C’è da tempo, in Campidoglio, una lista di quanti non pagano, ma è letteralmente ignorata: il comune non ha proceduto né sta procedendo, e così la Chiesa trae illecitamente cospicui vantaggi speculativi dalla trasformazione di beni a suo tempo destinati a pratiche di culto in case vacanza, B&B ma anche veri e propri alberghi con tariffe comprese tra i cento e i duecento euro a notte.
233 evasori per 19 milioni
Ebbene, almeno 233 di queste strutture non risultano in regola con il pagamento dell’Imu e delle tariffe comunali. Lo rivela una inchiesta condotta dal Messaggero che ne ha tratto la conseguenza di un potenziale contenzioso da 19 milioni. Una cifra, precisa il quotidiano, “che rientra nel conto dei 200 milioni annui di potenziali incassi per Roma Capitale stimati nel 2016 proprio dal MS5 durante la campagna elettorale che ha condotto Virginia Raggi sul colle capitolino”.
Da verbali interni all’amministrazione risulta il timore di un’azione giudiziaria per danno erariale: “Roma Capitale potrebbe essere chiamata a recuperare quanto non richiesto” benché esistano da tempo le prove che, con mille pretesti o, più sicuramente, tacendo sulla metamorfosi di una canonica o di un convento abbandonato in seguito al crollo delle vocazioni, si evita il pagamento.
Il Vaticano dichiara che “ha fatto la sua parte”, ma che non può agire anche in nome e per conto dei singoli ordini religiosi a loro volta proprietari di beni immobili. Lo sostiene monsignor Nunzio Galantino, a capo dell’Apsa, l’ente finanziario cui fa capo il patrimonio immobiliare della Santa Sede.
Edifici e conventi di enti e ordini religiosi
Essa “paga regolarmente le tasse dovute al comune e sborsando ogni anno oltre 9 milioni di euro per l’Imu”. Per il resto – a Roma e ovunque per l’Italia – l’arcivescovo Galantino scarica la responsabilità sui singoli enti religiosi che, avendo ciascuno una propria personalità giuridica, di conseguenza sono indipendenti nella gestione economica di appartamenti, edifici, stabili, negozi, terreni, ecc.
“Il che significa, per farla breve, che non vengono a comunicare i bilanci a noi. Non sappiamo nulla di quel che fanno, sono autonomi in tutto e per tutto, e non li possiamo nemmeno controllare.”
E giù pesanti accuse, ricordando che già in passato Papa Francesco aveva diramato una sorta di comunicazione interna rivolta a tutti gli ordini religiosi residenti in Italia ad essere più coerenti e trasparenti possibili nella propria amministrazione. Sono stati anche organizzati corsi annuali rivolti agli economi degli ordini, ai fini di aggiornarli sulle legislazioni, le modalità fiscali, gli strumenti per svolgere il compito. “Ma più di questo non possiamo fare”.
Perché il Comune non controlla?
Se davvero il Vaticano non può farlo, almeno i comuni possono effettuare i controlli attraverso i catasti, suggerisce con qualche perfidia l’autorevole prelato: “Lì ci dovrebbe essere tutto, i riferimenti, le modifiche, i passaggi”. A parte il fatto che la gestione dei catasti, a Roma come quasi ovunque nel Paese, è antiquata e con tempi pazzeschi delle trascrizioni, l’impresa è titanica considerato il ginepraio, la vasta articolazione degli ordini: francescani, cappuccini, gesuiti, salesiani, vincenziani, maristi, domenicani, calasanziani, senza contare i rami femminili, ancora più numerosi.
Ma c’è un’altra strada, consiglia il Messaggero forse su ispirazione dello stesso monsignor Galantino: quella “Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica” che ha un elenco completo del caotico mondo religioso peraltro sottoposto ultimamente a veloci mutamenti ed accorpamenti di beni. Possibile che non abbia applicato le raccomandazioni papali? Eppure nel sito di quell’organismo c’è un esplicito riferimento alle iniziative del Vaticano…
L’evasore miracoloso
La “bottega” ricorda quanto forse sarebbe semplice la soluzione. Come scrisse Paolo Izzo (sul settimanale Left il 27 ottobre 2017;):
«Ancora una volta papa Francesco ha ribadito che il buon cristiano deve pagare le tasse. Dunque come cittadini italiani possiamo ben sperare che sia sanato il debito nei confronti del nostro fisco, contratto dai cosiddetti “alberghi religiosi” i quali, in virtù della promiscuità abitativo-confessionale, non pagano Imu, Tasi, Tarsi (e talvolta neanche Ires), con una evasione che nella sola Capitale è stimata in venti milioni di euro all’anno. Basterebbe che Jorge Mario Bergoglio, come gli andiamo chiedendo da tempo, emanasse un “motu proprio”, obbligando quelle strutture di proprietà del Vaticano a pagare le tasse italiane proprio come fanno o dovrebbero fare gli albergatori autoctoni. A tale scopo, sarà sufficiente che i chierici d’Oltretevere aprano il forziere dove conservano la tanta moneta ricevuta proprio dall’Italia, dai Patti Lateranensi del 1929 fino a oggi: un tesoro inestimabile, considerato che solo negli ultimi tempi l’esborso annuo del nostro Stato verso l’enclave vaticana supera i sei miliardi di euro. Se daranno a Cesare quel che è di Cesare, a loro rimarrà ancora una bella sommetta di quel che, a dirla tutta, apparterrebbe a dio».Fonte
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