In queste ore, per via di una forte polemica innestata su possibili manipolazioni nel voto, la questione della procedura elettorale riguardante i cosiddetti “Italiani all’estero” è salita fortemente di tono e autorevoli commentatori apparentemente “super partes” (uno per tutti: Sergio Romano dalle colonne del “Corriere della Sera”) scoprono repentinamente tutti i limiti di un ordinamento al riguardo del quale si era riservata semplicemente una forte sottovalutazione, al riguardo dei possibili effetti: salvo ironizzare su determinate caratteristiche dei deputati e senatori eletti nelle incredibili circoscrizioni nelle quali quel tipo di elettorato è stato suddiviso.
E’ il caso, invece, di richiamare l’attenzione di tutti su un punto: il sistema elettorale italiano è stato modificato in peggio nel corso di questi anni attraverso riforme apparentemente modernizzanti, in realtà adottate per piegare la normativa all’utilità momentanea di qualche parte e soprattutto – per quel che riguarda la parte più importante di queste modificazioni – non avendo a cuore la partecipazione elettorale, anzi considerando il 90% su cui la stessa partecipazione elettorale si è sempre attesta, nell’occasione delle elezioni politiche, tra il 1948 e il 1997 un’anticaglia residuo dell’odiato “sistema dei partiti” da distruggere per far posto alla tanto “chic” personalizzazione della politica.
Demagogia e pressapochissimo hanno fatto la parte del leone in questa corsa al cambiamento: la stessa demagogia e pressapochismo che ritroviamo nel testo delle deformazioni costituzionali delle quali voteremo la conferma o meno il 4 Dicembre (questo vale per quanti affermano che comunque si fa “un passo avanti” soltanto per ricordare che, in quest’occasione, il “passo avanti” in realtà non è altro che un significativo “passo indietro” sul terreno delicato della democrazia e della possibilità di partecipazione popolare).
Andando nel merito possiamo notare come, nel caso del voto dei cosiddetti “italiani all’estero” si sia trattato di un caso di pura demagogia: la legge Tremaglia, attualmente in vigore, ha allargato a dismisura la platea arrivando a comprendere cittadine e cittadini con un legame d’origine molto labile (terzo grado e soltanto da un lato di parentela); una platea già allargata, in verità, in modo incongruo dalla legge Moschini – Armella risalente agli anni’80.
In partenza invece la presenza elettorale degli italiani all’estero (questa volta senza il “cosiddetti”) era regolata in modo da poter avere certezza di legame: esisteva, infatti, (in tempi nei quali i consolati italiani all’estero erano molto più numerosi e facilmente raggiungibili soprattutto dai nostri emigrati necessitati da questioni di lavoro: pensiamo ai minatori in Belgio e agli operai in Germania) la cosiddetta “scadenza sessennio”.
Ogni sei anni, infatti, il cittadino italiano emigrato all’estero aveva l’obbligo di confermare al proprio consolato di competenza la propria presenza e la propria volontà di rimanere iscritto nelle liste elettorali: il consolato comunicava in tal senso al comune l'iscrizione nelle liste, altrimenti si provvedeva alla rimozione del nominativo.
Non esisteva il pericolosissimo voto per posta (pericolosissimo soprattutto perché non riguarda poche migliaia di persone, ma nella fattispecie ben 4 milioni). L’elettrice o l’elettore residente all’estero riceveva una cartolina che lo invitava a recarsi alle urne nella città dove risultava iscritto. Elettrici ed elettori rientravano così in Patria (ricordiamo treni festosi di emigranti) per usufruire del proprio diritto elettorale assolvendo così anche a un dovere (in quel tempo infatti il voto era considerato un diritto/dovere, dopo che all’Assemblea costituente si era discusso anche sulla possibilità di considerarlo, come ancora accade in Belgio, soltanto un “dovere”).
Ho ricordato questa cosa soltanto per descrivere la situazione com’era al tempo ormai dai più famigerato dei Partiti e del sistema elettorale proporzionale (quel tempo che impropriamente viene definito della “Prima Repubblica”).
Ci si può immaginare che in tempi di innovazione tecnologica questo richiamo possa apparire davvero rivolto a un’era preistorica, ma valeva la pena ricordarlo anche perché il sistema elettorale di allora (“sistema elettorale” nel suo complesso l’insieme di norme che regolano l’esercizio di voto e non semplicisticamente come intende qualcuno la “formula elettorale” che, invece, è quella che traduce i voti in seggi) resse magnificamente la prova di un’altissima, in ogni occasione, presenza al voto di elettrici ed elettorali.
Si è accennato prima a modifiche al sistema elettorale causate da demagogia, com’è stato nel caso dell’allargamento ai cosiddetti “italiani all’estero”, nel disegno delle circoscrizioni che li riguardano, nel voto per posta.
Sono state eseguite anche modifiche per causa di improvvisazione e dilettantismo (o scientemente rivolte a obiettivi politici).
Per fare degli esempi in questo senso:
1) Assolutamente deleterio il dimezzamento nel numero delle sezioni elettorali portate a contenere oltre 1.000 elettrici ed elettori (Leggi Bassanini, famigerate anche per tanti altri motivi). E’ in questo caso che si è pensato che una diminuzione nel numero dei votanti fosse fisiologica e addirittura auspicabile nel solco “ dell’allineamento con le democrazie occidentali”. Il voto al 90%, ai nostri sapientoni modernisti, sapeva troppo di “democrazie popolari”. Adesso ci arrabattiamo tra il 50 e il 60% e scopriamo, proprio in questo referendum, che nessuno dispone di una base sociale vera per un consenso effettivo. Tutto fittizio – televisivo.
2) Altrettanto negativa la riduzione nel numero degli scrutatori.
3) Con chiari obiettivi politici il passaggio della nomina degli scrutatori da parte delle Commissioni Elettorali attraverso gli elenchi forniti dai partiti al sorteggio fra elettrici ed elettori che hanno fatto richiesta di essere considerati in una lista “ad hoc”. Si è trattato, a suo tempo, di un colpo dei radicali sulla linea anti – partitica che ha causato un evidente calo di qualità nelle competenze all’interno delle sezioni elettorali.
Non entro nel merito, in quest’occasione, del delicato discorso della formazione dei collegi elettorali, secondo le varie occasioni fornite dal frequente mutamento della formula elettorale (con l’Italicum siamo alla terza formula in vent’anni: ma se ne prevede già una quarta).
Sotto quest’aspetto ricorderò soltanto che nei giorni scorsi il Tribunale di Genova ha rimandato l’Italicum alla Corte Costituzionale: una delle ragioni di questa scelta è stata sicuramente dovuta a un deficit nella conformazione dei collegi, in quanto due comuni della Valpolcevera (Ceranesi e Campomorone) erano finiti – addirittura – nel collegio della Spezia.
Si sta procedendo con demagogia, pressapochismo, dilettantismo esattamente come nel caso delle deformazioni costituzionali.
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