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29/11/2016

Oman: la variabile indipendente del Golfo

di Francesca La Bella

A volte per cercare di capire i mutamenti di un’area in continuo movimento come il Medio Oriente è necessario osservare i Paesi che, apparentemente periferici, riescono ad assumere un ruolo integrante nelle più vaste dinamiche geopolitiche. E’ questo il caso dell’Oman. Il sultanato della Penisola Arabica, dopo l’inizio della guerra in Yemen, ha, infatti, assunto una posizione di mediazione nella questione e si è posto come attore con comportamenti difformi rispetto alle scelte dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG). L’allontanamento dell’Oman dalla sfera di influenza saudita ha, però, un’ampiezza ben più vasta di quella strettamente relativa al conflitto yemenita e ripercuote i suoi effetti sia in ambito politico sia in ambito economico.

A riprova di questo allontanamento, il vertice che si terrà in Bahrain il mese prossimo per il rafforzamento dei legami tra gli stati che compongono il CCG con la prevista creazione di una Unione del Golfo non vedrà la presenza delle autorità dell’Oman. Secondo quanto affermato a tal proposito da Ganem Al Bu Ainain, Ministro degli affari parlamentari bahrainita, l’Unione del Golfo sarà molto più avanzata rispetto al Consiglio di cooperazione. In questo senso, i Paesi che aderiranno all’Unione attraverso misure politiche ed economiche avranno un livello di integrazione più avanzato di quelli che si limiteranno a rimanere nel Consiglio di Cooperazione. La contrarietà al progetto dell’Oman non nasce oggi e già nel 2013 Yusuf bin Alawi, Ministro degli Esteri omanita, aveva preso posizione contro l’Unione. La proposta saudita di rafforzamento dei legami tra i Paesi del Golfo è stata, infatti, a lungo considerata esclusivamente tesa a marginalizzare l’influenza iraniana sulla sponda occidentale del Golfo Persico. In quest’ottica, la scelta dell’Oman di non aderire ha fatto si che alcuni analisti tratteggiassero l’atteggiamento del sultanato come un tentativo di porsi al di sopra delle parti, ostentando una totale neutralità: alcuni di essi, al tempo, parlavano in tal senso dell’Oman come la Svizzera del Golfo.

Ad oggi, però, la situazione sembra essere mutata. L’Oman ha preso le distanze dall’intervento militare in Yemen guidato dall’Arabia Saudita e, secondo alcuni rapporti, la dirigenza di stanza a Muscat si sarebbe parzialmente discostata dalla precedente politica diplomatica, prendendo parte attiva, anche se non ufficialmente, al fianco delle milizie Houthi. All’Oman viene, infatti, imputato un ruolo di tramite tra l’Iran e le milizie ribelli yemenite. La situazione è, però, delicata. La capacità di porsi come mediatore tra le diverse forze in campo nel panorama yemenita ha avuto un risvolto positivo per tutte le parti coinvolte ed una rottura con l’Oman inciderebbe necessariamente anche sui colloqui di pace yemeniti. A metà novembre, infatti, il Segretario di Stato americano John Kerry si è recato proprio in Oman per incontrare il Sultano Qaboos Bin Said per discutere della necessità di trovare una soluzione politica duratura per lo Yemen e per ringraziare la diplomazia omanita per la mediazione in campo yemenita che ha portato nelle scorse settimane al rilascio di cittadini americani detenuti in Yemen come Wallead Yusuf Pitts Luqman, trasportato a Muscat da ribelli Sanaa su un aereo militare dell’Oman il 7 novembre.

Da un lato, dunque, i legami tra Muscat e Teheran vengono considerati fondamentali per mantenere un fragile equilibrio nel contesto yemenita. Dall’altro, l’atteggiamento dell’Oman rende palese la debolezza intrinseca della politica dell’Arabia Saudita che, qualora non riuscisse a stringere a sé le forze del Golfo, si troverebbe privata del suo ruolo di leader regionale e ancor più isolata. La particolare dinamica d’area sembra, in questo senso, riflesso diretto delle linee di tendenza generali che vedono un rinnovato attivismo e riconoscimento del ruolo iraniano ed un progressivo arretramento delle forze saudite in tutti i contesti bellici della regione.

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