30/11/2016
Weather Underground. Incontro con Bill Ayers e Bernardine Dohrn
Non c'è bisogno di un meteorologo per capire da quale parte sta soffiando il vento
La Weather Underground Organization, o più brevemente Weathermen, è stata una delle organizzazioni rivoluzionarie più rappresentative del panorama politico della sinistra radicale degli anni sessanta in USA. Scelsero da subito la lotta armata e colpirono siti eccellenti fra cui il comando della Polizia di New York, il Campidoglio ed il Pentagono (i loro attentati colpirono però solo edifici pubblici, “simboli” del sistema e non fecero alcuna vittima). Il loro slogan “portiamo la guerra a casa loro” fa capire che la loro lotta cominciò come ribellione all’intervento americano nella guerra in Vietnam; come avrà a dire Mark Rudd, un altro degli appartenenti al gruppo, “quella guerra aveva fatto impazzire tutti... ma non potevamo restarcene in silenzio, non reagire a quella violenza che esportavamo in Vietnam, ce ne saremmo sentiti complici...”. Nata da una costola dell’SDS (Students for Democratic Society), l’organizzazione, pur operando in completa clandestinità, è stata l’unica esperienza a tentare il connubio fra organizzazione strettamente politica e mondo della controcultura; altri movimenti sorsero in quegli anni, movimenti ed organizzazioni che nascono da rivendicazioni razziali, ma soprattutto contro la guerra e per il diritto alla parola, (il Free Speech Movement di Mario Savio), ma nessuno di loro ebbe lo stesso seguito per così breve tempo.
In questo incontro avvenuto nello spazio della biblioteca “Moby Dick” alla Garbatella, due dei membri fondatori dei Weathermen, si raccontano e ci presentano i nuovi movimenti che operano adesso negli States, dandoci degli strumenti preziosi per leggere la realtà statunitense post elettorale. Durante l’incontro è stato presentato il libro di Bill Ayers “Fugitive days... memorie dai WUO”:
“Il libro non è una ricostruzione storica, né un testo accademico, è soprattutto un ripensamento di una coscienza a distanza di quasi mezzo secolo. Il movimento doveva fare di più... ribadisce però le ragioni di fondo di una ribellione... quando ti rendi conto di non riuscire ad andare avanti, di essere in una posizione di stallo, non ci si tira indietro, non si smette, né ci si pente; si cerca e si trova un’altra strada. I W.U.O. hanno rotto ad un certo momento con gli altri gruppi che facevano azione non violenta, per fare un salto di qualità: il loro motto era... “PORTIAMO LA GUERRA A CASA LORO...” che significava facciamoli sentire in guerra... facciamogli provare le stesse sensazioni che provano in Vietnam le vittime della guerra... rimanere inattivi mentre la propria nazione compiva azioni di una tale violenza, voleva dire rendersi complici di quella violenza, fare violenza a nostra volta.”
Di seguito gli interventi introduttivi di Bernardine Dohrn e Bill Ayers.
BERNARDINE DOHRN. Il mio nome è Bernardine Dohrn e sono una dei protagonisti del documentario* che ora vedremo insieme; sono stata un’attivista per tutta la mia vita e a suo modo, lo sono ancora adesso (la Dohrn opera nei tribunali per i diritti civili delle minoranze, delle donne e dei minori, ndr); vi invito a venire anche al prossimo incontro, che si svolgerà il prossimo venerdì 25 novembre, per poter incontrare Alicia Garza, un’altra attivista e fondatrice del movimento “Black Lives Matter”... Farò solo una nota introduttiva riguardo chi e cosa sono stati i WUO, poi a seguire, ci sarà un dibattito e potrete farci qualsiasi tipo di domanda... Questo documento è stato realizzato da due giovani registi... Beh, per me ormai tutti quanti in realtà sembrano giovani, però quando è stato girato questo documentario i due registi erano veramente giovani, e hanno scoperto il nostro movimento, durante le loro ricerche per produrre il film; durante la lavorazione, si sono domandati come mai nulla fosse mai uscito allo scoperto riguardo questa importantissima corrente che si era venuta a creare... Sam Green e Bill Siegel hanno girato questo documentario prima dell’9/11 e tutte le interviste sono avvenute prima degli attentati al World Trade Center del 2001, quindi prima di un momento che ha segnato una svolta, ed ha cambiato completamente la vita della popolazione americana; di conseguenza è stato uno snodo anche per quella che è stata una crisi della politica e della società americana...
Bill e Sam hanno montato il film dopo il 9/11e quello che viene fuori dal film è una visione molto “dark”, un periodo molto grigio per la vita americana, dal punto di vista della politica... Il film poi usci all’inizio del 2003, proprio prima che cominciasse la guerra con l’Iraq (la seconda guerra del Golfo conclusa in tre settimane dall’amministrazione Bush jr., ndr), e la reazione a questa guerra portò una nuova energia ai movimenti antimilitaristi. Per queste ragioni di impegno sociale il documentario è stato insignito del premio dell’Academy Award nella sezione documentari... Ultima cosa da dire è che QUESTO film non è il nostro film, non è il film che IO avrei fatto o che Bill avrebbe fatto, questo è il LORO film, la LORO lettura degli avvenimenti. Magari dopo parleremo anche di questo, di quello che non ci piace nel film, ma sicuramente è una testimonianza per farvi capire quello che è successo; è per questo che vi invito a guardarlo con occhio critico...
BILL AYERS. Buonasera, è meraviglioso essere qui, siamo qui da sole 24 ore, e siamo stati letteralmente rincorsi da una marea di compagni... Siamo stati abbracci ovunque per Roma... Quello che voglio dire è che siamo molto felici di essere qui e che dobbiamo essere veramente grati a tutti quelli che si sono impegnati per noi, per farci sentire a nostro agio. Ho una richiesta da farvi: se qualcuno potesse ospitarci qui, altrimenti dovremmo tornare subito da Trump, in USA, e non sarebbe proprio il massimo... Comunque volevo dirvi che nonostante l’orrore che ha suscitato la recente elezione di Trump, e il male e l’amarezza che ci sta dietro e che fa soffrire la società americana, la sollevazione a quello che sta succedendo sta diventando sempre più dura, si stanno risvegliando nuovi movimenti associativi, ed è anche fonte di gioia; e rassicura sapere che ci sono anche altre persone che come noi vogliono farsi sentire. Ok grazie per la partecipazione e ci aggiorniamo alla discussione, dopo la visione del documentario.
Dopo la visione del film Bill e Bernardine hanno risposto ad una serie di domande poste dagli studenti dell’università e di alcuni giovani che hanno partecipato all’iniziativa.
B.D.: In primo luogo vorrei ringraziare i compagni del CSOA “La strada” e “La casetta Rossa” per aver organizzato tutto questo, e voglio ringraziare anche tutti quelli che hanno partecipato allo sforzo e alla lotta fatti per conquistare questo spazio occupato, per farne una biblioteca, per gli studenti dell’Università. C’è un argomento che mi preme molto ricordare ed è questo: durante gli anni ’60 e fino ai primi ’70, in Vietnam venivano uccise circa 6.000 persone a settimana. Noi pensavamo che la guerra americana in Vietnam fosse ingiusta e completamente immorale e anche quando, dopo la fine della guerra, i soldati rientrarono in patria raccontando gli orrori di quella guerra, non si raggiunse lo scopo: quello cioè di allontanare il nostro paese dal concetto della guerra. Si trattava di una crisi globale. La guerra in Vietnam non era la sola guerra... nel mondo c’erano altri due o tre Vietnam; in Africa si combatteva per sovvertire il regime portoghese, in Sud Africa si lottava contro l’apartheid, poi c’era Cuba, i Tupamaros in Uruguay che combattevano per la loro indipendenza, e noi ci sentivamo parte integrante di questo movimento e volevamo far parte in qualche modo di quella rivoluzione. Alla fine abbiamo deciso di mettere il Paese davanti al fatto compiuto, agli orrori della guerra ed abbiamo coniato uno slogan che abbiamo inserito nel nostro primo comunicato: “PORTIAMO LA GUERRA A CASA LORO”. E questa è stata la nostra esperienza. Senza fare vittime, abbiamo colpito i loro “simboli”, abbiamo fatto sentire il sistema aggredito...
B.A.: Ringraziamenti anche a Sandro (Portelli professore di letteratura americana all'Università La Sapienza, ndr) ed a tutti... Come diceva poco fa Sandro, questo non è un momento accademico, ma soprattutto un momento di riflessione, per capire qual è il momento storico in cui ci troviamo e come reagire a quello che ci sta succedendo intorno. Questo dobbiamo comunque farlo tutti insieme. Dobbiamo sentire ciascuno la propria responsabilità nei confronti dell’essere umano, dobbiamo guardarci l’un l’altro; nelle ultime due settimane, dopo la tornata elettorale USA, la gente si è riunita spontaneamente ovunque, non solo per protestare, ma anche solo per parlare in incontri pubblici, per affermare l’esistenza della propria comunità e per insistere che combatteremo per affermare i diritti della nostra comunità. Nessuno di noi ha nostalgia degli anni ’60, anzi trovo sia molto penoso che dei “vecchi”, come ci considerano alcuni, pensino al passato con forte nostalgia. Non ci piace pensare a noi come delle imbarcazioni lasciate alla deriva... Per fare un esempio: la nostra tessera dell’SDS diceva che noi eravamo persone della nostra generazione, che cresceva in un mondo che ci dava facilmente qualsiasi comfort, se te lo guadagnavi. Gente che guardava ad un mondo che li avrebbe accolti facilmente, se avessero lottato... Sapete, io ho ancora la mia tessera e sono ancora una persona della mia generazione, ed è proprio per questo che mi rifiuto sia di essere spinto fuori, da parte, di guardare dolorosamente al passato. Il futuro è davanti a noi... Poco fa parlavo dei ’60, i cosiddetti anni ’60, voglio ricordare che purtroppo questo periodo è stato mitizzato... I sessanta sono un mito ed un simbolo. Ma non conosco nessuno che vive solo “per decadi” e che quando per esempio si accorge che è il 31 dicembre 1969 esclama: “oh merda, gli anni sessanta stanno quasi per finire”. Questo per dire che l’essere umano “trascende” le decadi, vive nel futuro. Ricordo di una volta in cui un giornalista francese chiese a Chou En- Lai (premier della Repubblica Popolare Cinese dal 1949 al gennaio 1976, ndr) quale fosse stato, secondo lui, l’influsso che la rivoluzione francese aveva avuto nei confronti di quella cinese, che era appena all’inizio; il premier rispose che “era troppo presto per dirlo”. Qualsiasi cosa siano stati i ‘60 essi sono il preludio all’oggi, sono stati il preludio a quello che oggi dobbiamo fare. Noi dobbiamo seguire il ritmo dell’attivismo, tuttavia mi accorgo che anche per me dirlo è facile, ma il difficile, come per tutti, è metterlo in pratica. Giorno dopo giorno, quello che dobbiamo fare è riassunto in tre step: fare attenzione, aprire gli occhi ed andare avanti. Questo è quello che BLM dice... Dobbiamo svegliarci e poi dobbiamo essere colpiti, stupiti, dobbiamo essere stupefatti dalla bellezza e dall’estasi che l’umanità è capace di produrre, di ciò che ci circonda, ma anche dalla crudeltà, consapevoli della sofferenza... Perché c’è sofferenza in giro... Terzo step è l’azione; aggiungerei un quarto step: è il dubbio, la riflessione, il ripensare ciò che si è compiuto. Questo è anche il ritmo della cittadinanza, il ritmo della lotta morale. E' semplice: fare attenzione, essere stupiti, agire, dubbio... Sandro ha riferito di alcuni errori , agli albori, dei WUO, di alcuni eccessi, e secondo me un profondo errore è nel quarto passaggio, il dubbio... Puoi fare attenzione, agire, meravigliarti di quello che ti succede intorno tutti i giorni, ma, se non dubiti, fai l’errore di diventare settario... e potresti fallire. Abbiamo intenzione di portare negli States, la settimana prossima, la nostra esperienza qui, con i compagni incontrati. Sarà nostra responsabilità tornare in patria ed aprire gli occhi su quello che è la nostra realtà al momento, stupirci di questa realtà e della sofferenza che crea, poi il nostro compito sarà agire ed infine ci troveremo ad affrontare... il dubbio. Vi ringrazio per avermi dato questa possibilità.
DOMANDE:
Avete mai avuto rapporti con movimenti analoghi in Europa, in quel periodo, o avete basato la vs. analisi, pur avendo rapporti con altri movimenti, solo sulla situazione negli States...
Io faccio video e mi chiedo... il documentario termina con la “consegna” da parte dei compagni dei WUO alle forze di polizia... il compagno con il quale lavoro notava come il “sistema” sia riuscito così facilmente ad instillare il dubbio di aver sbagliato anche in questi compagni... questo può ricollegarsi a quello che si diceva poc’anzi sul dubbio?
Grazie per averci portato la memoria storica dell’altra America degli anni ’60 qui... cosa pensate dell’“altra America” di questi giorni, di D.J. Trump, cosa pensate dei BLM o del movimento attorno a Sanders...
Il prossimo 26/11 ci sarà una grande manifestazione delle donne contro la violenza maschile... A Bernardine vorrei chiedere cosa ne pensa adesso del movimento femminista, anche alla luce della recente campagna elettorale che ha visto contrapposta una donna a Trump, candidato con una carica fortemente maschilista...
B.D. In breve... Dobbiamo innanzitutto scusarci per essere degli stupidi americani che capiscono poco l’italiano... Voi parlate tre/quattro lingue e tutti parlate l’inglese. Noi, da perfetti americani ignoranti, non parliamo neanche un po’ l’italiano... Per prima cosa risponderò riguardo gli altri movimenti degli anni ‘60. Quando sono stata eletta leader nazionale dell’SDS, e poi segretario generale del movimento, noi eravamo consapevoli che la mia era una carica di unificazione, che avrebbe dovuto intessere rapporti internazionali, con movimenti, non solo negli States, ma in tutto il mondo, movimenti di tutti i tipi... Movimenti contro la guerra, per l’eguaglianza sociale e razziale, movimenti femministi, culturali... Avendo viaggiato molto per analizzare la crisi del Vietnam, mi sono resa conto di quanto sia stato importante il ruolo che ha giocato quello Vietnamita, nei movimenti... Parlo in special modo agli studenti qui presenti... Quello vietnamita ha giocato un ruolo di “ponte” fra tutte le lotte in corso in quel periodo, ha unificato tutte le lotte contro l’imperialismo dilagante... Nel 1968, durante i nostri viaggi in Europa, abbiamo incontrato delegazioni di attivisti da molte parti del mondo: Jugoslavia (anche ex-Jugoslavia, dopo lo smembramento dovuto alla guerra), giovani di Budapest (dopo i fatti d’Ungheria), attivisti Cecoslovacchi, subito dopo l’invasione russa, compagni dalla Germania, dalla Francia nel periodo del maggio francese, dalla Spagna, ed anche dall’Italia... Ed indubbiamente siamo stati fortemente influenzati da tutti, ma in special modo da voi italiani e dai tedeschi... Ci siamo resi conto che voi italiani siete maggiormente radicati nella storia del marxismo di noi americani, soprattutto se parliamo di materialismo dialettico... Soltanto una parola, per sottolineare e ricordare l’importanza del ruolo che le donne hanno avuto, dai movimenti degli anni ’60 a quelli odierni, un ruolo centrale in tutte le lotte sociali che non deve essere assolutamente sottovalutato... Per esempio Alicia Garza, che sarà qui la prossima settimana e porterà l’esperienza del BLM. Sarà interessante ascoltare... BLM è un’esperienza che ha basi nei movimenti LGBTQ. Oggi più di prima ci si è resi conto dell’importanza delle donne nella leadership dei movimenti... Negli anni ’60 non era così scontato, anche per i movimenti underground... Ed il ruolo delle donne è anche molto più chiaro ora, che negli anni ’60, forse anche per l’esistenza di questi movimenti di autocoscienza...
B.A. Inizierò rispondendo a due domande specifiche. La prima è perché ci siamo consegnati alle autorità. Anche se lo abbiamo fatto con riluttanza, non è stato facile vi assicuro... Ma dovevamo sempre tenere a mente la ragione per cui avevamo fondato questo nostro movimento. E la ragione principale era quella di poterci opporre alla guerra che l’impero americano stava facendo in Vietnam ed anche al genocidio dei neri in America. Consegnarci per noi non è stato un momento di gioia, è stata una scelta sofferta, ma in qualche senso necessaria, perché stavamo spendendo un sacco di energia a rimanere in clandestinità. Energie che potevamo spendere altrimenti... Abbiamo pensato che non avrebbe dato alcun effetto positivo continuare a vivere da soli, isolati dal movimento... Il movimento stesso non dava i suoi frutti se continuava ad essere diviso, se noi continuavamo a vivere ognuno nascosto agli altri... Bensì sarebbe stato più utile tentare di riorganizzarci sotto una veste maggiormente legale. E' stato perciò senza alcuna gioia, ma assolutamente necessario... Riconosco comunque che potevamo usufruire di un privilegio, quel particolare privilegio americano di avere la pelle bianca... Eravamo americani, ma soprattutto eravamo americani bianchi e questo ci assicurava che se ci fossimo consegnati non avremmo corso il rischio di venire assassinati... Abbiamo dovuto accettare questa cosa, anche se con un po’ di tristezza, abbiamo dovuto fare i conti anche con questa realtà... Eravamo comunque determinati, ci sentivamo come se avessimo il diritto di consegnarci come se non fosse stata una resa... In realtà quindi ha voluto essere una dichiarazione di opposizione. Uno dei nostri, senza fare il nome, di fronte alla corte, dichiarò al giudice che non voleva ci fossero fraintendimenti, che lui era un oppositore del regime imperialista americano e che avrebbe continuato a lottare con noi contro quel sistema, e che alla fine avremmo avuto la meglio e saremmo riusciti a rovesciarlo. Lui assentì ma ringraziando disse di non esser d’accordo.
Un breve cenno su Trump. Sapevo che non saremmo stati capaci di uscire da questo incontro senza neanche menzionarlo... La sola cosa di cui siamo certi è che le interpretazioni di quello che è successo, quelle che stanno dando i mass media ed il partito democratico Usa, sono a mio parere, sbagliate e narcisistiche. Di conseguenza questo Partito Democratico non organizzerà l’opposizione, né organizzerà la resistenza... Ma l’opposizione sta crescendo, sta crescendo da sola, all’istante, perché il messaggio che proviene da Donald Trump è molto esplicito. E' il messaggio che appartiene ai suprematisti bianchi, è un messaggio di misoginia, islamofobico, razzista ed esplicitamente xenofobo. E’ un messaggio che non è stato nascosto durante la campagna elettorale, non è un mistero. E' palese che Trump è riuscito a portare avanti tutto quello in cui credeva, ed è un pericolo per tutti; questa propaganda è un pericolo che, è vero, già prima conoscevamo, ma che ora è alla Casa Bianca. Dobbiamo essere preoccupati di questo e abbiamo il dovere di occuparcene. Beh, dopo le elezioni si continua a parlare del Partito Democratico, che non è riuscito a parlare alla classe operaia bianca, che ha fallito... Se ricordate, per chi lo ha visto, c’è questo film “Nick Manofredda”, in cui il carceriere continua a ripetere al prigioniero, Nick appunto, interpretato da Paul Newman, “abbiamo un problema di comunicazione”... Beh qui il problema di comunicazione c’è stato. Ed ora è tra oppressore ed oppresso... Parlando di BLM, questo è un movimento che può darci una nuova chiave di lettura delle lotte, attraverso la lotta per la libertà dei neri. Attraverso questa lotta si fa lotta contro l’impero, è qualcosa che deve guidare la trasformazione negli States...
DOMANDE:
Quali sono ora e quali sono stati i vostri rapporti con BPP.
Quali sono le vostre opinioni su queste elezioni, e perché ci hanno fatto credere, al di là del fallimento della comunicazione con la classe lavoratrice, che Trump non avrebbe vinto; secondo i sondaggi peraltro sembra che la working class non abbia votato in blocco per Trump. La vostra opinione anche su questo passaggio.
Avete votato Clinton, e se sì, con quale stato d’animo.
Bill ha lavorato come educatore per molti anni; cosa ha tratto da questa esperienza?
E ad entrambi, qual è secondo voi, il futuro per l’attivismo militante negli USA?
Come sono organizzate le lotte nelle scuole, al momento?
B.D. BLM è un gruppo composto in massima parte da giovani, che si occupa di lotte sociali e che focalizza il proprio interesse verso le violenze della polizia contro gli afroamericani dopo i fatti di Ferguson, dopo i ripetuti assassinii degli anni scorsi, proprio perpetrati dagli organi di polizia. Come avrà modo di dirvi Alicia Garza, leader del movimento, venerdì prossimo, questo è un movimento che ruota comunque intorno alla comunità queer, gay e femminista. E’ un movimento antigerarchico, che pone al centro la vittima, e che cerca di superare il problema con una logica un poco “comunitarista”, collettiva. Il BLM, si colloca all’interno di una storia per i diritti civili, che guarda al periodo storico delle lotte contro i linciaggi e gli omicidi di massa degli afroamericani, continuati fino agli anni ’60, alle lotte per l’uguaglianza dei diritti salariali combattute con l’aiuto dei sindacati (unions); sicuramente molto vicini al BPP, ma non tanto dal punto di vista della lotta armata, che da quello della comprensione di un certo “linguaggio della strada”: recentemente a Chicago, durante la Convention Mondiale dei Capi della Polizia, hanno manifestato in modo pacifico, ma militante, organizzando una sorta di “teatro di strada”. Sull’arrivo del neofascismo negli USA, visto che avete subito per vent’anni Berlusconi, forse potreste darci qualche consiglio; comunque, per quello che riguarda il razzismo e la xenofobia che pervadono la politica di Trump, questo sicuramente ha a che fare con l’ascesa dei movimenti di estrema destra, un po’ ovunque in Europa, forse come reazione al neoliberismo o al risorgere dei confini, alla paura dell’immigrazione di massa, di gente che cerca di varcare i confini, di avere accesso ai paesi più ricchi, la capacità da parte di questi movimenti di destra di evocare paure; di connettere la paura e la violenza, con la presenza degli afroamericani, o comunque dei profughi... Ed infine l’odio, il disprezzo esplicito nei confronti delle donne, tutte queste cose hanno unito delle forze “maligne”, che erano comunque presenti negli States, che hanno accresciuto le minacce nei confronti di chi attraversa i confini, minacce nei confronti dell’immigrazione di massa; si dovrebbe però tentare di trovare dei territori protetti, una sorta di santuari dedicati ai migranti, neri, cinesi ecc...
Continuando sulle elezioni... Una cosa importantissima, che probabilmente pochi sanno, è che solo il 25% della popolazione ha votato... meno di un quarto...
B.A. Rispondo alla domanda “per chi ho votato io”. E’ praticamente impossibile spiegare quanto è contorto il sistema elettorale americano, è impossibile veramente spiegarlo alla gente comune, ed è altrettanto impossibile spiegarlo agli americani. La punta dell’iceberg è il “collegio elettorale”: noi viviamo a Chicago, beh il nostro voto a Chicago non conta. Anche se votassi per mio figlio, non verrebbe preso in considerazione... E' un sistema privo di senso, affatto libero, è draconiano... Un’altra cosa che volevamo sottolineare è che Clinton ha detto che ha vinto il voto popolare. Io ho votato per Hilary Clinton, ma in realtà ho votato contro Trump. Non volevo che, pur perdendo, la Clinton avesse perso con uno scarto troppo forte... E’ stata una scelta tattica; a tutti i miei amici di ultrasinistra, e sono la maggioranza, ho detto che abbiamo 364 giorni l’anno per fare militanza; quei cinque minuti nell’urna si possono anche sacrificare al male minore. Ora veniamo all’istruzione... E' un punto fondamentale per me, sono un insegnante, ho scritto diversi libri sull’argomento e due memorie; è molto importante capire su quali argomenti puntare per far progredire l’istruzione all’interno della nostra società. La lotta, credo di poter dire in USA, come a livello globale, è fra insegnamento pubblico e insegnamento privato, è fra le “corporations” e una libera istruzione. Come voi tutti sapete, la scuola è sempre lo specchio e la finestra delle società. Quando sei a scuola vorresti fare parte della società e viceversa. Durante l’apartheid in Sud Africa, nella divisione che si compiva fra bianche e neri, già era in essere la divisione fra vinti e vincitori. Nelle società più autoritarie, lo studente, deve imparare ad obbedire e conformarsi ciecamente alle istituzioni, compresa la scuola; d’altro canto nelle società più democratiche, più libere, si tende a dare più enfasi alla creatività, alla fantasia, ed allo spirito critico, plasmando delle persone più libere ma anche più valide. Un ‘ultima cosa: insegnare a persone libere... per me insegnare a persone libere, o a persone che fanno parte di una società che tende ad essere libera, torna ad essere una questione di “ritmo”; molto di quello che oggi abbiamo in USA, deriva dalle conquiste dei movimenti per i diritti civili degli anni ‘60... In una scuola del Mississippi una delle cosiddette Freedom schools**, nel 1963 girava una specie di cv, all’atto dell’iscrizione, fatto di sole 3/4 domande: da dove vieni, perché hai scelto un movimento per i diritti civili e quale obiettivo vorresti raggiungere... Questo è un cv che fornisce ai giovani le domande principali: da dove veniamo, cosa vogliamo e come pensiamo di ottenerlo... Sono tre semplici ma fondamentali domande. I potenti hanno dato sempre per scontato che hanno avuto l’appannaggio della cultura, e che tutti gli altri sono stati sempre etichettati con altri parametri: reddito, posizione sociale, gender ecc. Dobbiamo invece pensare agli studenti come a dei soggetti attivi, senza preconcetti.
B.D. Prima di lasciarci, alcuni dati su un argomento che ancora non abbiamo trattato. Gli USA sono, si può dire, uno Stato-prigione, hanno la più alta percentuale di popolazione carceraria del mondo, 2.300.000 persone in carcere ed oltre 6 milioni di persone sotto il controllo carcerario, in libertà provvisoria, semilibertà, con regime ridotto. E di questi l’80% è afroamericano, tra i 17 e i 30 anni. Questa è la nuova schiavitù... Non dimentichiamo che questi soggetti sono esclusi dal sistema elettorale e che ci sono più persone fra 17/30 anni in carcere che nelle istituzioni scolastiche.
Note
* Il documentario è “The Weather Underground” di Sam Green e Bill Siegel prodotto nel 2002. I Weather Underground Organization o più brevemente Weathermen è stata una delle organizzazioni più rappresentative del panorama politico antagonista degli anni sessanta in USA. Scelsero da subito la lotta armata e colpirono siti eccellenti fra cui il comando della Polizia di New York, il Campidoglio ed il Pentagono. (I loro attentati colpirono però solo edifici pubblici “simboli” del sistema e non fecero mai vittime).
**Le Freedom Schools erano delle scuole americane “alternative” che a fine anni 60, sulla scia delle conquiste dei movimenti per i diritti civili, nascevano specie nel sud degli States. Il loro obiettivo era quello di insegnare agli afro-americani per fargli raggiungere una equità sociale, economica, e politica.
Fonte
Una cronaca assolutamente significativa, oserei dire essenziale per allargare lo spettro su uno spaccato di sinistra, quella statunitense, penso quasi sconosciuta ai più.
Non ho ovviamente strumenti e soprattutto conoscenze sufficienti a valutare quando esposto, posso però – limitarmi a – registrare che la sinistra e più in generale il movimentismo sono troppo "appiattite" sulle questioni civili. Penso che anteporle alle questioni sociali sia a tutt'oggi la tara maggiore che limita le sinistre radicali in USA e più in generale in occidente che comunque la cultura americana l'ha sussunta anche troppo.
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