Questa mattina ci sono state perquisizioni su mandato della Procura di Caltanissetta nell’abitazione dell’inviato di Report Paolo Mondani e nella sede della redazione del programma.
Il motivo addotto è quello di sequestrare atti riguardanti l’inchiesta andata in onda ieri sera sulla Strage di Capaci – dal titolo “La bestia nera” – nella quale si evidenziava la presenza in zona in quelle settimane del leader neofascista Stefano Delle Chiaie – morto nel 2019 – e i legami tra neofascisti e mafia.
Gli investigatori cercano atti e testimonianze anche sui telefonini e i pc dei redattori di Report. Ma secondo quanto riferito dal direttore Ranucci all’Ansa, il decreto di perquisizione riporta la data del 20 maggio, cioè tre giorni prima della messa in onda del servizio. “Non è un atto ostile nei nostri confronti – afferma Ranucci –. Ovviamente abbiamo messo al corrente l’ufficio legale, l’ad Fuortes e il nostro direttore”.
Il procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca afferma che l’inchiesta sul contenuto della trasmissione Report di ieri, con la perquisizione eseguita dalla Dia nei confronti di “un giornalista che non è indagato”, punta solo a “verificare la genuinità delle fonti”, sottolineando che la “perquisizione non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta dal giornalista, benché la stessa sia presumibilmente susseguente ad una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario”.
Ad aver scatenato l’interesse della procura di Caltanissetta, è stato l’aver ritirato fuori le dichiarazioni di un pentito di mafia, Alberto Lo Cicero, nel frattempo deceduto. Secondo il magistrato “le sue dichiarazioni sono totalmente smentite dagli atti acquisiti da questa procura sia dagli archivi dei carabinieri, sia nell’ambito del relativo procedimento penale della Procura di Palermo”. Il procuratore di Caltanissetta precisa anche che “Alberto Lo Cicero sia nel corso delle conversazioni intercettate, che nel corso degli interrogatori da lui resi, al pubblico ministero e ai carabinieri, non fa alcuna menzione di Stefano Delle Chiaie”.
Ma le interviste di Paolo Mondani di Report realizzate nella puntata di ieri sera offrono uno scenario piuttosto diverso. Un scenario che in realtà era già abbastanza intelleggibile nel 1993 sulla base di quanto Lo Cicero aveva detto ai magistrati.
La pista su un ruolo dei neofascisti nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio, era già venuta fuori con Pietro Rampulla, militante di Ordine Nuovo ma anche “uomo di panza” di Mistretta, accusato di aver fornito il telecomando della strage e condannato per la strage di Capaci. Secondo le ricostruzioni che stanno emergendo su questo scenario stava indagando Paolo Borsellino e per questo sarebbe stata decisa la sua esecuzione in via D’Amelio 57 giorni dopo la strage di Capaci. Secondo questa tesi Borsellino aveva capito e aveva cominciato a scavare sui collegamenti tra la mafia di Totò Riina e le reti neofasciste a loro volta collegate con la P2 di Licio Gelli.
A sostegno di questa ricostruzione sono riemerse carte e verbali che sembravano spariti nel nulla e in particolare i risultati di indagini fatte dai carabinieri su delega di Paolo Borsellino: verbali che erano svaniti nel nulla subito dopo la morte del magistrato. Da queste carte emerge la presenza di alcuni personaggi a Palermo pochi mesi prima della strage di Capaci. In città vi sarebbe stato un summit in cui sono state decise le modalità operative della strage e dei successivi depistaggi e a quel summit avrebbero partecipato anche esponenti dell’estrema destra eversiva.
L’ex magistrato Piero Scarpinato, in una audizione alla commissione antimafia della Regione Sicilia così ricostruisce alcuni passaggi: “L’opinione che mi sono fatto è che Borsellino deve essere ucciso in quei 19 giorni perché ha capito che dietro la strage di Capaci ci sono entità esterne a Cosa nostra, ci sono spezzoni di Servizi, pezzi deviati dello Stato e annota tutto questo nella sua agenda rossa con uno sgomento che è progressivo e un senso di impotenza che è progressivo perché lui capisce che sarà la mafia ad ucciderlo, ma che ci sono entità superiori che lo decideranno, e dinanzi alle quali ritiene di non avere scampo… c’è un piano ed è un piano non soltanto di Cosa nostra, perché ci sono pezzi interni dello Stato dentro questo piano di destabilizzazione”.
Le interviste di Paolo Mondani ad un ex carabiniere e alla moglie del pentito Lo Cicero hanno toccato corde sensibili… molto sensibili.
Rivedi qui la puntata di Report di ieri sera: “La bestia nera”
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento