Sul merito di questa riforma si è detto
sottolineandone gli aspetti autoritari, le incongruenze, gli errori
tecnici e le brutture varie, ma il peggio di questa squallida
vicenda della riforma costituzionale, più ancora che il suo merito, è
il modo con cui è stata varata e con il quale viene difesa nella
campagna referendaria.
Il peccato di origine
sta nell’approvazione da parte di un solo partito che disponeva di una
maggioranza fittizia, prodotta da una legge già dichiarata
incostituzionale e con la copertura di un Presidente che ha dato una
interpretazione troppo disinvolta dei suoi obblighi di fedeltà alla
Costituzione vigente.
Il Pd si è arrogato il potere di fare le
regole per tutti grazie ad un atto di forza ed ha imposto,
letteralmente imposto, delle regole decise solo da esso, al di là delle
considerazioni giuridico-formali sulla legittimità ad operare in materia
costituzionale di un Parlamento eletto con una legge dichiarata
incostituzionale, sul piano politico sostanziale questo è un atto
delinquenziale che distrugge il patto comune.
Ora cerca di sanare tutto questo con un
referendum-plebiscito condotto con ogni scorrettezza possibile: la Rai è
stata occupata dal Si ed in particolare dal Presidente del Consiglio
che si è installato nei suoi studi. Si fa costantemente del terrorismo
psicologico inventando le catastrofi più strampalate se vincesse il NO, giungendo ad affermare che se ciò accadesse, l’Italia uscirebbe
dall’Euro (sono un sostenitore della fine dell’Euro, ma cosa c’entra con
il referendum e sulla base di quale nesso logico si sostiene una cosa
del genere?).
Anziché respingerle a tutela
dell’indipendenza nazionale, ci si avvale di ogni interferenza straniera
di Capi di Stato e di Governi neppure appartenenti alla Ue, di stampa e
di Banche. Si definisce “marmaglia” tutto il fronte delle opposizioni, a
conferma del carattere impositivo e di regime di questa riforma.
Ed a tutto questo si aggiunge la ciliegina del voto di scambio
confessatamente organizzato dal presidente di una popolosa regione.
Mancano solo i brogli nel voto, ma siamo ancora in tempo a vederli.
Il Pd sta dando prova di una
vocazione totalitaria che non sfocia in una aperta dittatura solo perché
le condizioni storiche non lo consentono.
Ormai mancano circa 10 giorni alla fine
di questa bruttissima campagna referendaria, ricca di insulti, che ha
scavato trincee di odio che non si colmeranno il 5 dicembre, nella quale
entrambi gli schieramenti hanno assunto “il viso dell’arme” senza
concedere nulla all’avversario (ed ammetto di aver fatto anche io molte
concessioni alla logica dello scontro senza mediazioni, quello che
concepisce solo l’inimicizia assoluta). Ma questo è il frutto
inevitabile di quello che c’era dietro: non si mette mano al patto
comune in questo modo oltraggioso per la democrazia.
Stroncare la riforma con un
secco NO è una prima misura a difesa della democrazia. Prima ma non
ultima: dopo occorrerà fare i conti con questo tentato colpo di mano e
non saranno conti leggeri.
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