di Michele Paris
Nei prossimi giorni, in almeno due o forse tre stati americani
partirà un riconteggio dei voti espressi nelle presidenziali dell’8
novembre scorso in conseguenza dei ricorsi presentati dalla candidata
alla Casa Bianca per i Verdi, Jill Stein, a cui si è unita in maniera
riluttante anche Hillary Clinton. La revisione delle schede e la
verifica dell’integrità delle apparecchiature per il voto elettronico
non dovrebbero modificare il risultato finale favorevole a Donald Trump,
ma la vicenda appare ugualmente interessante per via della reazione
alle richieste di riconteggio manifestata dai vertici del Partito
Democratico, a cominciare dal presidente uscente Obama.
Già il
fatto che l’idea di contestare il risultato del voto in stati come
Wisconsin, Michigan e Pennsylvania non sia scaturita da un’iniziativa
del Partito Democratico è piuttosto significativo. Infatti, non solo
sarebbe ovviamente Hillary a beneficiare di un ipotetico ribaltamento
dei risultati, ma l’esiguità del margine di vantaggio nei tre stati
rende del tutto legittima una richiesta di riconteggio.
Ancor
più, la vigilia delle presidenziali era stata animata da ripetuti
avvertimenti al limite dell’isteria da parte della squadra di Hillary e
dei suoi sostenitori circa il pericolo di un’intrusione nei sistemi
informativi elettorali americani di hacker al servizio del governo russo
che avrebbero potuto alterare l’esito del voto a favore di Trump.
Queste
preoccupazioni hanno invece lasciato spazio alla conciliazione nei
confronti del presidente eletto all’indomani dell’8 novembre, a conferma
che la retorica anti-russa delle settimane precedenti serviva soltanto
ad alimentare un clima da caccia alle streghe, utile per preparare il
campo a nuove provocazioni nei confronti di Mosca.
In ogni caso,
le pratiche per il riconteggio delle schede sono state avviate in
Wisconsin e in Michigan, dove, secondo i dati ufficiali, Trump ha
ottenuto rispettivamente circa 22 mila e 10 mila voti in più di Hillary
Clinton su 2,9 milioni e 4,8 milioni di consensi espressi. In entrambi
gli stati, tradizionalmente orientati a votare per il candidato
Democratico alle presidenziali, il governatore e il procuratore generale
sono Repubblicani.
In Pennsylvania, Trump ha invece un vantaggio
relativamente più consistente – 68 mila voti su 6 milioni – ma proprio
in questo stato sono da tempo segnalati i maggiori rischi di brogli o
errori di conteggio, visto che le macchine elettroniche utilizzate non
stampano, come altrove, una copia cartacea che riporti il voto espresso
dagli elettori. A livello puramente teorico, un ribaltamento dei
risultati in tutti e tre gli stati e la consegna dei loro “voti
elettorali” a Hillary Clinton sarebbe sufficiente a cambiare l’esito
delle presidenziali.
Dubbi sulla regolarità del voto in questi
stati erano stati sollevati da un docente di informatica dell’Università
del Michigan, Alex Halderman, il quale, pur sostenendo di non disporre
di alcuna prova di brogli o manipolazioni, in Wisconsin aveva rilevato
uno schema anomalo nei risultati. Nelle contee di questo stato che
utilizzano macchine per il voto elettronico, Hillary Clinton aveva
infatti ricevuto il 7% di consensi in meno rispetto a quelle dove sono
previste schede cartacee e scanner ottici.
Mentre in Wisconsin e
in Michigan sono già state completate le procedure per l’attivazione del
riconteggio, così come sono stati depositati i fondi per il pagamento
delle spese a esso connesse, a carico di coloro che fanno ricorso, in
Pennsylvania le norme previste sono più complesse, tanto da mettere in
dubbio la possibilità di ottenere una verifica complessiva del voto.
Secondo la legge americana, qualsiasi riconteggio deve comunque essere
ultimato entro 35 giorni dalle elezioni, in questo caso il 13 dicembre,
poiché sei giorni più tardi i “grandi elettori”, che negli USA votano
materialmente per il presidente, si riuniscono nei rispettivi stati per
ratificare la decisione popolare.
Come
già anticipato, l’aspetto più rilevante dal punto di vista politico
della questione dei ricorsi è legato però all’atteggiamento dei leader
Democratici. Hillary e il suo staff avevano inizialmente ignorato le
richieste di riconteggio promosse dalla candidata alla presidenza dei
Verdi. La decisione di prendere parte al procedimento è stata presa solo
dopo che la vicenda ha assunto carattere nazionale ed è stata ripresa
con una certa frequenza dai principali media.
In sostanza,
Hillary e i suoi si sono visti quasi costretti a unire le forze con
quelle dei sostenitori di Jill Stein per evitare che il movimento
popolare anti-Trump, ovviamente favorevole a un riconteggio delle schede
negli stati più equilibrati, sfuggisse di mano al Partito Democratico,
con il rischio di incanalarsi verso un percorso di protesta alternativo.
Anche
se formalmente gli avvocati di Hillary avranno un ruolo nelle pratiche
legali in atto, l’ex segretario di Stato e il suo entourage continuano a
mostrare freddezza nei confronti della vicenda. Le prese di posizione
dell’ormai ex candidata alla Casa Bianca sono affidate per lo più a
dichiarazioni stringate, spesso espresse sui social media, del
consulente legale, Marc Elias, mentre ciò che prevale negli ambienti
Democratici, come ha scritto lunedì la testata on-line Politico, è un
senso di “irritazione” nei confronti di Jill Stein e dei Verdi.
Ancora
più indicativa, e per certi versi sconcertante, è stata poi la reazione
del presidente uscente. Attraverso un esponente della sua
amministrazione, Obama qualche giorno fa ha di fatto condannato i
ricorsi in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, per affermare la fermezza
con cui la Casa Bianca intende accettare “i risultati delle elezioni”, i
quali “riflettono accuratamente la volontà del popolo americano”.
Quest’ultima
dichiarazione è particolarmente straordinaria, sia per la manciata di
voti che separa Trump da Hillary in alcuni stati decisivi sia per il
fatto che, in definitiva, solo un quarto degli elettori americani ha
alla fine votato per il candidato Repubblicano. Soprattutto, però, la
dichiarazione del portavoce di Obama legittima l’agenda di estrema
destra del presidente eletto malgrado la sua rivale abbia ottenuto
qualcosa come 2,2 milioni di voti in più su scala nazionale.
Un
dato simile è decisamente senza precedenti nella storia elettorale
americana. Anzi, il margine di vantaggio di Hillary nel voto popolare
risulta addirittura superiore a quello fatto registrare da sette
candidati vincenti a partire dal 1900 (McKinley nel 1900, Taft nel 1908,
Wilson nel 1912 e 1916, Truman nel 1948, Kennedy nel 1960, Nixon nel
1968 e Carter nel 1976).
Se il sistema elettorale americano –
antiquato e innegabilmente antidemocratico – consente un esito di questo
genere, visto che a decidere sono i “voti elettorali” assegnati da ogni
singolo stato, con il risultato di penalizzare quelli più popolosi, un
divario simile a favore del candidato perdente dovrebbe quanto meno
spingere il partito di quest’ultimo a chiedere al presidente eletto di
tenere in seria considerazione la volontà di quella che, a tutti gli
effetti, è la volontà della maggioranza numerica degli elettori.
Al
contrario, i vertici Democratici si sono affrettati a garantire piena
legittimità all’agenda ultra-reazionaria di Trump, a sua volta sentitosi
libero di nominare individui di estrema destra a cariche importanti
nella sua nuova amministrazione.
Il comportamento di Obama, in
particolare, è tanto più incredibile se si considera che solo all’inizio
di ottobre l’ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale e il
Dipartimento della Sicurezza Interna avevano preso la decisione senza
precedenti di accusare ufficialmente un governo straniero – quello russo – di interferire in maniera deliberata nel processo elettorale
americano per favorire un candidato alla presidenza (Trump).
L’indifferenza
e l’ostilità verso le richieste di riconteggio mostrata dai leader
Democratici, anche senza entrare nel merito delle effettive possibilità
di successo, rivela dunque un aspetto fondamentale che caratterizza la
classe dirigente americana, vale a dire la paura di favorire un qualche
movimento di opposizione nel paese diretto contro il sistema politico di
Washington.
Un timore che, come dimostra il voltafaccia di Obama
sulla possibile manipolazione delle elezioni, supera di gran lunga
quello di vedere insediarsi alla Casa Bianca un’amministrazione con
chiare tendenze fasciste. Obama, d’altra parte, alla chiusura delle urne
ha fatto di tutto per garantire una transizione senza scosse, mentre in
una conferenza stampa aveva definito lo scontro pre-elettorale tra
Democratici e Repubblicani, considerato dai media americani tra i più
duri della storia, come una mera “disputa tra le mura domestiche”.
Nelle
considerazioni post-voto di Obama, ma anche della stessa Hillary, fermo
restando lo shock per una sconfitta che in pochi si attendevano, sugli
scrupoli democratici ha prevalso così la necessità di garantire la
continuità e la salvaguardia dei grandi interessi che rappresentano
l’unico riferimento della politica americana, al di là degli
schieramenti.
Le
prove di questa realtà sono state molteplici nelle ultime settimane, a
cominciare dalle parole della responsabile della campagna elettorale di
Trump, Kellyanne Conway, la quale in una recente intervista alla CNN ha
rivelato come Trump e Obama stiano “discutendo regolarmente su svariate
questioni”.
Ancora più significative sono inoltre due iniziative
prese nei giorni scorsi dal presidente uscente per garantire al suo
successore fondamenta più solide nella costruzione di uno stato
autoritario e la facoltà di espandere l’impegno militare americano
all’estero senza troppi vincoli.
Nel quasi disinteresse generale,
Obama ha da un lato assegnato maggiore libertà d’azione alle Forze
Speciali, svincolandole dal controllo dei vari comandi regionali delle
Forze Armate e trasformandole di fatto in squadre clandestine della
morte al servizio diretto del Pentagono, e dall’altro ha scartato
l’ipotesi di adottare regole più stringenti per l’utilizzo dei droni,
consegnando in maniera intatta a Trump uno strumento ben collaudato per
proseguire la campagna di assassini mirati virtualmente in ogni angolo
del pianeta, incluso il territorio americano.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento