Noterella a: “Guerra in Europa. L’Occidente, la Russia e la propaganda” di Luciano Canfora, Francesco Borgonovo, Oaks editrice, 2022, pagg. 125
1. Con lo scoppio della recente guerra in Ucraina la disciplina geopolitica ha assunto un ruolo preponderante nei dibattiti quotidiani nei principali media (televisivi, digitali e carta stampata). Non è un caso che il numero di «Limes» dedicato alla guerra russo-ucraina abbia raggiunto record di vendite impensabili fino a poche settimane prima e in tv impazzino analisti di vario calibro, esperti di relazioni internazionali e, appunto, geopolitica.
Alessandro Orsini è uscito dagli ovattati ambienti universitari della Luiss per costellare le tv con le sue presenze e Mentana, fiutato l’affare, ha deciso di editare addirittura una nuova rivista di geopolitica – «Domino» – diretta dal giovane Dario Fabbri.
La “materia” tira... ma dove porta?
È risaputo che la geopolitica studia i rapporti tra la statualità e lo spazio (non a caso i primi teorici tedeschi di tale disciplina ragionavano sui problemi strategici che la Germania doveva affrontare per reagire contro le pressioni derivanti da Est e da Ovest, alla ricerca, dunque, del Lebensraum).
Al di là delle differenze, pure sensibili, tra i disparati filoni di ricerca delle varie teorie “geopolitiche” (che ne hanno anche ampliato gli ambiti di investigazione), esse per lo più hanno contribuito a fornire delle basi alle ideologie dello Stato [1].
Il soggetto di riferimento delle principali teorie o analisi geopolitiche, dunque, è lo Stato (nazionale o plurinazionale che sia; federale o imperiale, ecc…). Le classi sociali sono entità del tutto estranee agli studi geopolitici. È l’interesse nazionale (a prescindere dalla soggettività politica che lo incarna) ad essere indagato, per costruire ipotesi che possano servire ad una sua migliore proiezione esterna.
2. Il ragionamento che sviluppa Luciano Canfora nell’intervista realizzata da Francesco Borgonovo è senz’altro erudito e articolato. Il tentativo, esplicitato nelle prime pagine del libro, è quello di andare alla ricerca delle “cause” della guerra nei periodi di pace.
Canfora, per inquadrare la complessità delle vicende belliche e dei loro fattori scatenanti, richiama il grande patrimonio della letteratura classica e fa ricorso a frequenti analogie con le esperienze del Novecento.
Per spiegare la dinamica delle relazioni internazionali così come sono andate strutturandosi negli ultimi decenni nell’Est Europa, e segnatamente tra la Russia e i Paesi ad essa limitrofi, soprattutto l’Ucraina, fa riferimento ad un libro di Arnold Toynbee, Il mondo e l’Occidente: “Toynbee… dice: l’Occidente è storicamente l’aggressore. Verso gli altri mondi, non soltanto verso la Russia. Toynbee introduce questa categoria storica molto interessante, ‘sfida e risposta’” (pag. 82).
Utilizzando tale quadro analitico, Canfora ricostruisce gli scopi e l’operato degli USA e della NATO degli ultimi decenni: “spingere sempre più in là” la Russia, fino ad accerchiarla. Per questo motivo: “La reazione russa è stata brutale, certo, ma è arrivata al termine di una serie di brutalità dall’altra parte. Dirlo ormai sembra un sacrilegio, ma più ci penso e più mi pare che questo sia lo scenario dell’ultimo quarto di secolo” (pag. 63) [2].
Nell’intero ragionamento di Canfora scompaiono le classi sociali: russe, ucraine, degli altri Paesi, occidentali o orientali che siano. Le dinamiche internazionali sono analizzate solo dal punto di vista delle nazioni e dei poli transnazionali di aggregazione di interessi geoeconomici e militari.
La NATO provoca – la Russia reagisce [3]. Ma quali sono gli interessi di classe nelle politiche di aggressione della NATO? E quali sono gli interessi di classe che Putin e il suo entourage politico difendono con la decisione criminale di invadere un altro Paese?
Nell’ottica assunta dall’A., in campo ci sono solo blocchi nazionali o macroregionali di interessi, contrapposti, come se all’interno di ogni realtà nazionale o polo imperialistico non vi fossero contraddizioni di classe insanabili.
Non v’è dubbio che alla alleanza atlantica vadano attribuite le responsabilità per molteplici guerre degli ultimi decenni. E non v’è dubbio che il costante allargamento dell’alleanza verso Est abbia generato un “moto reattivo” della Russia.
La NATO, d’altronde, negli anni ’90 ha modificato la propria missione ufficiale, trasformandosi da alleanza difensiva a strumento di dominio imperialistico tout court degli USA: la nuova missione è quella di proteggere il “sistema energetico globale” (vie marittime, condotti di gas e petrolio…). Di fatto, una delega in bianco al suo principale azionista per operare su qualsiasi scenario mondiale.
Lo strumento utilizzato è la dottrina della “Responsability to Protect”: nell’accezione fornita dagli statunitensi essa deborda dal similare principio delle Nazioni Unite e, quindi, anche in assenza di autorizzazione del Consiglio di sicurezza, la NATO può operare [4].
La ricostruzione delle politiche di dominio imperialistico, tuttavia, non vanno mai scisse da una analisi di classe anche sui vari livelli nazionali. È proprio su questo piano che la geopolitica è inservibile dal punto di vista marxista e, anzi, finisce per essere una pericolosa “ideologia”, nella misura in cui occulta deliberatamente le distinzioni di classe e le diseguaglianze interne ad ogni Paese/Stato che, invece, prende – nella sua interezza – come riferimento della propria analisi e proposta strategica. La geopolitica, per sua natura costitutiva, nega ogni possibilità di analisi internazionalista (diversa da quella internazionale che fa delle dinamiche interstatuali).
La perdita del punto di vista di classe immancabilmente rigenera l’attenzione per i “popoli” (considerati come indistinte aggregazioni umane con interessi omogenei) e gli Stati (o comunque per le entità statuali) [5].
Si abbandona la critica dell’economia politica per abbracciare l’ideologia dello Stato (e, quindi, legittimare l’operato degli agenti del Capitale).
3. Ciò che desta più sconcerto, per un comunista, è tuttavia l’assenza di qualsiasi presa di posizione radicalmente contraria alla guerra di Putin (il massimo che si concede Canfora è definirla una “brutale reazione”) [6]. La logica di contrapposizione di potenza degli Stati (nel caso specifico: la Russia contro gli interessi della NATO gestiti per procura dall’Ucraina), finisce per legittimare una lettura quasi “neutrale” della guerra (priva di interessi di classe specifici) che quasi assume i connotati della “inevitabilità”, perché a lungo provocata.
Se la posizione assunta si limita ad essere ostile al “momento unipolare” statunitense, si rischia di fare il “tifo” per chi, “semplicemente”, si posiziona in un orizzonte multipolare. Ancora una volta si sposa la logica di potenza. Quali sono, invece, gli interessi delle classi subalterne nel complesso di tali dinamiche?
Se la guerra di aggressione della Russia è la risposta ad una provocazione ultradecennale, se è la Russia a reagire e non le classi dominanti russe a tutela dei propri interessi, allora non c’è spazio per le voci delle classi subalterne.
Canfora, in effetti, non spende una sola parola per le vite e gli interessi dei proletari ucraini e russi che vengono quotidianamente brutalizzati da questa guerra.
La conseguenza – tutto sommato coerente – è che non sia in grado di fornire alcuna parola d’ordine sul “che fare” delle classi oppresse russa e ucraina in questa precisa congiuntura bellica [7].
Sabotare la guerra e la logistica bellica, promuovere e sostenere la diserzione di massa, imporre al Governo russo un cessate il fuoco immediato e a quelli occidentali il fermo all’invio di nuove armi. Non dovrebbero essere questi i compiti immediati delle classi subalterne e dei soggetti politici che ne difendono gli interessi?
A che serve indagare le cause della guerra senza porsi il problema immediato e concreto del come uscirne?
4. La logica della statualità e dell’interesse nazionale portano immancabilmente acqua al nazionalismo [8].
Gli anticorpi possono essere coltivati solo in una dimensione di fratellanza di classe internazionale: «… il proletariato… sa che la patria per la quale si deve battere non è la sua patria, che per il proletariato di ogni paese non vi è che un solo vero nemico: la classe dei capitalisti, che opprime e sfrutta il proletariato; che il proletariato di ogni paese è strettamente unito, dal suo più profondo interesse, al proletariato di ogni altro paese; che di fronte all’interesse comune del proletariato internazionale passano in seconda linea tutti gli interessi nazionale e che alla coalizione internazionale dello sfruttamento e dell’asservimento bisogna contrapporre la coalizione internazionale degli sfruttati, degli asserviti. Esso sa che il proletariato, se dovesse essere impiegato in una guerra, verrebbe condotto a lottare contro i suoi stessi fratelli e compagni di classe e con ciò contri i suoi stessi interessi» [9].
Oggi non c’è alcun consesso globale delle classi oppresse capace di coordinare lotte generalizzate transnazionali che vadano in tale ottica, ma questa deve essere la prospettiva, per la quale lavorare quotidianamente. La guerra, qualsiasi guerra che non sia rivoluzionaria, non fa che affossare ogni seppur minimo conato di internazionalismo.
5. Messa in mora la critica dell’economia politica, l’analisi dei processi di riarmo e delle dinamiche belliche da un punto di vista di classe (e dunque: logica del capitale in movimento per l’espansione o la difesa dei propri interessi), non rimane che l’antiamericanismo (categoria politica tipicamente di destra, perché fondata su una logica di “scontro di civiltà”) [10].
Non è un caso, forse, che l’intervista a Luciano Canfora sia stata condotta da Francesco Borgonovo (secondo un’impostazione delle domande e degli argomenti del tutto coerente con le sue idee politiche – decisamente di destra [11]) e pubblicata da «Oaks editrice», la quale ha in catalogo autori che appartengono all’estrema destra, fascista (neo e vetero) e con qualche simpatia nazistoide.
Note
[1] Lo evidenzia Amedeo Maddaluno, Geopolitica. Storia di un’ideologia, Firenze, goWare, 2019, pag. 12. Forse è anche il motivo per il quale la geopolitica sembra essere il luogo privilegiato di incontro tra la destra radicale e alcune connotazioni “stataliste” e “nazionali” di sinistra. Il libriccino appena citato, d’altronde, è emblematico: introdotto da Aldo Giannuli, tra i principali ringraziamenti dell’Autore figura anche Claudio Mutti: il “nazimaoista” fondatore della rivista di geopolitica «Eurasia» e delle «Edizioni all’Insegna del Veltro», note per aver pubblicato numerosi testi di autori nazisti nonché il libro del “nazionalcomunista” Gennadij Zjuganov (Presidente del PCFR), Stato e potenza, già nel 1999.
[2] È interessante notare come lo stesso schema di lettura sia stato adottato dalla rivista «Eurasia», che ha intitolato l’ultimo numero “Pressioni atlantiche e risposte eurasiatiche” (n. 2/2022). Con questo non si vuole sostenere che Canfora sia assimilabile agli ambienti rossobruni della rivista appena richiamata, ma che certi paradigmi spingono verso le medesime conclusioni.
[3] L’Autore ammette che la “denazificazione”, per quanto abbia una “parte di riscontro nella realtà”, in ragione della presenza non irrilevante di organizzazioni politiche e militari neonaziste in Ucraina, è una parola d’ordine che serve per di più a “mobilitare gli spiriti”. Tuttavia, la vera posta in gioco – continua l’A. – è fermare l’avanzata della NATO (pag. 72).
[4] Su questi temi si v. Noam Chomsky, Perché l’Ucraina. Interviste di C. J. Polychroniou e Valentina Nicolì, Milano, Ponte alle Grazie, 2022, pagg. 20-23.
[5] Tutt’altra complessità teorica e analitica recano, invece, gli approcci critici alle relazioni internazionali. Solo per fare un es., si pensi alle elaborazioni maturate negli ultimi decenni nell’ambito degli studi neo-gramsciani, nei quali la lotta di classe (rapporti tra forze sociali, di comando e subordinazione, di egemonia…) mantiene un ruolo fondamentale e non viene messa da parte. Si v., per una critica simpatetica a detto approccio, Mark McNally, “The Neo-Gramscians in the Study of International Relations: An Appraisal” in Materialismo Storico, n. 1/2017 (vol. II), pagg. 93-114.
[6] In un breve passaggio dell’intervista (pag. 33), Canfora ci tiene a precisare di non avere nulla a che fare con la Russia di Putin, considerando l’esperienza della Russia post-sovietica molto negativa. Non c’è alcun motivo per non credergli, ci mancherebbe. Il problema è altrove: nella incapacità di muovere una critica netta alla guerra, anche se di fatto “antiamericana”.
[7] Il grande stordimento generato dall’invasione russa non ha risparmiato nemmeno Noam Chomsky che, nel provare a dare indicazioni sul da farsi, si spinge a sostenere che “… dobbiamo fare tutto il possibile per dare sostegno a coloro che difendono valorosamente la loro patria…” (op. cit., pag. 82), senza rendersi conto che, così facendo, si finisce per sostenere la “linea Biden” dell’invio massiccio di armi in Ucraina.
[8] Ogni “buon” nazionalismo – si sa – costruisce la propria identità nazionale contro le altre, fino, nei casi estremi, a negarle. È proprio quanto accade nel discorso politico di Putin, il quale – valorizzando gli stessi temi del nazionalismo russo ottocentesco e del primo Novecento – finisce per negare legittimità storica all’identità nazionale ucraina. Sul tema si v. Giovanni Savino, “Cosmologia di Vladimir Putin”, in Limes, n. 4/2022, pagg. 67-73.
[9] Karl Liebknecht, “Militarismo e antimilitarismo con particolare riguardo al movimento giovanile internazionale”, in Id., Scritti politici, a cura di Enzo Collotti, Milano, Feltrinelli, 1971, pag. 87.
[10] Sul tema si v. Giorgio Locchi, Alain De Benoist, Il male americano, Roma, LEDE, 1979. Per una ricostruzione ben più articolata della crisi ucraina, con un impianto analitico storico-materialista, si v. Yurii Colombo, Svoboda. Ucraina fra NATO e Russia dall’indipendenza a oggi. Nuova edizione, Roma, Castelvecchi, 2022.
[11] Ampiamente squadernate negli articoli pubblicati dopo l’intervista a Canfora.
Fonte
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