Sabato 3 ottobre si è concluso il tour asiatico dei Bon Jovi, storica band statunitense che ha contribuito ad avvicinare il grande pubblico all'hard rock e al metal, pur trattandosi di una versione edulcorata e più commerciale del genere. Il gruppo per promuovere l'ultimo album What About Now, ha deciso di terminare il tour all'HaYarkon Park di Tel Aviv, Israele. Ciò ha suscitato l'indignazione di Roger Waters, storico leader creativo dei Pink Floyd, da tempo sostenitore della causa palestinese.
Qui di seguito le parole di Waters, che non lascia ombre ad equivoci.
Cari Jon Bon Jovi, David Bryan e Tico Torres,Non nasce certo oggi la diatriba tra chi sostiene la completa libertà e autonomia del musicista rispetto al contesto politico e sociale, e tra chi invece pensa che l'artista debba fare delle scelte e prendersi determinate responsabilità, che crescono in base al crescere della visibilità mediatica.
In passato ho spesso scritto lettere dettagliate, e qualche volta persuasive, ai colleghi dell'ambiente musicale, cercando di incoraggiarli a non dare credito al governo di Israele e alle sue politiche di apartheid con il rifiuto di esibirsi in Israele. Avendo letto i commenti di Jon nello Yediot Ahronoth della scorsa settimana, non mi sprecherò a scrivere paralleli con l'apartheid in Sudafrica e la posizione morale sostenuta da alcuni artisti in passato, e da molti adesso, nel corso delle lunghe decadi di oppressione israeliana ai Palestinesi.
Il dato è tratto, siete convinti di suonare a Tel Aviv il 3 Ottobre. Avete preso una posizione.
Siete spalla a spalla
Con il colonizzatore che ha bruciato il bambino
Con il guidatore del bulldozer che ha fatto a pezzi Rachel Corrie
Con il soldato che ha sparato ai piedi del calciatore
Con il marinaio che ha bombardato i bambini in spiaggia
Con il cecchino che ha ucciso il bambino con la maglietta verde
E con quello che si è svuotato dentro una bambina di 13 anni
E il ministero della Giustizia che ha chiesto il genocidio
Avevate una possibilità per mettervi
Sul lato della giustizia
Con il pilota che si è rifiutato di bombardare i campi profughi
Con l'adolescente che ha scelto otto anni di prigione invece dell'esercito
Con il prigioniero che ha fatto 266 giorni di digiuno fino alla libertà
Con il dottore che è stato respinto per aver salvato delle vite
Con il contadino che è stato accoltellato per marciare attraverso il muro
Con il bambino senza una gamba che cresce tra le macerie
E tutti i 550 che non cresceranno mai
Per colpa dei missili e dei carri armati e delle munizioni che abbiamo mandato
I morti non possono ricordarvi i crimini che avete ignorato. Ma, per timore di dimenticare, "Restare tra i silenziosi e gli indifferenti è il peggior crimine di tutti"
Roger Waters
E' vero che chi fa della musica il proprio lavoro, deve fare i conti con molti compromessi, che possono riguardare la scelta del genere (o meglio del non genere in quanto prodotto massificato) o la decisione di non dare particolare importanza al luogo in cui si tengono i loro concerti, o ai suoi fun, o ancora all’immagine estetica di se e a ciò che può indurre nella società.
Ci sono volte, però, in cui restare indifferenti, fare finta di niente e girarsi dall'altra parte è di per sé una scelta di campo. Questo caso è, a parere di chi scrive, una di quelle volte. Chiudere un occhio davanti a cosa simboleggia Israele, alla luce del suo ruolo in uno dei conflitti più lunghi e sanguinari dei nostri giorni è quanto meno ingenuo se non ipocrita.
La musica è parte della società, è parte della nostra umanità. Prenderne atto è prendere posizione. Perché volenti o nolenti, la musica è parte di noi, ci definisce ed esprime quello in cui crediamo.
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