Domenica 14, il neopresidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, è entrato ufficialmente in carica. Dopo la cerimonia, si è fatto portare in un veicolo militare aperto, attraverso gli Champs Elysées, all’Arco di Trionfo. Nel pomeriggio è andato a trovare dei soldati feriti in un ospedale militare. Macron dichiara che il principale obiettivo della sua presidenza è la ricomposizione della «divisione interna» della Francia ed il consolidamento del suo ruolo nel mondo. Intende rendere più «flessibile» il mercato del lavoro e sostenere le riforme neo-liberali richieste dall’UE.
Ieri, lunedì, ha nominato come presidente del Consiglio dei ministri Edouard Philippe, sindaco conservatore di Le Havre, vicino ad Alain Juppé. Poi è andato a render visita, a Berlino, al «senior partner» della coppia franco-tedesca, la cancelliera Merkel.
Oggi renderà nota la composizione del suo governo.
Fra un mese, l’11 e il 18 giugno, 44 milioni di francesi saranno chiamati di nuovo alle urne per eleggere i deputati all’Assemblea nazionale. L’esito del voto indicherà quale è il margine di manovra di Macron. Il rampollo di una famiglia borghese del nord, educato dai gesuiti, ha distanziato, con il 66% dei voti, la sua concorrente del Front National, che si è fermata al 33,94%. La partecipazione al voto è stata del 74,62%. Il movimento «En marche», fondato da Macron meno di un anno fa grazie ai suoi sponsor dell’economia e della finanza transalpine, ha portato al vertice dello Stato l’ex collaboratore della banca di investimenti Rothschild, che giura di voler attuare un «programma di rinnovamento».
Un programma per il quale Macron dovrà trovare in parlamento una maggioranza in grado di tradurlo in pratica. In campagna elettorale aveva promesso di voler costituire un governo formato per metà da esponenti dei vecchi partiti – Les Republicains (neo-gaullisti) e Parti Socialiste (socialdemocratici) – e per la metà rimanente da «facce nuove» provenienti dalla «società civile». Metà dei ministri sarebbero state donne.
Conservatori e socialdemocratici fanno già la fila per «cooperare» con l’uomo nuovo. Sono stati preceduti, durante la campagna elettorale, dal presidente di uno dei partiti di «centro», François Bayrou, che adesso tenta di alzare il prezzo della sua collaborazione. L’ex presidente Nicolas Sarkozy, il suo ex ministro del Lavoro, Xavier Bertrand e una ventina di deputati conservatori dichiarano la loro disponibilità. Anche fra i socialdemocratici non mancano gli ex ministri di Hollande e i deputati impazienti di montare sul carro del vincitore, dall’ex ministro della Difesa Le Drian all’ex presidente del Consiglio Manuel Valls, preceduti oltre un anno fa, dal sindaco di Lione, Gérard Collomb.
Il programma politico di Macron è decisamente neo-liberale. Prevede una riduzione della spesa pubblica di 60 miliardi di euro entro il 2022, dei quali 25 «ammodernando» il servizio pubblico, da dove spariranno 120.000 posti di lavoro. 10 miliardi verranno dall’assicurazione contro la disoccupazione e altrettanti dalle collettività locali. Le prestazioni sanitarie subiranno tagli pari a 15 miliardi.
Per l’Europa, Macron propone un «ministro delle Finanze dell’eurozona» con un proprio bilancio «controllato da un parlamento dei membri dell’eurozona». Quando era ministro dell’Economia di François Hollande, Macron aveva tentato un’accelerazione social-liberale delle riforme del presidente. I padroni avevano ottenuto 40 miliardi di riduzioni fiscali e dei contributi sociali per «migliorare la competitività delle imprese». Ma i posti di lavoro non erano aumentati.
La riforma del diritto del lavoro era stata imposta per decreto. La «legge Macron» aveva omologato i bus a lunga distanza per il traffico interno, in concorrenza con la SNCF. La situazione economica dell’azienda ferroviaria pubblica si era ulteriormente aggravata.
Macron aveva abolito il divieto del lavoro domenicale. Con lui era cresciuta la «uberizzazione» dell’economia, cioè la sostituzione di posti di lavoro stabili con lavoretti mal pagati e precari, secondo il modello tedesco dei mini job.
Jean-Luc Mélenchon, alla testa della «France insoumise», forte dei 7 milioni di voti ottenuti al primo turno delle presidenziali, si presenta a Marsiglia, dove era arrivato in testa, davanti alla Le Pen e a Macron. Mélenchon si candida in una circoscrizione occupata da un deputato del Partito Socialista, Patrick Menucci. Il PCF, che lo ha sostenuto controvoglia alle presidenziali, ha rotto con la «France insoumise» e farà campagna per conto suo. Ha già concluso accordi elettorali con il Partito Socialista ed Europa Ecologia Les Verts nei dipartimenti della Somme e del Jura. Exit il Front de Gauche...
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