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26/09/2022

Più a destra di così è difficile, in apparenza...

I risultati sono chiari: la ricerca di una risposta politica alla crisi diversa dall’“agenda Draghi” – vincoli europei, guerra euro-atlantica, impoverimento dei più poveri, ecc. – è finita per riversare molti consensi sull’unica forza parlamentare che apparentemente si trovava all’opposizione. Una parte ancora più consistente è finita nell’astensione.

Quanto durerà anche questa configurazione del “sentimento politico” delle grandi masse della popolazione lo vedremo presto alla prova dei fatti: l’inverno alle porte minaccia già chiaramente razionamento dell’energia, ancora più inflazione, chiusura di aziende e licenziamenti.

Continua insomma quel forsennato spostamento caotico verso chiunque prometta miracoli che poi non si possono realizzare, perché – come ricordano sempre gli osservatori più consapevoli – la “doppia gabbia” in cui è collocata l’Italia (Nato e Unione Europea) non consente margini significativi di spostamento nelle scelte di politica economica, sociale, militare.

La “lotta politica” si gioca insomma dentro un acquario dove ci si agita molto per nascondere l’impotenza di tutti.

Nel 2018 questa ricerca aveva premiato Cinque Stelle e Lega, ora si travasa sui postfascisti guidati da Giorgia Meloni. Il che è una novità relativa, in qualche modo “storica”, anche se è bene ricordare che già con Gianfranco Fini i fascisti avevano occupato posti importanti di governo. E certamente nel primo decennio del nuovo secolo c’era ancora qualche margine di azione per forze politiche non del tutto allineate con i diktat di Washington e Bruxelles.

Ora sono nulli. A meno di non aprire un conflitto di grande portata che metta in discussione anche la collocazione internazionale del paese.

Cosa che non è affatto nelle corde di Meloni & Co., che infatti da mesi si sbraccia per rassicurare quei “poteri forti” sulla propria fedeltà euro-atlantica (su quella alle imprese non c’erano mai state incertezze, ovviamente). Facile prevedere insomma che sulle cose essenziali continueremo ad avere a che fare con l’“agenda Draghi” (Crosetto sta già chiedendo pubblicamente di scrivere con SuperMario la prossima legge di stabilità), e dunque vedremo che questi consensi ricominceranno a cercare un approdo più promettente...

Per ora, comunque, quando mancano i dati di 3.000 sezioni su 61mila, le cose stanno così:

Fratelli d’Italia raccoglie oltre il 26% e signoreggia su un’alleanza di centrodestra che supera il 44%. La Lega precipita sotto il 9%, e dunque si apre la partita per la sostituzione di Salvini, o addirittura per la liquidazione di questa esperienza. Galleggiano all’8% i superstiti seguaci di Berlusconi, in attesa che la natura faccia il suo corso.

Il Parto Democratico ritorna al punto in cui l’aveva lasciato Matteo Renzi: sotto il 20%. Ma i fiancheggiatori di +Europa, Fratoianni e Bonelli non danno prospettive di “campo largo” tale da poter progettare rivincite in tempi brevi.

Il quasi 8% di Calenda e Renzi è per un verso sorprendente (la loro antipatia è tale da aver fatto scommettere molti su un risultato molto inferiore), per l’altro deludente (rispetto alla spropositata copertura mediatica concessa soprattutto al primo).

Sopravvivono i Cinque Stelle, che superano di poco il 15%, grazie all’unica mossa che potevano fare per non sparire: uscire dal governo Draghi e provare a ricostruirsi un minimo di credibilità come forza “diversa”.

Tutte le altre liste stanno sotto la soglia di sbarramento del 3%, a cominciare dall’altro super-pompato dai media di regime (Paragone e la sua corte di fascisti dichiarati), fermo all’1,9.

Unione Popolare prende l’1,43%, che può sembrare molto o poco a seconda delle previsioni o delle aspettative (o delle illusioni).

Più sotto ancora l’equivoco “rozzobruno” di Italia sovrana e popolare.

Nelle prossime ore vi proporremo una riflessione più meditata.

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