Continuano le schermaglie tra Israele e i gruppi jihadisti al confine
tra Siria e lo stato ebraico. Secondo quanto riferisce il portavoce
dell’esercito israeliano, ieri notte gli aerei da guerra di Tel Aviv
hanno colpito sulle Alture del Golan una struttura controllata da un
gruppo affiliato all’autoproclamato Stato Islamico, i miliziani di Shuhada al-Yarmouk.
Fonti militari hanno fatto sapere che l’attacco è una risposta ai colpi
di arma da fuoco sparati ieri mattina da alcuni jihadisti verso le
truppe israeliane.
La struttura colpita stanotte era un tempo presidiata dalle
Forze di disimpegno degli osservatori delle Nazioni Unite (Undof) ed in
passato serviva per proteggere il cessate il fuoco tra lo stato ebraico e
la Siria. Tuttavia, fa sapere l’esercito israeliano, il
compound era diventato recentemente una base utilizzata dal ramo locale
dell’Isis (le Shuhada al-Yarmouk) per compiere attacchi. Fonti militari
hanno perciò detto che i raid di stanotte sono serviti a “prevenire il
ritorno dei terroristi ad una struttura che costituisce una minaccia
fondamentale alla regione”.
Una minaccia jihadista che, dopo oltre cinque anni e mezzo dall’inizio della guerra civile siriana, aveva bussato ieri alle porte d’Israele per la prima volta.
Agli spari dei miliziani islamici verso il Golan “israeliano” (il
territorio, occupato nel 1967, nel 1981 è stato annesso da Tel Aviv
illegalmente secondo le Nazioni Unite), lo stato ebraico rispondeva
prontamente colpendo un pick-up armato. Bilancio: 4 membri delle Shuhada
al-Yarmouk uccisi sul colpo. Nessun ferito, invece, si è registrato tra
i militari di israeliani.
Sui fatti accaduti ieri mattina al confine con la Siria era intervenuto anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
In apertura della riunione settimanale del suo esecutivo, il primo
ministro aveva ostentato sicurezza: “non permetteremo che l’Isis si
stabilisca ai nostri confini a causa della guerra in corso in Siria”. Secondo
un esponente dell’opposizione siriana citato dal quotidiano israeliano
Ha’Aretz, l’attacco jihadista di ieri aveva come obiettivo quello di
trascinare nel conflitto siriano anche Israele. Un coinvolgimento, però,
che va avanti già da anni seppure a basso profilo: Tel Aviv ha
più volte bombardato lo stato arabo confinante colpendo vere o presunte
consegne di armi verso il gruppo libanese Hezbollah. Non solo: lo
stato ebraico ha anche curato sul suo territorio centinaia di
combattenti siriani (molti dei quali estremisti) in strutture sanitarie
nel nord del Paese scatenando, in più di una circostanza, la
dura protesta della comunità drusa che teme che le forze jihadiste
presenti nel sud della Siria (Isis, ma anche al-Qa’eda con l’ex Fronte
an-Nusra) possano compiere lì una mattanza dei loro “fratelli” drusi.
E se il fronte meridionale è caldo, incandescente è quello
settentrionale. Ieri le forze governative hanno annunciato di aver
riconquistato il quartiere Sakhur di Aleppo strappando buona parte
dell’area nord della città al controllo dei “ribelli”. Secondo
l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong di stanza a Londra e
vicina all’opposizione, il governo siriano ha ripreso il possesso negli
ultimi giorni di 10 quartieri della città e controlla ormai il 30%
dell’area precedentemente in mano a formazioni armate più o meno
radicali. L’avanzata di ieri ha fatto seguito a quella simbolica di
sabato nel distretto di Hanano: un risultato importante se si pensa che
dal 2012 le truppe governative non si spingevano così ad est in città.
La furiosa battaglia in corso nell’area orientale di Aleppo continua ad
avere effetti devastanti sulla popolazione locale: tra sabato e
domenica, afferma l’Osservatorio siriano, circa 10.000 civili sono stati
costretti ad abbandonare le aree orientali della città dirigendosi
verso le zone governative e curde.
La giornata di ieri, inoltre, registra anche la smentita del
Cairo circa un presunto coinvolgimento in Siria dell’esercito egiziano a
fianco del governo. In una nota, il ministero degli esteri ha
fatto sapere che l’Egitto non interviene negli affari interni di altri
Paesi e che l’eventuale dispiegamento di personale militare avrebbe
richiesto provvedimenti pubblici. La presunta presenza di un
contingente bellico egiziano in Siria era stata sostenuta da un rapporto
del quotidiano libanese as-Safir secondo cui una unità
militare formata da 18 piloti si era unita a inizio mese alla base area
di Hama. Una notizia che sembrava trovare conferma anche nel recente
endorsement offerto dal presidente egiziano Abdel Fattah as-Sisi a
quello siriano Bashar al-Asad.
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