La politica dei fatti compiuti decisa dalla Russia nella crisi e nella guerra con l’Ucraina vede aggiungersi un altro tassello.
Dal 23 al 27 settembre avranno luogo i referendum sull’annessione con la Russia nelle Repubbliche Popolari di Lugansk, in quella di Donetsk e nella parte del territorio occupato dai russi anche a Kherson e Zaporizhzhia.
Lo stesso Vladimir Putin nel suo discorso alla nazione ha annunciato che “faremo tutto il possibile per garantire che i referendum si svolgano in piena sicurezza” e che i cittadini di quelle regioni possano prendere la decisione “di entrare nella Federazione Russa” sottolineando poi che i territori di Luhansk e Donetsk “sono ormai quasi completamente liberati dai nazisti”. Inoltre ha annunciato il richiamo di 300.000 riservisti.
Il primo vicepresidente del Consiglio della Federazione russa e segretario generale del partito Russia Unita, Andrey Turchak ha dichiarato che “Si terrà sicuramente un referendum sull’adesione delle repubbliche del Donbass alla Russia, che sancirà legalmente la regione e altre aree liberate come parte della Russia. Un referendum è una necessità attesa da tempo. Si terrà sicuramente. Un voto equo e aperto consoliderà legalmente i suoi risultati una volta per tutte. In effetti, il Donbass e altre aree liberate fanno già parte della Russia“, ha sottolineato Turchak .
“I referendum nel Donbass sono di grande importanza non solo per la protezione sistemica dei residenti della Repubblica del Lugansk e del Donetsk e di altri territori liberati, ma anche per il ripristino della giustizia storica“, ha commentato il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev. Ma questo ovviamente porrà un problema: “L’invasione del territorio della Russia è un crimine che consente l’uso di tutte le forze di autodifesa“, ha aggiunto Medvedev, spiegando che per questo i referendum “sono così temuti a Kiev e in Occidente” e “devono essere temuti“.
Il Donbass è interessato allo svolgimento più trasparente e legittimo dei referendum, nonché alla loro approvazione da parte dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) e dei paesi BRICS, ha affermato martedì l’ambasciatore della Repubblica popolare di Lugansk presso la Federazione Russa Rodion Miroshnik durante una trasmissione televisiva Rossiya-24.
“Non ci interessa l’atteggiamento dei paesi occidentali nei confronti dei nostri processi, perché si è già manifestato sul campo di battaglia, ma è estremamente importante per noi come lo valuteranno i paesi SCO e BRICS, che saranno presenti quali osservatori. Siamo interessati al processo più trasparente e legittimo“, ha affermato.
Dal canto suo il portavoce di Zelenski , Serhii Nykyforov, ha affermato che “i piani della Russia di indire finti referendum nei territori occupati non influiranno sulla posizione del Presidente Volodymyr Zelensky e delle Forze Armate ucraine”. Secondo Nykyforov, questi “referendum” annulleranno la minima possibilità di porre fine alla guerra attraverso la diplomazia.
“Tutti i territori ucraini riconosciuti a livello internazionale saranno liberati“, ha aggiunto il portavoce ucraino. Anche il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha dichiarato che “Nonostante i piani della Russia di tenere pseudo-referendum nei territori ucraini occupati dal 23 al 27 settembre, l’Ucraina continuerà la sua controffensiva. L’Ucraina ha tutti i diritti di liberare i propri territori e continuerà a liberarli qualunque cosa la Russia abbia da dire“, ha dichiarato Kuleba.
In queste ore sulla guerra in Ucraina il mondo si era trastullato su due fattori rivelatisi fragili:
1) l’idea che lo stop alla controffensiva ucraina fosse solo un segnale di apertura delle trattative tra Ucraina e Russia.
2) L’allusione fatta circolare dal presidente turco Erdogan circa la disponibilità russa al negoziato dopo lo scambio di 200 prigionieri di guerra realizzato grazie alla mediazione turca.
In realtà lo scenario ancora non muove in questa direzione. Nel suo discorso domenicale Zelenski ha ribadito che l’Ucraina vuole riconquistare tutti i territori perduti, ma la realtà sul campo rivela che le forze armate ucraine sono già in forte debito di ossigeno nella loro controffensiva. Le forti perdite subite dagli ucraini, il consolidamento delle difese russe e l’invito alla cautela da parte della Casa Bianca, hanno frenato le operazioni sul terreno e le illusioni su una riconquista rapida ed efficace dei territori occupati dai russi.
Dal canto suo la Russia ha verificato che l’andamento della guerra innesca quel logoramento di forze che depotenzia qualsiasi velleità di vittoria. Il richiamo di 300.000 riservisti ne è la conferma.
Di fronte al rischio di un nuovo stallo sul fronte, Mosca ha rilanciato la carta dell’annessione delle Repubbliche di Luhansk e Donetsk e dei territori occupati nel sud per renderle “territorio russo” e quindi soggetto a ritorsioni assai più pesanti in caso di attacco. In pratica ha alzato ulteriormente l’asticella. Adesso sia l’Ucraina sia la Nato sanno che sullo sfondo si potrebbe profilare una guerra ad un livello assai più alto di quella combattuta fino ad ora. Nel suo discorso, il presidente russo ha fatto sapere che Mosca “è pronta a difendersi in ogni modo” è che questo “non è un bluff”.
Ma i fatti compiuti possono essere sia una carta vincente sia perdente perché poi – se non funzionano – è difficile tirarsene indietro senza perdere credibilità e potere negoziale. Nella storia sono stati più spesso indice dell’avventurismo delle classi dirigenti che delle soluzioni possibili.
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