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22/11/2016

Ai sovrani il popolo piace ignorante

Un'analisi e un appello di docenti universitari di economia, in Gran Bretagna, alle prese con il dominio del "pensiero unico" neoliberista nei dipartimenti della "scienza triste" e con le modalità stesse dell'insegnamento. Una situazione apparentemente paradossale dove da un lato si insegna – si propaganda, più precisamente – l'utilità dell'assoluta libertà d'intraprendenza economica e dall'altro si vieta qualsiasi incontro con linee di pensiero economico differenti.

E' la stessa contraddizione insanabile che regola il modo di produzione attuale e tutta l'ideologia del pensiero comune occidentale. La cosa interessante, e decisamente dialettica, è che l'insofferenza per questo modo di procedere nasca dall'interno del lavoro accademico. Ossia nel luogo in cui si formano e trasmettono le conoscenze; in cui, insomma, si può distinguere abbastanza bene quali teorie hanno un senso e quali no. E soprattutto le conseguenze di un totalitarismo ideologico che sta portando la scienza economica – mai troppo distante dagli interessi immediati del capitale reale, tanto da guadagnarsi la nomea di "scienza che prevede il passato" – verso l'impossibilità di comprendere davvero l'oggetto che dichiara di studiare.

L'altra conseguenza è davanti ai nostri occhi da oltre un quarto di secolo: lo strapotere del capitale multinazionale nella gestione di un sistema che sembra non avere alternative, in primo luogo perché le alternative sono state vietate, oscurate, derise. Salvo ripresentarsi, come la vecchia talpa di Marx, quando la crisi reale terremota l'establishment insieme all'economia.

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L’insegnamento dell’economia continua ad ignorare il pensiero critico

Ai sovrani il popolo piace ignorante. Decenni di “riforme” del settore educativo hanno distrutto la capacità di comprendere il mondo che ci circonda, ma soprattutto la voglia di sapere, “humus” di ogni individuo: e l’analfabetismo funzionale, dilaga in tutti i campi.

Gli studenti si trovano a concludere il proprio ciclo di laurea, senza che gli venga mai chiesto di esprimere un’opinione. Per fortuna, le cose stanno lentamente iniziando a cambiare.

The Rethinking Economics network, The Guardian, 17 Novembre 2016

Traduzione e cura di Francesco Spataro

La sterlina, il mese scorso, è stata la valuta che ha avuto la peggior performance nel mondo. Nello stesso periodo un tribunale del lavoro, si è pronunciato contro gli autisti della compagnia “Uber”, che sono stati riconosciuti lavoratori autonomi. Il mese di ottobre, ha portato con sé i primi dati sul GDP ( Gross domestic product, il PIL britannico), dal voto per la Brexit, dati che sono risultati essere migliori del previsto. Nel frattempo l’agenzia di rating Moody’s ha minacciato di declassare la stima del credito britannico, se il Regno Unito avesse abbandonato il mercato unico europeo.

Tutti dovremmo auspicarci che la futura generazione di economisti sia pronta, con una serie di strumenti ed una vasta gamma di modelli, ad analizzare e dare un senso a questi eventi. Ma i limiti dell’insegnamento delle discipline economiche di uno studente universitario “standard” sono tali che pochissimi possono affermare onestamente di essere preparati al compito.

Tanto per illustrare la situazione, uno studio basato su 172 questionari di materie economiche provenienti da sette diverse università britanniche ha dimostrato che soltanto il 22% delle prove d’esame richiedeva agli studenti di illustrare una qualche opinione critica, libera od autonoma; e questo risultato è sceso al 6.7% per i questionari obbligatori.

Non è un’esagerazione dire che gli studenti di economia possono tranquillamente concludere il loro ciclo, fino ad arrivare alla laurea, senza che, anche solo per una volta, gli venga chiesto di esprimere una propria opinione. Questa rinuncia al pensiero critico ed a un giudizio autonomo confligge con ciò di cui hanno bisogno i datori di lavoro di questi futuri economisti, e con quello che i cittadini si aspettano dagli esperti responsabili della salute della propria economia.

A segnalare il problema nei dipartimenti di economia delle università britanniche, è un nuovo testo, “The econocracy”, con la prefazione di Andy Haldane, capo economista della Banca d’Inghilterra.

Sono trascorsi già quattro anni da quando gli studenti di economia britannici hanno chiesto una riforma del loro sistema d’insegnamento. Siamo una generazione che è diventata adulta durante il caos della crisi finanziaria globale del 2008, e siamo scioccati da quanto poco i problemi del mondo reale, siano stati inseriti nel quadro astratto dell’economia descritta nelle nostre aule.

La nostra frustrazione ci ha portati a fondare associazioni con nomi come la “Associazione di Cambridge per il pluralismo nell’economia” e la “Associazione di Manchester di economia post-crollo”. Chiediamo una formazione con più pensiero critico, posta in un contesto mondiale più reale e storico, con più “pluralismo”: in poche parole che possa mettere in connessione gli studenti con contrastanti modelli economici (femminista, Austriaco, post-Keynesiano), e per dar loro una serie di strumenti che li aiutino a riflettere sull’economia e gli permettano di giudicare cosa è meglio, per poter rispondere alle differenti domande dei problemi legati all’economia stessa.

Noi abbiamo fondato la rete “Rethinking Economics” (Ripensare l’economia), che ora collega 45 gruppi nel mondo, di cui 16 nel Regno Unito.

La buona notizia, quindi, è che le università stanno iniziando a cambiare. La scuola di Manchester, ha introdotto nuovi modelli didattici per lo studio della politica economica e delle crisi finanziarie, quella di Cambridge, ha contribuito con un nuovo modello didattico per l’analisi della storia economica. Alcuni atenei, fra i quali Greenwich, Goldsmiths e Kingston, sono andati anche oltre, e stanno riformando completamente le loro offerte formative. Questi i risultati più importanti, che mostrano che esiste un punto di vista, molto diffuso, che aspira all’insegnamento di un’economia migliore.

Questo però non vuol dire che la nostra battaglia sia conclusa; solo che le faglie, le spaccature, si sono leggermente spostate. Ora, sostanzialmente, tutti sono d’accordo che una formazione in economia deve includere più storia, più pensiero critico, ed un coinvolgimento maggiore con il mondo reale. Ciononostante, la richiesta di maggior pluralismo – probabilmente l’aspetto più importante della nostra battaglia – è ancora rifiutata dal maggior numero di università. Attualmente la formazione in economia, include l’insegnamento di una sola prospettiva: la prospettiva economica neo-classica. Delle 172 tracce (dei questionari) dello studio da noi analizzate, solo 17 richiamavano prospettive alternative. Agli economisti di domani viene insegnato che gli economisti neoclassici forniscono l’unica, corretta ed universale spiegazione di come opera l’economia nel nostro mondo.

Aprirsi all’economia, dando alla prossima generazione di economisti, una formazione pluralista, fornirà in modo determinante gli strumenti necessari per far fronte alle sfide che noi incontriamo, via via, nella nostra società. Qualsiasi altra scienza, riconosce l’importanza del pluralismo; rifiutando di fare lo stesso, in economia, si restringerà sicuramente la nostra capacità di costruire società sane e fiorenti, e noi tutti risulteremo più poveri.

Firmato:

Gina Kolbe, Aberdeen Political Economy Group

Bruno Roberts, Real World Economics at Bristol

Jacob Gibbs, Cambridge Society for Economic Pluralism

Bartosz Radomski, Edinburgh University Society for Economic Pluralism

Iva Parvanova, Glasgow University Real World Economics Society

Samiah Anderson, New School Economics Goldsmiths

Liam Cordrey, Greenwich Pluralism in Economics

Shanice Lewis-Spencer, Kingston University Rethinking Economics

Carlo Corbani, Open Economics Leeds

Jack Hughes, Post-Crash Economics Society Manchester

Daniel Moseley, Newcastle Economics Society

Max Schroder, Rethinking Economics Oxford

Isaac Stovell, Alternative Economics Society Sheffield

Peter Andreas Nielsen, Open Economics Forum SOAS

Eva-Maria Egger, Pluralist Economics at Sussex

Joel Christoph, Better Economics UCL


Fonte

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