I tentativi di attivare tramite la cultura processi di rigenerazione urbana, concetto che ha un significato comunque scivoloso, sono diversi, in Europa risalgono agli anni ’80 e vanno saputi leggere per distinguere la propaganda dai progressi concreti per capire il contesto, niente affatto tranquillo, nel quale operano questo genere di strategie.
Per fare un esempio, Liverpool, capitale europea della cultura 2008, ma oggetto d’investimenti su questo piano anche in epoca Thatcher, ha puntato strategicamente sulla cultura come settore trainante della rigenerazione urbana, e veicolo di ristrutturazione, con grossi risultati ma anche con fallimenti reali. In questo recente articolo infatti possiamo trovare uno spaccato di decenni di mutazioni e ristrutturazioni dell’area metropolitana di Liverpool che conducono, oggi, a un ineliminabile risultato: le street gang si sono moltiplicate nonostante anni di tentativo di governo del territorio, politiche culturali e di riduzione di quella che viene chiamata devianza (in questo caso gli Youth Crime Prevention Programmes).
La base materiale di questo fenomeno è l’alto tasso di disoccupazione giovanile di quelle aree tenendo conto che, a livello nazionale britannico, il tasso giovanile di disoccupazione è perlomeno triplo rispetto alla media complessiva. Insomma seguendo l’articolo di John Hesketh, docente di Justice Studies a una delle università di Liverpool, è la distanza tra mondo giovanile e mercato del lavoro a creare quello spazio che rende possibile la riproduzione delle street gang: un spazio urbano, aggregativo dal punto di vista neotribale con una base economica perché riempito dall’economia informale, dal mercato delle droghe e dalla predazione e dalla riappropriazione urbana.
Ora, la questione delle street gang in Inghilterra è vecchia quanto la rivoluzione industriale ma, a ogni mutazione economica si pone con le sue differenti culture e i diversi livelli d’intensità di economia della predazione e della riappropriazione. Quello che impariamo da Liverpool, per le nostre province nelle quali si parla impropriamente di banlieue di Toscana, è che la rigenerazione urbana con la cultura come strumento di ristrutturazione del territorio lascia enormi spazi scoperti, assieme alla continua ristrutturazione del lavoro portuale (che in UK segue le linee di questo genere di politica) all’economia e alla presenza delle street gang grazie anche a un alto tasso di disoccupazione giovanile e al fenomeno dell’abbandono scolastico. Insomma, se non vogliamo ridurre il nostro territorio a una Toxteth (un quartiere molto problematico di Liverpool) sul Mediterraneo è bene uscire dal loop retorico “intanto la cultura” perché le politiche culturali sono essenziali ma solo entro un approccio sistemico legato alla rigenerazione urbana. Altrimenti sono, come fa il comune di Livorno, intrattenimento venduto come medicina sociale. E questo approccio sistemico se in Gran Bretagna difetta, o è pesantemente condizionato dal liberismo, da noi è ancora territorio alieno.
Quello inglese è un paradigma da tenere bene in mente anche dalle nostre parti: la rigenerazione urbana ha nella cultura, si pensi alle aree lasciate libere dai precedenti cicli economici, un elemento forte d’innovazione economica ma da solo lascia comunque enormi spazi scoperti. Anche in economie, come quella inglese, nella quale il basso tasso di disoccupazione è comunque accompagnato da un forte tasso di disoccupazione giovanile. E specialmente in aree portuali nelle quali, pur in presenza d’innovazione tecnologica e d’importanti presidi di economia della conoscenza, aree, ricchezza e legame sociale tendono a ridursi con l’evoluzione del rapporto tra territorio ed economia dello shipping.
Insomma, nel momento in cui le street gang non sono più un elemento delle subculture urbane legate alle mode e al tempo libero ma parte decisiva, neotribale di una economia informale, che sottrae spazio alla grande economia formale, che occupa territori e li plasma secondo le proprie esigenze è evidente che bisogna saper guardare con occhio critico alle “politiche” di oggi e prefigurare la politica del prossimo domani.
Se guardiamo all’articolo della Nazione – quello che azzarda il paragone tra Pisa, Livorno e le periferie francesi – i sindaci di entrambe le città, con accenti diversi, chiedono prima di tutto un intervento di controllo militare. Ora, se nelle guerre moderne è chiaro che l’intervento sul campo è sempre meno decisivo per risolvere le controversie, e che un conflitto si vince mettendo in sincrono più piani d’intervento, a maggior ragione questa regola vale quando si devono rigenerare i territori. Invece, le retoriche dell’intervento militare si ripetono in assenza di una politica reale della sovrapposizione di piani che, unica, può scatenare davvero un cambiamento.
Il punto è che i sindaci chiedono più forze dell’ordine in un mondo nel quale si rivelano poco efficaci anche i risultati dell’intervento di polizia nei territori a rischio persino se accompagnato dal predictive policing (gli strumenti predittivi dei comportamenti a rischio basati su analisi dei dati). Eppure da noi, dove la comunicazione politica è quasi sempre richiesta di polizia, il predictive policing è solo, dove è conosciuto, poco più di una teoria. Finisce così che i primi cittadini richiedano strumenti d’intervento di qualche crisi fa, l’occupazione militare e arresti che non possono andare oltre il piano simbolico, così la continua richiesta di pattuglie sul territorio si rivela non frutto di una strategia ma solo della tattica dell’incontro con le richieste dell’opinione pubblica e dei social.
Conosciamo la logica che muove i sindaci: se l’opinione pubblica chiede pattuglie sul territorio i primi cittadini si mettono nel coro. Addirittura mentre la disponibilità dei sindaci, in tema di ordine pubblico, “per fare pressione su Roma” è sempre immediata non ne esiste una seria per piani organici di rigenerazione urbana. In poche parole, si manca completamente degli strumenti e della concezione necessaria per attivare, in sincrono, gli elementi (dal controllo del territorio, al recupero economico alla rielaborazione del legame sociale) della complessa ma necessaria strategia di rigenerazione urbana. In questo modo si faranno degli arresti ma la produzione di degrado rimarrà intatta. Lo rimane, come nel caso inglese, anche in caso di decenni d’interventi sui territori lo rimarrà, a maggior ragione, nei nostri dove il decoro urbano è il massimo del traguardo del marketing politico.
Qui il sindaco di Livorno, Luca Salvetti, si è già ricavato un ruolo (richiesta di organici di polizia, di certezza della pena) che è sia di richiesta che polemico nei confronti dello stato centrale. Ruolo che avrebbe un senso se Livorno fosse in grado di attivare, o anche solo di prefigurare, interventi organici, profondi di rigenerazione urbana. In questo scenario il marketing sul progetto degli Uffizi a mare, che pare carente sulle fonti di finanziamento, non ha molto a che vedere con la rigenerazione urbana. Considerato che dal punto di vista turistico, e d’identità del territorio, ha molto più senso un museo della città del cui progetto culturale si sono perse le tracce.
Il futuro di Livorno è quello di essere un set permanente delle immagini celebrative del primo cittadino, con progetti come quello degli Uffizi a mare che sono più da passato liberty coloniale che da identità viva del territorio? Magari con le street gang che proliferano nel ritrarsi dell’economia formale da Livorno?
Il rischio c’è e con questo governo di Livorno il rischio somiglia parecchio alla certezza. Livorno ha comunque le forze per risollevarsi ma è anche il momento di capire come e quando queste forze possono manifestarsi.
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