“Basta un Sì” è lo slogan principale del comitato pro
riforma che, forse qualcuno non lo sa, è il comitato del governo,
gestito dallo staff del premier Renzi, di chi la riforma l’ha scritta e
ora la propaganda a pieni polmoni, insomma.
“Basta un Sì” per fare cosa, esattamente? Per “cambiare”, ripetono, altrimenti “resta tutto come ora”.
Ma il cambiamento in astratto non esiste: può anche non essere buono e
per questo, il cambiamento, bisogna contestualizzarlo valutandolo nel
merito, non accettarlo a prescindere. Ergo, “cambiamento” non è sinonimo di “miglioramento”.
Nessuno di noi firmerebbe neanche un contratto telefonico sulla fiducia di chi ce lo sta vendendo.
Chi vuole mantenere, come recita il facile e fuorviante slogan, “tutto come ora” è
perché ritiene, fatto il bilancio dopo aver letto la riforma, che il
cambiamento prodotto sarà peggiorativo della situazione attuale. Perché,
dunque, cambiare in peggio?
Michele Ainis, giurista e costituzionalista: “‘In Italia si
tentano riforme costituzionali da trent’anni, senza cavare mai un ragno
dal buco. Questa è l’ultima spiaggia’. Falso: dal 1989 in poi sono state
approvate 13 leggi di revisione costituzionale, che hanno corretto 30
articoli della nostra Carta e ne hanno abrogati 5. Se il sistema,
nonostante le medicine, non guarisce, significa che la cura era
sbagliata. Dunque le cattive riforme procurano più danni del vuoto di
riforme”.
1. Voto No perché in termini di produzione legislativa l’Italia non ha un deficit di velocità ma di qualità. I numeri dimostrano chiaramente che
il Parlamento italiano approva più leggi di tutti gli altri Paesi
europei ed è secondo solo alla Germania. Tra il 2008 e il 2013 il
Parlamento ha licenziato la bellezza di 391 leggi.
Stando ai dati raccolti da Openpolis dall’inizio di questa legislatura
Camera e Senato hanno discusso e approvato 252 leggi. Di queste, solo 50
hanno richiesto la navetta parlamentare: appena il 19,84%. Se
consideriamo le leggi di iniziativa governativa il numero scende
ulteriormente: il 15,27% ha necessitato di più letture. In totale il ping pong tra Camera e Senato (che la riforma non abolisce) si è verificato solamente per 1 legge su 5.
In questa legislatura, dal Jobs Act alla Buona scuola, le leggi sono
tutte state scritte e approvate in tempi fulminei, però questa velocità
non ha generato buone riforme.
Se i problemi – dicono loro – sono una Costituzione troppo “vecchia” e
il bicameralismo paritario, come mai gli Stati Uniti, che hanno una
Carta scritta oltre 200 anni fa e un sistema bicamerale identico a
quello italiano, non se ne sono mai accorti?
2. Voto No perché le riforme davvero necessarie per
lo sviluppo del Paese sono quelle su una seria lotta alla corruzione e
all’evasione fiscale, l’esatto contrario dei condoni (“rottamazione delle sanzioni”) e degli scudi fiscali (“voluntary disclosure”). Non è certo colpa della Costituzione se ogni anno l’Italia è puntualmente collocata in fondo a tutte le classifiche.
L’on. Violante, ospite da Mentana per il confronto con il prof.
Montanari (in rappresentanza del No), ha demolito in pochi secondi mesi e
mesi di campagna del Sì ammettendo candidamente che il problema
italiano non è istituzionale ma politico. Cioè dei politici arrivisti e
incapaci vogliono piegare la Costituzione – legge fondamentale – ai loro
vizi.
3. Voto No perché il bicameralismo paritario non viene abolito ma incasinato. Contraddittoriamente allo slogan “semplifichiamo” la
riforma sostituisce gli attuali due iter parlamentari con dieci
contorti meccanismi, tutti diversi tra loro che cambiano procedure e
tempi a seconda della materia, tutto fuorché chiara, ingolfando così i
lavori in Parlamento e creando contenziosi tra le camere (artt. 70, 71,
72, 73). È lo stesso comma 6 dell’art. 70 a prevedere ingorghi e litigi,
non configurando però alcuna soluzione perché se i presidenti di Camera
e Senato non giungono ad un accordo nessuno sa come procedere. Tanto
sono stati veloci da essersi dimenticati di scriverlo.
4. Voto No perché il Senato da camera alta si trasformerà in una camera delle clientele.
Nel Bundesrat tedesco, incredibilmente citato come esempio dagli stessi
sostenitori della riforma, i senatori sono delegati dei Lander, hanno
vincolo di mandato e sono obbligati a votare compatti. Se il Land della
Bassa Sassonia si esprime a favore della legge “A”, tutti i suoi
rappresentanti nel Bundesrat devono votare in quel modo. In caso di
disaccordo hanno l’obbligo di astenersi. Come voteranno i colleghi
italiani? Ognuno come gli pare, presumibilmente per meri interessi
partitocratici o per riconoscenza verso chi li ha mandati a Roma
regalando loro l’immunità parlamentare (art. 67).
5. Voto No perché un Senato al quale viene
riconosciuto, tra i tanti compiti, il pieno potere di iniziativa
legislativa (art. 71), il potere di revisione costituzionale (art. 70),
di elezione del presidente della Repubblica (art. 83) e di nomina di
parte dei giudici della Corte costituzionale (art. 135) non può essere
composto da politici nominati
e liberi da qualsiasi mandato (artt. 57, comma 2 e 67). Il Senato
attuale si differenzia da quello della riforma sostanzialmente per la
non elettività e l’impossibilità di controbilanciare lo strapotere della
soverchiante Camera, governata da una minoranza. Per il resto manterrà
gran parte delle attuali competenze, ma a questa parità di funzioni
corrisponde, appunto, disparità di elezione.
Chi vota No sceglie di tenersi quanto di buono c’è: “I senatori sono
eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno
superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli
elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno”. Art. 58
6. Voto No perché un testo solenne come la
Costituzione dev’essere chiaro e comprensibile. Quello della riforma è
ambiguo, prolisso e cavilloso come un milleproroghe: solo lo sterminato
articolo 70 rinvia ad altre disposizioni per ben undici volte.
Il testo in alcuni punti è addirittura contraddittorio: i commi 2 e 5 dell’articolo 57 sono antitetici.
Questa riforma sembra una cambiale in bianco tante sono le disposizioni
transitorie previste dall’art. 39, ovviamente ancora tutte da definire.
Ancora peggio l’articolo 64, che demanda i poteri delle opposizioni ad
futuro regolamento da scrivere e approvare a maggioranza assoluta,
quella maggioranza assoluta – 340 seggi su 630 – eletta con l’Italicum. Intascato il premio, sarà il governo a dettare. Firma e stai sereno.
7. Voto No perché il risparmio diretto e accertato
ammonta ad appena 57,7 milioni (Ragioneria dello Stato, cioè il
governo). La riduzione dei costi è demagogica e irrilevante e non
giustifica minimamente la modifica di 47 articoli della Costituzione. Un
risparmio così irrisorio rischia pure di ridursi a fronte dei cospicui
rimborsi spese che spetteranno ai consiglieri-senatori per le trasferte a
Roma: tra viaggio, vitto, alloggio, portaborse, segreterie etc il conto
sarà salato.
Se avete cercato invano un pezzo di carta ufficiale che documenta i 500
milioni pubblicizzati dal governo, non temente: non lo avete trovato
perché semplicemente non esiste. Parleranno delle Province, voi fategli
leggere questo: http://www.provincia.roma.it/news/dalla-provincia-di-roma-alla-citt%C3%A0-metropolitana
Sventolare un risparmio è solo un fumogeno per nascondere gli
aspetti davvero importanti della riforma. La Costituzione in ogni caso
non ha nulla a che vedere con i soldi. La spesa pubblica si riduce, ad
esempio, attraverso il taglio delle partecipate, ma questo governo ha
respinto senza una valida motivazione sia il piano di Cottarelli che
quello di Perotti.
8. Voto No perché difronte la crescente disaffezione
degli elettori verso la politica la soluzione è allargare gli strumenti
partecipativi, non ridurli. Per le leggi di iniziativa popolare saranno
triplicate le firme: dalle attuali 50 mila si passerà a 150 mila (art.
71, comma 3).
Per i referendum abrogativi il quorum si riduce solo se le firme
raccolte da 500 mila raggiungono quota 800 mila (art. 75, comma 4). Le
modalità di attuazione degli altri Istituti, come pure i tempi di
discussione per le leggi di iniziativa popolare, sono rimandati a
regolamenti da scrivere in un futuro non definito (art. 71, comma 4).
Anche qui, firma e stai sereno.
Per effetto dei capilista bloccati previsti dall’Italicum gran parte dei
deputati (il 60,8%, secondo i calcoli dei senatori del Pd Fornaro e
Pegorer) saranno nominati dai capi-partito. A questi si aggiungono 100
senatori, pure loro nominati.
La riduzione della partecipazione dei cittadini alla vita politica è
dovuta anche all’impossibilità di eleggere gran parte dei deputati e
nessun senatore, né consigliere né sindaco.
Dunque a spadroneggiare in un Parlamento che rappresenta quattro gatti sarà la falsa maggioranza monocolore messa al vertice della piramide dal premio dell’Italicum.
9. Voto No perché una minoranza non può ritrovarsi al governo e legiferare senza ostacoli e limiti (“decidere velocemente”,
come ammettono gli stessi promotori) in virtù di un premio di
maggioranza sconsiderato affiancato da una Costituzione priva di
contrappesi e garanzie (il Senato sarà escluso dal sistema fiduciario e i
diritti delle minoranze non codificati – artt. 94 e 64). Negli ultimi
anni abbiamo assistito inermi alla drastica riduzione della linea che
separa il potere esecutivo (governo) da quello legislativo (Parlamento).
La riforma spazza via quel poco che resta accentrando ulteriormente il
potere nelle mani di pochi che avranno il controllo permanente
dell’agenda parlamentare in forza anche dell’Istituto della decretazione
d’urgenza inserito in Costituzione (art. 72, comma 7).
La storia insegna che l’eccessiva “semplificazione”, senza le dovute contromisure, produce delle storture. La
fiducia in capo alla sola Camera era prevista già nello Statuto
Albertino, che resse tutta l’Italia monarchica, ventennio fascista
compreso. Discorso identico per il premio alla lista assegnato dall’Italicum, presente già nella legge Acerbo, altro pilastro del regime fascista.
10. Voto No perché per deliberare lo stato di guerra
sarà sufficiente la maggioranza assoluta della sola Camera dei
deputati, quella eletta con l’Italicum, tra l’altro. Sarà cioè il
partito al governo a decidere sulle missioni militari senza che nessuno
possa opporsi (art. 78). Questa criticità non potrà essere superata
neppure con l’accordo farlocco firmato da Cuperlo. Il premio di
maggioranza non è oggetto di discussione.
11. Voto No perché la riforma non è innovativa e
cancella qualsiasi forma di autonomia locale radendo al suolo il
principio di decentramento previsto dall’art. 5. Un governo onnipotente
potrà decidere arbitrariamente calpestando ripetutamente le istituzioni
territoriali. Benché, dicono i sostenitori della riforma, il Senato sarà
una “camera delle autonomie”, proprio le autonomie
locali scompaiono in quanto non avranno alcuna voce in capitolo in
materia di tutela dell’ambiente e del territorio, di infrastrutture e di
grandi opere (lettere v e z, comma 2, articolo 117). Quello che
dovrebbe essere un “interesse nazionale” sarà invece deciso
secondo l’interesse di pochi. Che si tratti di gasdotto o ponte sullo
stretto, pioveranno insindacabili ordini dall’alto.
Ma anche per quelle poche materie ancora di competenza delle Regioni lo
Stato, per mano del governo, ovvero la minoranza trasformata in
maggioranza dall’Italicum, potrà comunque imporre il suo volere
attraverso la clausola di supremazia (art. 117, comma 4).
Il ritorno indiscriminato al centralismo non servirà neppure ad
eliminare i contenziosi tra Stato e Regioni (diminuiti nel corso degli
anni) perché le materie concorrenti rientreranno dalla finestra nella
forma di materie trasversali (nel testo, “disposizioni generali e comuni”, che non delinea un chiaro confine tra le prerogative dello Stato e quelle delle Regioni).
12. Voto No perché la riforma non è stata concepita e
scritta nell’interesse dell’Italia e di noi cittadini. A tal proposito è
sufficiente leggere la relazione del governo n. 1429 dell’8 aprile 2014. Gli obiettivi della riforma sono “lo spostamento
del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del
processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di
adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance
economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”. Riassumendo:
più potere al governo e cessione di sovranità ad Istituzioni
sovranazionali non democraticamente elette come l’Unione europea.
Soprattutto attraverso gli articoli 70 e 117 si creerà un rapporto
diretto e vincolante tra Ue e Stato, con il ruolo del Parlamento del
tutto inutile.
13. Voto No perché per ammissione degli
stessi fautori questa è una riforma che rafforza il governo e
indebolisce il Parlamento e l’accentramento dei poteri inevitabilmente
intaccherà, più di quanto non avvenga già ora, i princìpi stabiliti
nella prima parte. È infatti attraverso la seconda parte della
Costituzione che si attuano i princìpi e i valori sanciti nella prima.
14. Voto No perché il governo non può impossessarsi del potere costituente. Lo stesso statuto del Pd ammonisce che la Costituzione “non
è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di
legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito
Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della
Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione
delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”. Se non bastasse l’esecutivo che ha approvato questa riforma è sostenuto da una falsa maggioranza, e per giunta di nominati (sentenza 1/2014 della Consulta).
Senza il premio incostituzionale del Porcellum il Pd avrebbe 180 seggi e
con questi numeri la riforma non sarebbe passata. Ma neanche il
truffaldino premio di maggioranza è stato sufficiente perché la riforma
fosse approvata. Il governo ha adottato qualsiasi tipo di forzatura,
lecita e non, per aggirare il Parlamento: ricatti; epurazioni dei dissidenti; canguri; sedute fiume.
Per meglio rendere l’idea: l’Assemblea costituente, eletta con sistema
proporzionale puro, approvò la Costituzione con 458 voti favorevoli e 62
contrari.
15. Voto No perché la Costituzione non sia stravolta
ma ammodernata e revisionata ponderatamente, secondo reali esigenze e
per il bene del Paese, con interventi mirati e razionali che davvero
producono un miglioramento, coinvolgendo tutte le forze politiche per
giungere al risultato condiviso richiesto dall’art. 138. Questa riforma,
nonostante diktat e ricatti, in nessuna delle sei votazioni ha ottenuto
la maggioranza qualificata dei due terzi (il 66%).
Due alternative: la sfiducia costruttiva, per garantire maggiore stabilità, e una commissione di conciliazione come la conference committee statunitense, per sanare eventuali disaccordi tra le camere.
Una postilla. Hanno firmato l’appello per il No tutti i più
importanti e autorevoli costituzionalisti italiani, dei più diversi
orientamenti politici e culturali, fra i quali 10 presidenti emeriti e
10 vicepresidenti emeriti della Corte costituzionale. Se nessun giurista
di questo livello è presente nel comitato del Sì, un motivo ci sarà.
Fonte
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