Uno dei temi più agitati negli ultimi tempi da governi e media occidentali è quello dell’imminente catastrofe alimentare che si prospetterebbe nel mondo. Ovviamente, quando parlano di “mondo”, intendono esclusivamente le terre emerse abitate dai popoli “civili” che, messi insieme (diciamo: USA, Canada, Gran Bretagna e paesi UE), costituiscono meno di un ottavo della popolazione mondiale.
Così pure, quando parlano di catastrofe alimentare, non intendono certo l’affamamento delle popolazioni di quello che un tempo si chiamava Terzo Mondo, per le politiche di rapina e di guerra delle élite monopolistiche del Primo mondo; intendono solo la fame di profitti di quelle élite.
In ogni caso, causa della catastrofe annunciata è, manco a dirlo, la guerra della Russia in Ucraina e il blocco delle esportazioni di grano e in generale, di cereali ucraini, imposto da Mosca.
Joe Biden tira ipocritamente in ballo proprio il continente africano, urlando che «le azioni della Russia in Ucraina hanno bloccato fonti cruciali di prodotti alimentari. Se tonnellate di grano non raggiungono il mercato, molte persone in Africa moriranno di fame».
Da Europa e America si grida al nuovo “Golodomor” imbastito da Mosca, questa volta ai danni del mondo intero, e non della sola Ucraina, come nel 1932; per inciso, sembra che questa settimana il PD porti davvero in Parlamento la mozione per far riconoscere dall’Italia il “Holodomor” quale «crimine contro l’umanità».
A dire il vero, anche Mosca lancia l’allarme del disastro alimentare: l’assistente presidenziale Maksim Oreškin ha detto che «di fronte alla fame globale che si verificherà il prossimo autunno in tutto il mondo, è importante che la Russia non abbia a soffrire, ma si faccia trovare pienamente garantita sul piano alimentare».
Oreškin ribalta anzi le accuse occidentali e afferma che «ciò che sta tentando di fare ora l’America, cioè di portar via dall’Ucraina le sue riserve di grano, rappresenta un ulteriore passo che condanna l’Ucraina a seri problemi e il mondo intero a grossi problemi alimentari».
Secondo la FAO, già a marzo i prezzi del grano erano cresciuti del 19,7% e del granturco del 19,1%. Il Ministero degli esteri russo parla di un aumento, negli ultimi due anni (prima del 24 febbraio 2022), del 162% per il granturco e del 175% per la colza, causato da pandemia, rincaro di noli, aumento del prezzo del petrolio e dei fertilizzanti, guerre commerciali e sanzioni.
Secondo varie stime, Russia e Ucraina rappresentano insieme circa il 30% delle esportazioni mondiali di grano, il 20% delle esportazioni di mais e l’80% delle esportazioni di olio di girasole.
In una conversazione “casalinga” tra direttore e vice-direttore di Vita Internazionale (una delle più vecchie riviste sovietiche: esce dall’agosto 1954) Armen Oganesjan e Mikhail Kurakin, esaminano la situazione generale, partendo dalle dichiarazioni occidentali su circa venticinque milioni di tonnellate di grano che sarebbero ferme nei depositi ucraini per colpa della Russia, con USA, Canada e UE che si sbracciano in “proposte” per portare il grano: ovviamente, ognuno nei propri paesi, non certo in Africa.
È pura volontà di lucrare, dice Oganesjan: «togliete le sanzioni che avete imposto alla Russia sui trasporti e noi ci incaricheremo, sotto controllo ONU, delle forniture dirette a quei paesi che davvero soffrono la fame».
Il britannico Economist giunge a proporre lo sblocco dei porti ucraini sul mar Nero, imponendo alla Russia l’uscita di navi ucraine sotto scorta NATO e chiedendo alla Turchia l’apertura del Bosforo (nonostante Montreaux).
Ma, sbotta Oganesjan, «se non rimuovete le sanzioni, non avrete un solo chicco di grano». Guardiamo prima quali siano i paesi davvero alla fame e, malgrado la Russia «vieti esportazioni di grano dal proprio territorio, non li lasceremo morire di fame».
Oggi però, a fronte delle riserve ufficiali ucraine di 25 milioni di tonnellate, se USA e UE cominciano a portarle via i cereali, quale “pagamento” per le forniture di armamenti, l’Ucraina sarà ridotta alla fame e non avranno nulla per seminare.
Ma, ricorda Kurakin, appena due anni fa, il Ministero degli interni ucraino aveva parlato di «riserve statali ridotte a zero», completamente inghiottite da «topi molto grossi»: il riferimento implicito è ai monopoli agroalimentari internazionali (Cargill, Monsanto, Dupont, AgroGeneration, ecc.) che, profittando dell’eliminazione della moratoria, già dal 2016, sulla privatizzazione dei terreni agricoli in Ucraina, hanno messo le mai sulle fertili terre nere dell’Ucraina occidentale e meridionale.
Di fatto, oggi l’Ucraina è rimasta quasi l’unica, tra i maggiori produttori cerealicoli, a consentire l’esportazione – pochi giorni fa, erano circolati video su lunghe colonne di TIR con targhe lituane, lettoni, polacche, nei pressi di Nizza, che presumibilmente portavano cereali ucraini da imbarcare per oltreoceano – di grano: Russia, Cina, India, Serbia, Kazakhstan, Egitto la vietano, per motivi di sicurezza alimentare.
L’ex Primo ministro del Benin, Lionel Zinsou, ricorda ancora Vita Internazionale, parlando il marzo scorso al Cercle des Nouveaux Mondes, aveva detto che «Oggi non sentiamo parlare d’altro che di crisi ucraina, sanzioni anti-russe, petrolio, gas... Ma, capite cosa significhi questa crisi, ad esempio, per l’Africa? La Russia ci fornisce grano e mais. Tutta la logistica passa attraverso il mar Nero.
Il mondo africano si è bloccato inorridito per ciò che sta accadendo. Inorridito dalle azioni di USA e UE... Per voi, al primo posto ci sono sempre i problemi energetici. Nel peggiore dei casi, avrete meno calore e meno macchine, ma in Africa avremo la fame! E una crisi in Africa significherà la distruzione dell’Europa», con l’afflusso di profughi in cerca di cibo.
Post scriptum: su notizie diffuse da N-TV, Colonelcassd nota che sì, è un quotidiano gran vociare di sanzioni alla Russia, di embargo; nella UE si parla molto di embargo su petrolio e gas russi, ma «per dimenticanza o deliberatamente tacciono sull’uranio arricchito», nonostante che la UE dipenda da questo più che dal gas naturale.
Secondo Euratom, la UE acquista da Russia e Kazakhstan circa il 40% dell’uranio arricchito necessario per il funzionamento delle centrali nucleari; la UE acquista da Mosca anche la tecnologia necessaria al processo di arricchimento dell’uranio e 18 paesi dell’Unione hanno reattori russi. E, nota N-TV, a dispetto della guerra in Ucraina, la cooperazione in questo settore non si è finora interrotta e anzi Mosca profitta dell’aumento, ora, del 30% del prezzo dell’uranio.
Alla maniera delle novelle del vecchio testamento, ognuno faceva quel che gli pareva meglio.
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