Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

27/09/2022

Frontiere inviolabili e diritti umani, il labirinto della politica internazionale

di Guido Salerno Aletta

All'ONU si vive una situazione di grande incertezza: la questione della invasione dell'Ucraina da parte della Russia mette in seria difficoltà le relazioni tra Mosca e Pechino per il sovrapporsi della questione di Taiwan.

C'è un punto cruciale da cui occorre partire: la Russia sostiene di essere intervenuta in Ucraina con l'operazione militare speciale in corso a partire dal 24 febbraio per difendere i diritti umani delle popolazioni del Donbass che venivano violati da Kiev. Nessun seguito concreto era stato dato agli Accordi di Minsk, garantiti da Francia e Germania con il supporto dell'OSCE, sulla cui base dovevano essere garantite forme di autogoverno alle due autoproclamatesi Repubbliche del Donetsk e Lougansk, aree di confine popolate da una forte minoranza russofona e russofila.

Il referendum ora in corso in queste due autoproclamate Repubbliche ed in altre due regioni sottoposte al controllo militare di Mosca, finalizzato a determinare una loro integrazione politica nella Federazione Russa, rappresenta un vulnus al principio della integrità territoriale degli Stati e delle loro frontiere: solo un riconoscimento internazionale di questo processo, ora impensabile, potrebbe conferire il crisma della legalità ad uno stato di fatto.

È ben vero che il diritto internazionale e la sovranità degli Stati si basano sul principio di effettività, ma le istituzioni come l'ONU hanno definito criteri e strumenti di stabilizzazione rispetto al principio della mera forza.

C'è un primo punto delicatissimo: se la Cina sostenesse anche la sola legittimità dell'intervento militare della Russia in Ucraina, e dunque nel territorio di un altro Stato sovrano, per difendere i diritti umani della popolazione ivi residente, si metterebbe in una posizione assai scomoda per quanto riguarda la situazione di Taiwan: quest'isola, che fa parte integrante della Cina e che dunque non ha alcun riconoscimento come Stato indipendente e sovrano sul piano del diritto internazionale, ha tuttavia uno status peculiare che la stessa Cina indirettamente riconosce sulla base del principio "Un Paese, due Sistemi".

Se Pechino volesse ridurre in forma coattiva, anche solo sul piano economico se non addirittura con una occupazione militare, i margini di autonomia di cui Taiwan oggi beneficia potrebbe provocare una reazione di resistenza assai vigorosa da parte del governo e della popolazione dell'isola, che giustificherebbero un supporto da parte di Stati terzi. È ben noto che gli Usa forniscono da tempo armi a Taiwan per garantirne il diritto alla autodifesa e che considerano lo Stretto di Taiwan come mare internazionale in cui deve essere libera la navigazione al naviglio anche militare di altri Paesi.

C'è dunque una sorta di tutela internazionale degli Usa nei confronti di Taiwan, paragonabile a quella che la Russia ha inteso inizialmente esercitare a tutela delle popolazioni del Donbass e nelle altre aree limitrofe ai suoi confini.

Con l'annessione, il quadro si complica: la Russia andrebbe infatti al di là del Dovere di protezione dei diritti umani delle popolazioni del Donbass, che avrebbe giustificato il suo intervento, per invocare il principio della libera autodeterminazione dei popoli.

L'autodeterminazione dei popoli e la protezione dei diritti umani costituiscono i due principi fondamentali del diritto internazionale moderno, che hanno segnato l'evoluzione del Novecento.

Il principio dell'autodeterminazione dei popoli, sancito dalla Carta dell'ONU, affonda le sue radici nella ideologia wilsoniana: per evitare i conflitti tra gli Imperi che avevano determinato la Prima guerra mondiale, le frontiere degli Stati andavano ricostruite sulla base delle diverse nazionalità che nel tempo erano state aggregate. Fu così che, dopo aver privato l'Impero di Germania delle sue colonie, vennero segmentati sia quello Austro-ungarico sia quello Ottomano.

L'Impero zarista, colpito a morte dalla Rivoluzione d'Ottobre, aveva assunto una fisionomia assai complessa, sia per la pace separata che era stato stipulata in fretta e furia con la Germania, sia per le aggregazioni che erano state successivamente determinate dalla contaminazione ad altre aree circostanti dei fermenti rivoluzionari: si formò così l'URSS, una entità politica più vasta e variegata dell'ex Impero russo.

Il processo di decolonizzazione avviato dopo la Seconda guerra mondiale, con la fine dell'Impero Britannico trasformato in Commonwealth già accettata con la sottoscrizione della carta Atlantica, è stato un processo irreversibile, ma l'ideale coincidenza tra Stati e Popoli ha trovato limiti insormontabili: soprattutto le frontiere degli Stati africani, che erano state arbitrariamente decise dalle Potenze coloniali nella Conferenza di Berlino del 1884, da una parte mettendo insieme senza alcun criterio popolazioni diverse e dall'altra dividendo aree economicamente interdipendenti, non potevano essere rimesse in discussione senza provocare conflitti ancora più feroci di quelli che hanno insanguinato il Continente.

Ci sono state delle eccezioni, come per l'Indocina francese che venne divisa tra Vietnam, Cambogia e Laos al fine di limitare il più possibile i conflitti. Lo stesso accadde per l'India: la guerra civile e religiosa scoppiata tra gli Indù ed i Musulmani dette luogo alla formazione del Pakistan, uno Stato popolato da questi ultimi e composto da due componenti territoriali distinte, situate all'estremità occidentale ed orientale del sub continente.

Per difendere le popolazioni che subiscono le violenze della guerra civile, soccombendo alle angherie della comunità etnicamente prevalente, l'ONU ha quindi elaborato il principio della Responsabilità di Proteggere: se uno Stato viene meno all'obbligo di rispettare i diritti umani dell'intera popolazione di cui è composto, la Comunità internazionale può intervenire anche con l'uso della forza.

L'ONU è intervenuto ripetutamente in Africa per evitare le prosecuzione delle violenze lesive dei diritti umani, l'ultima volta in Libia nel 2011 per evitare i massacri della popolazione civile.

In precedenza, la Nato si era assunta autonomamente il potere di intervenire nel Kosovo per difenderne la minoranza musulmana dalla repressione della Serbia di cui faceva parte. La Jugoslavia ha subito un processo disgregativo che ha dato vita a diversi Stati: Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina e Macedonia del Nord si sono rese indipendenti dalla Serbia e sono state riconosciute internazionalmente come sovrani. Non è accaduto così per il Kosovo, una regione della Serbia cui Belgrado si rifiuta di riconoscere l'indipendenza come invece hanno fatto 98 Paesi dell'Onu, sui 193 complessivamente aderenti.

A questo punto, c'è un'altra questione delicatissima dal punto di vista delle relazioni geopolitiche.

Mosca non può invocare il precedente del Kosovo, perché non ha mai riconosciuto quest'ultimo per via delle sue buone relazioni con Belgrado. Se volesse far applicare al Donbass il precedente del Kosovo, dovrebbe riconoscerlo come Repubblica sovrana perdendo l'alleanza strategica secolare che la lega alla Serbia.

Pechino, a sua volta, guarda al precedente del Kosovo con orrore: riconoscerlo significherebbe dare il viatico all'indipendenza di Taiwan.

Le relazioni internazionali sono sempre un groviglio inestricabile.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento