di Gioacchino Toni
È ancora possibile guardare alla fotografia e parlare di essa accontentandosi, in sostanza, di considerarla, al di là della distinzione analogico/digitale, soprattutto come modello privilegiato di rappresentazione della realtà? Inoltre, a quale realtà si intende far riferimento?
In un suo recente volume, Mauro Zanchi, La fotografia come medium estendibile (Postmedia, 2022), propone un ripensamento dei termini, dei limiti e delle logiche con cui si producono e condividono quelle che forse non si dovrebbero nemmeno più chiamare fotografie essendo ormai state inglobate nella “complessa macchina combinatoria dell’iconosfera” ove si intrecciano Web, smartphone, piattaforme social, intelligenza artificiale, internet delle cose ecc.
Cosa è davvero stata in grado di cogliere la fotografia sino ad ora? Basti pensare, ricorda Zanchi, che, a quanto sostiene la scienza, ad ora si è stati in grado di vedere soltanto una piccolissima parte della materia esistente. È dunque a tale parte del visibile che ci si riferisce quando si parla di ciò che la fotografia è stata in grado di cogliere o, forse, c’è qualcosa in più che ha saputo e/o che potrebbe cogliere?
È pertanto all’inesplorato che lo studioso propone di guardare e per fare ciò è necessario riconsiderare il potere evocativo dell’immagine allargando i confini ben oltre il suo essere “superficie delegata a testimoniare un referente reale”; l’immagine può essere un medium utile a “comprendere ciò che ancora non vediamo e che ci contiene”, oltre che per “tornare a vedere ciò che non vediamo più o che non abbiamo ancora intuito”.
Si entra così nel regno della “oltrefotografia”, in una dimensione disorientante in cui occorre “ridefinire l’identità personale e collettiva, per contrastare la paura di trasformare un sistema di pensiero ereditato, che crediamo definisca il singolo individuo e il suo gruppo sociale”.
Non si tratta però, avverte lo studioso, di coglier una parte dell’invisibile attraverso qualche nuova tecnica o apparecchiatura. “L’oltrefotografia semmai è un campo per allenarsi a non pensare che l’atto del vedere sia assorbire in modo neutro qualcosa che sta lì di fronte bello e fatto, ad andare oltre i limiti del visibile, al di là delle entità che ancora non vediamo, oltre l’illusione che esista qualcosa che si possa sentire solo nella vista”.
Nell’epoca dell’info-iconosfera, di sovrabbondanza di figurazioni, sostiene lo studioso, è forse doveroso “attivarsi per preservare e proteggere le immagini di natura superiore, le visioni dal profondo, ciò che è prezioso come il respiro, che si rivela in determinati momenti della vita e porta piacere estetico”. Occorre, continua Zanchi, “saper coltivare e far crescere le immagini che hanno la capacità di nutrire i nostro bisogno di imparare e di fornire la dose giornaliera di acqua della nostra curiosità”. Quelle a cui si riferisce lo studioso sono immagini appartenenti alla “dimensione contemplativa, al sacro in sé, a ciò che non si conosce ancora ma lo si anela, all’esperienza epifanica, all’apparizione imprevista, alla visione dell’attimo caduco, ai riflessi dei momenti misterici”.
Nel volume vengono passate in rassegna alcune produzioni cinematografiche e televisive che, in qualche modo, si prestano a ragionamenti sull’oltrefotografia: 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick suggerisce una riflessione sulla periodica necessità che la fotografia muoia affinché possa rinascere “nell’istantaneità einsteiniana spaziotemporale”; Shining (1980) ancora di Stanley Kubrick allude alla possibilità di vedere nella fotografia un “wormhole spaziotemporale”; Balde Runner (1982) di Ridley Scott consente di ragionare su come la fotografia possa esser un dispositivo di costruzione di realtà; Crocodile (2017) della serie Black Mirror ideata da Charlie Brooker, nel prospettare la possibilità di appropriarsi dei ricordi più intimi e di incidere su di essi, consente di ragionare sul ruolo che viene ad avere l’immagine fotografica nell’epoca della condivisione digitale nel mondo delle piattaforme digitali; A Ghost Story (2017) di David Lowery induce a pensare all’atto del guardare come “incontro tra il tempo e ciò che ne è al di fuori”; The Entire History of You (2011) della serie Black Mirror pone di fronte all’incidenza che le protesi mnemoniche artificiali possono avere sulla realtà degli esseri umani ecc.
Pur continuando ad essere importante ragionare su cosa sia la fotografia oggi, occorrerebbe, però, anche domandarsi cosa essa possa essere ed a cosa possa ambire. Sono domande coraggiose queste ultime perché implicano di guardare oltre quelle che ci si è abituati a dare per certezze. La fotografia come medium estendibile dimostra che al suo autore, Mauro Zanchi, tale coraggio non manca.
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