Si fa presto a dire embargo... Gli sherpa dei Paesi membri della Ue non sono riusciti a trovare una quadra sullo schema di intesa preparato dalla Commissione, che prevedeva l’esenzione dalle sanzioni per il greggio proveniente dall’oleodotto dell’Amicizia, che collega la Russia a Ungheria, Germania e Polonia. E dunque la riunione odierna del Consiglio Europeo rischia di trasformarsi in un boomerang.
I problemi sono numerosi, tutti interconnessi e ognuno irrisolvibile da solo.
La “pensata” sull’esenzione per Ungheria, Cechia e Slovacchia – che dipendono pressoché totalmente dall’oleodotto Druzhba (”amicizia”, appunto) – sembrava una soluzione che poteva mettere d’accordo gli anti-russi più vicini agli Usa (Polonia, baltici, ecc.) e i “tiepidi” che stanno misurando l’idiozia economica di misure che danneggiano soprattutto l’Europa senza peraltro toccare più di tanto la Russia.
La battuta attribuita a Ursula von der Leyen – presidente della Commissione – è illuminante nella sua contorsione: “Dobbiamo continuare ad acquistare petrolio russo per evitare che la Russia possa venderlo ad altri, i quali a loro volta lo rivenderebbero a noi a prezzi superiori“.
Il “mercato”, infatti, è tutt’altro che il luogo dei buoni sentimenti e dei “valori”. Da un lato ci sono i fornitori che ovviamente vedono con favore ogni occasione per aumentare i prezzi (anche rifornendosi a loro volta dalla Russia), da quest’altro ci sono i paesi europei che sarebbero stati obbligati comunque a fare meno del petrolio di Mosca (Italia, Francia, Spagna, Grecia, ecc.), e che naturalmente indicano la “distorsione del mercato” che si creerebbe facendo eccezioni per Orbàn ed altri. Finirebbero infatti per pagare di più all’interno di una “comunità” teoricamente “unita e compatta”.
In secondo luogo, questa distorsione arriverebbe nel pieno del tentativo – guidato apparentemente da Mario Draghi – di individuare un meccanismo per mettere un limite al rialzo dei prezzi dei beni energetici. Almeno per quanto riguarda i paesi dell’Unione Europea.
Meccanismo che molti vorrebbero rafforzare imponendo una separazione tra dinamica dei prezzi del gas e prezzi dell’energia elettrica. Cosa abbastanza complicata da definire tecnicamente, visto che alcuni paesi producono elettricità sfruttando soprattutto le centrali nucleari (la Francia, in primo luogo), mentre altri usano in primo luogo il gas (l’Italia, of course) e altri ancora diversi mix che comprendono persino il carbone.
Un quadro così complicato e differenziato negli interessi da far dire al vice cancelliere tedesco Robert Habeck che “Dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, abbiamo visto cosa può succedere quando l’Europa è unita“, ma sulle sanzioni quest’unità “si sta sgretolando“. Un avvertimento, certo, per far riflettere bene i 27 partner, ma anche una fotografia dei rischi a breve termine.
Anche perché, nelle stesse ore, l’agognata fine del lockdown a Shanghai – richiesta da tutto il mondo, nelle scorse settimane, per i componenti che dovevano arrivare dalle industrie locali – ha fatto immediatamente impennare la richiesta di petrolio e dunque anche i prezzi.
Alle ore 8 di stamattina, il greggio di qualità Brent scambiava a 116 dollari al barile con un rialzo dello 0,74%, dopo aver toccato un picco di 120 dollari al barile. La quotazione della qualità WTI, a sua volta, mostrava un +0,83% a 116 dollari al barile.
Queste dinamiche del mercato comportano naturalmente una spinta alla crescita dell’inflazione. E le banche centrali principali (Federal Reserve, Bce, Banca di Inghilterra) si scoprono fattualmente impotenti di fronte a questo scenario, che arriva dopo oltre un decennio di “iniezioni di liquidità” nei mercati.
Se infatti agiscono come previsto dai manuali di neoliberismo – aumentando i tassi di interesse – è assolutamente certo che innescheranno una profonda recessione nelle economie occidentali, facendo chiudere molte aziende e provocando uno choc occupazionale. Mentre quelle asiatiche – più concentrate da decenni sull’economia reale – non soffrirebbero particolarmente della stessa malattia.
Ma c’è di peggio. L’aumento dei tassi non avrebbe probabilmente alcun effetto sulla stessa dinamica dell’inflazione, visto che l’oceano di liquidità finanziaria immessa nei “mercati”, da oltre un anno sta lasciando i tradizionali investimenti (la Borsa) per concentrarsi sull’immobiliare e le materie prime. Ossia sui beni “fisici”, non di carta.
Ossia proprio in quei settori che alimentano l’inflazione, indifferenti alle scelte di politica monetaria.
Insomma, l’Occidente dimostra di essere reazionario alzando l’embargo per poi darselo pesantemente sui piedi (a voler essere gentili...).
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