca, con mano, la differenza con la supercazzola originaria, quella di Tognazzi. Quest’ultima doveva scatenare la risata mentre quella di Renzi, regia di Sensi, deve pure essere presa come qualcosa di serio. Siccome per costruire la realtà, come un fenomenologo sa visti gli studi matematici di Husserl, ci voglio i numeri non sia mai che in Renzi, sotto regia di Sensi, manchino. Positivi, certificati dall’Istat, o meglio un più zero virgola qualcosa che è sempre visto come un oggetto che si presuppone in crescita economica.

C’è una stagnazione globale in arrivo? Nessun problema, si prende qualche previsione di qualche organismo internazionale, la si interpreta come fa comodo e la si fa girare sul mainstream mediale italiano. E così, nel flautato mondo della supercazzola renziana, l’economia globale si contrae mentre l’Italia cresce. Da non credere: l’economia tedesca, quella giapponese e quella Usa, assieme a quella cinese, rallentano. L’Italia cresce. C’è una sola spiegazione: l’unica cosa che cresce è la supercazzola renziana evidentemente già prezzata in borsa in modo tale da risollevare le sorti del Pil.

È risaputo che in un paese il cui parlamento, a suo tempo, ha espresso un parere ipotetico e complesso sulla parentela tra Ruby e Mubarak queste faccende sono affari correnti. Persino le ipotesi di un qualche effetto, espresse cautamente dal ministro dell’economia, dell’affare Volkswagen sull’Italia sono scomparse presto dal set. Palcoscenico nel quale la politica estera è una serie di occasioni per un discorso di Renzi, che appare sempre dinamico, risolutivo e gioviale. Mentre il suo socio Verdini, ormai lontano da un Berlusconi in disarmo, si mette a cantare in tv la sua reinterpretazione dei versi di Modugno. Canzoncina, si giura sempre in diretta tv, cantata spesso al telefono con il braccio destro di Renzi, Lotti.

Non siamo al regime, evidentemente, ma alla burletta. Non è scontato che un paese finisca in modo serio e l’Italia di Renzi ne è la riprova. Tutta questa cortina di sceneggiate, di numeri declamati in modo dadaista e spacciati come “crescita”, di accuse di gufo a chi si mette le mani nei capelli di fronte a questo spettacolo, nasconde una serie di difficoltà del governo. A comporre una finanziaria che riesca a stare in piedi, rispettando una serie di clausole di salvaguardia, leggi bagno di sangue di trasferimenti finanziari chiesti da Bruxelles per sacrifici alla dea dell’austerità sempre più privi di senso, ma anche liberando risorse per una base sociale di piccoli e grandi proprietari. A tagliare senza che il paese crolli in mano al governo, a negare ogni diritto senza che qualcuno possa farci qualcosa. A soddisfare la Germania, che necessita di austerità nel sud Europa per tesaurizzare il proprio surplus nella bilancia dei pagamenti dell’eurozona, e allo stesso tempo a provare a rilanciare il paese secondo i dettami di un reaganismo che, se applicato, lascerà più ricchi i ricchi e più poveri i poveri.

Renzi da settimane sta sparando, non a caso, cifre come nelle offerte per cambiare gestore telefonico. Deve intrattenere la platea e tenere la scena mentre, sempre lui, dietro le quinte fa il gioco pericoloso. Tra Roma, Berlino e Bruxelles. E la storia non voglia che lo colga qualche crisi internazionale visto che, all’Onu, ha promesso di prendere la leadership politica sul caso Libia. Impoverirà il paese con la finanziaria ma chiede consenso in cambio di sgravi sull’Irpef, l’Ires (prima rimandati al 2017 poi, forse, applicati nel 2016), promette sconti al canone Rai come lo scorso anno faceva con il bonus bebè. Suonava bene in tv, misura veramente poco più che pubblicitaria ma ora ci vuole altro. Il canone tv, specie quando chi paga oggi si deve sobbarcare anche l’abbonamento mediaset per la Champions o semplicemente risparmiare, il suo effetto lo fa. Resta un paese incredulo, silente, autoreferenziale.

Con Landini, a proposito di supercazzole, che è riuscito anche quest’anno, come il precedente, a dire che la Fiom potrebbe occupare le fabbriche. Non ha detto se quelle piene o quelle vuote. Queste ultime sono ormai abbandonate anche dai rave, la Fiom potrebbe accomodarsi lì. Non farà effetto politico, tanto non lo avrebbe fatto comunque, ma in compenso si stabilirebbe un precedente mondiale. Un sindacato che si riappropria dello spazio lasciato vuoto dai rave con l’occupazione delle felpe rosse. Sempre meno triste delle incomprensibili, proprio nel linguaggio, adunate di Landini con Don Ciotti ed Emergency.

Della nuova modalità di propaganda a reti unificate, di cui la supercazzola renziana è espressione fenomenica, pare poi proprio non interessare a nessuno. E’ stato attaccato, dai renziani, persino il Tg3 che, in quanto a fedeltà politica al centrosinista, in zelo di regime nella storia d’Italia è secondo solo alla Rai fanfaniana di Bernabè o al Minculpop di Gaetano Polverelli e di Galeazzo Ciano. Passerà, anche perché periodi come questo sono, di solito, di passaggio ad eventi traumatici che sono propedeutici ad un qualche brusco risveglio collettivo. Ma ci venga permesso di ricordare Debord che nei Prolegomeni alla società dello spettacolo parlava dell’Italia come di un paese immerso nello spettacolare integrato. Cioè dimensione dell’esperienza collettiva ormai indistricabile dallo spettacolo, di ogni forma, di ogni modalità istantanea di espressione. Debord sosteneva che questo accadeva perché l’Italia non ha una vera tradizione democratica. A vedere Renzi, e il suo infaticabile regista Sensi, vengono però a mente altre cose. Ovvero che tutto avviene perché l’Italia ha una grande tradizione di avanspettacolo. E’ sfuggito a Debord che l’espressione avanspettacolo nasce in Italia, nel novecento, per indicare lo spettacolo teatrale, spesso breve e banale, che doveva introdurre al film vero e proprio.

Ecco bravi, Renzi e Sensi, intratteneteci ancora un po'. Prima dello spettacolo vero. Qualunque sia. E intanto vai con le supercazzole. Magari dopo il superamento della Germania in dieci anni, il popolamento delle Madonie e un programma spaziale in grado di rivaleggiare con la Nasa. L’ultimo grande sketch di avanspettacolo prima del film vero. Che si annuncia dell’orrore ma questa è roba per registi veri.

Redazione, 7 ottobre 2015

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