Leggendo un pezzo di cosiddetto fact-checking (che sarebbe la cara vecchia verifica delle fonti, e cioè cercare di non scrivere cazzate ma di verificare i fatti di cui si viene a conoscenza: la base del mestiere) di un noto giornale online, in fondo ho trovato questa dicitura: “Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social”.
È così che ho deciso di andare a leggere cosa sia di preciso questo “progetto di Facebook”.
In sostanza, nel mondo ci sono 80 fact-checker indipendenti che dovrebbero analizzare i contenuti pubblicati sui social in 60 lingue diverse. Un esercito di non giornalisti chiamati a giudicare il lavoro dei giornalisti, praticamente la stessa idea che ebbero i sovietici quando crearono il Glavlit, l’organismo che aveva il compito di censurare il materiale indesiderato e di assicurarsi che in ogni scritto pubblicato venisse ribadita la linea politica.
Se andate a vedere come lavorano questi fact-cheker indipendenti, vi renderete presto conto che in sostanza si limitano ogni volta ad analizzare un fatto puntualizzandolo attraverso delle fonti ufficiali.
Ecco, chiunque faccia il giornalista o sia passato anche solo per sbaglio una volta in una redazione qualunque sa benissimo che le fonti ufficiali sono la prima e più grande fonte di bufale e cazzatone che si possa trovare in giro.
In Unione Sovietica, almeno, lo sapevano tutti, il che rende il Glavlit molto meno ideologico di questi fact-checker.
“Che ci facciamo con questo comunicato della questura?”, domandai una volta a un caporedattore, sventolando un pezzo di carta appena uscito dal fax (era tipo il 2010, ancora si usavano quegli aggeggi)
“Canestro da tre”, rispose lui accartocciando il foglio per poi scagliarlo nel cestino distante almeno quattro metri.
Fonte
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