L’operazione militare turca “Scudo sull’Eufrate” sembra essere giunta
ad un binario morto. Lanciata in estate dal governo di Ankara nel nord
della Siria con la scusa di combattere Daesh, ma con il preciso
obiettivo di dividere i territori del Rojava curdo, le truppe turche e
le milizie jihadiste loro alleate si sono fermate alle porte della città
di Al Bab. Il motivo del loro arresto è legato ad un ultimatum russo
giunto al governo di Erdogan: “La città di Al Bab rimane sotto il
controllo del governo di Damasco”.
Secondo il quotidiano libanese Assafir, la pazienza russa nei confronti di Ankara sarebbe finita. L’intervento
turco, concordato preventivamente con il governo di Damasco, prevedeva
un’avanzata di non più di 12 km all’interno del territorio siriano.
L’operazione aveva come obiettivo sia quello di fiaccare le difese di
Daesh, sia, soprattutto, di dividere e indebolire le forze militari
curde, principali alleate statunitensi in Siria con le loro FDS
(Forze Democratiche Siriane). La volontà di separare la zona di Kobane
da quella di Afrin era proprio legata ad obiettivi differenti, turchi e
siriani, uniti da una comune volontà: rallentare l’avanzata curda verso
la città di Raqqa.
Gli stessi alleati di Damasco (russi, iraniani ed Hezbollah)
erano informati dell’intesa raggiunta con i turchi per l’avvio
dell’operazione “Scudo sull’Eufrate”, nella quale gli accordi
prevedevano anche un ritiro delle milizie foraggiate da Ankara dalla
città di Aleppo. Al contrario gli USA avevano osteggiato una
simile iniziativa perché ostacolava non tanto le mire indipendentiste
curde, ma soprattutto gli interessi ed i piani di Washington per
indebolire Damasco.
Secondo fonti legate al regime di Bashar Al Assad, riportate sempre da Assafir, “i
turchi non avrebbero rispettato gli accordi”. Per quanto riguarda il
loro disimpegno da Aleppo, infatti, Ankara ha favorito e sostenuto
logisticamente, ancora una volta, le sue milizie nella città. Il governo di Erdogan è stato il principale promotore della recente
offensiva jihadista, di fine ottobre, per spezzare l’accerchiamento dei
militari di Damasco. Assalto finito con un’altra pesante sconfitta per
il fronte “ribelle” legato a formazioni come Ahrar Al Sham (Turchia) e
Jabhat Fatah al Sham (ex Al Nusra e Al Qaeda).
La stessa ambiguità c’è stata nella fase di contrasto alle milizie di
Daesh visto che, stranamente, molte delle città conquistate dalle
truppe turche, Jarablus per prima, non hanno visto quasi nessun tipo di
resistenza armata da parte dei miliziani salafiti. Fino alla recente
conquista di Al Bab. In questo caso, però, le autorità di Damasco e di
Mosca hanno avvisato Ankara: “La conquista della città è considerata
come un’invasione del suolo siriano che potrebbe richiedere un
intervento armato di risposta”. La stessa fonte riporta anche che si è
“arrivati vicini ad uno scontro aereo tra caccia russi e turchi nei
cieli della Siria settentrionale”.
Come conferma del clima “ostile” nei confronti dei militari
turchi (si stimano circa 5mila soldati e 250 carri armati) sarebbero
arrivati nell’area, come ulteriore deterrente, sia alcuni reparti delle
forze speciali siriane sia diversi reparti corazzati di Hezbollah.
Lo stesso tipo di accerchiamento è avvenuto anche dall’altra parte del
confine tra Siria ed Iraq. Le truppe dell’Hashed Shaabi (Forze
Mobilitazione Popolare) avrebbero sigillato il territorio tra Mosul e la
Siria in maniera da contrastare qualsiasi tipo di ingerenza nelle
operazioni militari irachene: sia, ovviamente, contro Daesh, sia,
eventualmente, contro le truppe turche.
L’amministrazione americana, infine, non ha in alcun modo sostenuto o
difeso il suo alleato turco. Washington, al contrario, ha rifiutato al
governo di Ankara di partecipare alla battaglia per la conquista di
Raqqa, lasciando campo aperto alle Forze Democratiche Siriane (FDS) ed
alle milizie curde ben rifornite e addestrate dai militari americani
dopo la creazione di una nuova base statunitense nella zona di Kobane.
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