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23/11/2016

La campagna del Si e la vocazione totalitaria del Pd

Sul merito di questa riforma si è detto sottolineandone gli aspetti autoritari, le incongruenze, gli errori tecnici e le brutture varie, ma il peggio di questa squallida vicenda della  riforma costituzionale, più ancora che il suo merito, è il modo con cui è stata varata e con il quale viene difesa nella campagna  referendaria.
 
Il peccato di origine sta nell’approvazione da parte di un solo partito che disponeva di una maggioranza fittizia, prodotta da una legge già dichiarata incostituzionale e con la copertura di un Presidente che ha dato una interpretazione troppo disinvolta dei suoi obblighi di fedeltà alla Costituzione vigente.

Il Pd si è arrogato il potere di fare le regole per tutti grazie ad un atto di forza ed ha imposto, letteralmente imposto, delle regole decise solo da esso, al di là delle considerazioni giuridico-formali sulla legittimità ad operare in materia costituzionale di un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale, sul piano politico sostanziale questo è un atto delinquenziale che distrugge il patto comune.

Ora cerca di sanare tutto questo con un referendum-plebiscito condotto con ogni scorrettezza possibile: la Rai è stata occupata dal Si ed in particolare dal Presidente del Consiglio che si è installato nei suoi studi. Si fa costantemente del terrorismo psicologico inventando le catastrofi più strampalate se vincesse il NO, giungendo ad affermare che se ciò accadesse, l’Italia uscirebbe dall’Euro (sono un sostenitore della fine dell’Euro, ma cosa c’entra con il referendum e sulla base di quale nesso logico si sostiene una cosa del genere?).

Anziché respingerle a tutela dell’indipendenza nazionale, ci si avvale di ogni interferenza straniera di Capi di Stato e di Governi neppure appartenenti alla Ue, di stampa e di Banche. Si definisce “marmaglia” tutto il fronte delle opposizioni, a conferma del carattere impositivo e di regime di questa riforma.

Ed a tutto questo si aggiunge la ciliegina del voto di scambio confessatamente organizzato dal presidente di una popolosa regione. Mancano solo i brogli nel voto, ma siamo ancora in tempo a vederli.

Il Pd sta dando prova di una vocazione totalitaria che non sfocia in una aperta dittatura solo perché le condizioni storiche non lo consentono.

Ormai  mancano circa 10 giorni alla fine di questa bruttissima campagna referendaria, ricca di insulti, che ha scavato trincee di odio che non si colmeranno il 5 dicembre, nella quale entrambi gli schieramenti hanno assunto “il viso dell’arme” senza concedere nulla all’avversario (ed ammetto di aver fatto anche io molte concessioni alla logica dello scontro senza mediazioni, quello che concepisce solo l’inimicizia assoluta). Ma questo è il frutto inevitabile di quello che c’era dietro: non si mette mano al patto comune in questo modo oltraggioso per la democrazia.

Stroncare la riforma con un secco NO è una prima misura a difesa della democrazia. Prima ma non ultima: dopo occorrerà fare i conti con questo tentato colpo di mano e non saranno conti leggeri.

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