Molti si chiedono, ingenuamente, perché il quadro politico nazionale si sposti continuamente a destra. E perché, di conseguenza, anche l’argomento idiota del “voto utile” mostri ormai la corda, vista la sua evidente inefficacia nel realizzare – o almeno avvicinare – l’obiettivo per cui è stato coniato: “fermare la destra”.
Per rispondere in modo non teorico (o “ideologico”, come amano dire quelli che fanno fatica a far girare i pochi neuroni attivi) sarà bene osservare non solo la campagna elettorale in corso, ma anche le tendenze di lungo corso in tutto l’Occidente neoliberista.
Se guardiamo agli argomenti sollevati dal “centro democratico” – ossia dalla formazione di destra che si fa chiamare Pd – sembra proprio che si batta per perdere clamorosamente, scendendo anche al di sotto della percentuale raggiunta dal “Peggiore” segretario che abbia mai avuto, Matteo Renzi.
Enrico Letta non solo non ne imbroccca una, ma agita temi che palesemente interessano (forse) minoranze benestanti, se non addirittura “posizionamenti” internazionali su cui non c’è differenza sostanziale con la destra para-fascista.
Com’è ormai noto, sia la Meloni che Salvini (per non dire di Berlusconi) stanno saldamente sul fronte euro-atlantico, limitandosi ad evocare “l’interesse nazionale” quel tanto che basta a solleticare quanti hanno una visione cortissima. Ma del resto è quel che materialmente fanno anche i governi dei paesi principali dell’Unione Europea, quelli considerati “esempi”.
La Germania, com’è risaputo, cerca di ritardare il più possibile l’applicazione delle sanzioni contro la Russia per paura di perdere le forniture di gas prima di aver trovato validi sostituti. L’Olanda si oppone al price cap sul gas perché ospita la borsa di Amstradam specializzata nel settore. Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ogni paese presenta comportamenti simili, pur essendo tutti – in proporzione al proprio peso economico e dunque politico – sottoposti ai rigidi vincoli dei trattati.
In questo contesto sentire Letta strepitare sull’Ungheria, la Russia, ecc. dà immediatamente la sensazione del “parlare d’altro”. Nemmeno troppo aiutato dal voto europeo che considera quella di Orbàn, una “autocrazia elettorale”.
Definizione che toglie il terreno sotto i piedi a molta retorica “democratica” degli ultimi trenta anni, secondo la quale la “democrazia” si identifica quasi soltanto con la presenza o meno di un rito elettorale formalmente “libero”, anche se con limitazioni paurose quanto ad effettiva parità tra i partiti concorrenti (basti guardare a quel che accade proprio in questa campagna elettorale, ridotta ad una televendita truffaldina in cui alcuni “prodotti” occupano tutto lo schermo ed altri sono relegati sullo sfondo).
Si dirà: beh, però l’Ungheria presenta numerosi aspetti in contraddizione con lo “stato di diritto”.
Vero, verissimo. Il controllo politico della Corte Costituzionale, lo strapotere dell’esecutivo nei confronti degli altri poteri (parlamento e magistratura), le politiche contro i diritti civili (l’aborto, i comportamenti sessuali “non approvati”, ecc.) sono certamente indici molto seri in questo senso.
Ma non si capisce quale sia la differenza – per esempio – con la Polonia, che pratica esattamente la stessa logica reazionaria. Ah, già, Varsavia è per inasprire le sanzioni a Mosca, mentre Budapest non può e dunque non vuole rinunciare al gas russo... Gli alleati servili sono per definizione “democratici” (come il “rinascimentale” Bin Salman), quelli “scapestrati” sono a rischio.
Il tentativo “democratico” di fare delle elezioni italiani una “scelta di campo” tra “democrazia” ed “autocrazia elettorale” (anche in Russia si vota, e ci sono parecchi partiti diversi) è semplicemente una follia.
Siamo infatti nel pieno di una crisi energetica e di un’inflazione galoppante (tutta importata) che svuota salari e pensioni. Dare la colpa alla Russia è un gioco che può funzionare per qualche mese, poi il crudo bisogno di massa lo svuota di senso.
E i mestatori di destra lo sanno meglio dei finti “democratici”...
Ma tutta la “grande stampa” – televisioni comprese – sembra lavorare per conferire alla destra para-fascista il massimo dello spazio sociale possibile. Guai a definire “fascisti” la Meloni e i suoi seguaci; guai a ricordare che “i nostri alleati” del battaglione Azov sono dei nazisti orgogliosi di esserlo.
Ma se megafoni dei principali gruppi industriali o finanziari concordano tutti su questa “narrazione democratizzante” – altro che greenwashing politico... – vuol dire che c’è un interesse dominante che non può più fare a meno della reazione nuda e cruda. Del fascismo del terzo millennio, opportunamente ridisegnato, senza passo dell’oca (per ora) e qualche ambiguità ben dissimulata, ma sempre pronto a “passare ai fatti”.
Del resto, se la governance del sistema occidentale si va concentrando in sempre meno mani; se i processi decisionali europei debbono ormai procedere senza tener conto dei risultati elettorali nazionali (Gentiloni, di recente, si è espresso come il Wolfgang Schaeuble di qualche anno fa); se è “il mercato” e non “la politica” a determinare il corso delle cose; se quindi i bisogni e i sogni della maggioranza delle popolazioni europee non debbono più avere alcuna possibilità di imporsi o “disturbare” quei processi decisionali...
Beh, allora i fascisti diventano indispensabili.
Per “difendere la democrazia”, naturalmente...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento