Il detto biblico “dio confonde coloro che vuol perdere” sembra perfettamente adeguato a questi tempi di follia.
La Federal Reserve statunitense (la banca centrale) ha aumentato i tassi di interesse, come previsto, di 75 punti base (0,75%). È il terzo aumento consecutivo di questa entità e porta il tasso di interesse base (quello praticato dalla banca centrale alle banche private, che poi ne applicano uno più alto ai clienti) ad una forbice tra il 3 e il 3,25%.
Jerome Powell, il presidente della Fed, al Fomc ha dichiarato di “prevedere che aumenti continui saranno appropriati. L’inflazione rimane elevata, a causa degli squilibri della domanda e dell’offerta legati alla pandemia, all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia e a pressioni più ampie sui prezzi. La guerra della Russia contro l’Ucraina sta causando enormi disagi umani ed economici. La guerra e gli eventi correlati stanno creando ulteriori pressioni al rialzo sull’inflazione e stanno pesando sull’attività economica globale”.
A pagare è intanto l’economia reale: per fine anno si prevede che il Pil crescerà solo dello 0,2%, contro un +1,7% stimato a giugno.
“Siamo fortemente impegnati a riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% – ha detto Powell – la stabilità dei prezzi è nostra responsabilità, senza di questa l’economia non funziona. Il focus è per un’inflazione al 2% – ha ribadito – andremo avanti finché il lavoro non sarà finito. È possibile che l’inflazione diventi radicata, l’alta inflazione crea problemi al potere d’acquisto”.
Powell sembra così volutamente ignorare che anche la frenata dell’economia, la recessione e la disoccupazione derivante creano (già ora) “problemi al potere d’acquisto”.
Ma un banchiere centrale ha un solo strumento in mano (gestire il livello dei tassi di interesse) e dunque è obbligato a pensare che con quello strumento può e deve risolvere qualsiasi problema.
È qui la follia del tempo presente. L’inflazione in atto non deriva da un “eccesso di attività economica”, che anzi si era appena risvegliata dopo due anni di pandemia, ma da una crescita esponenziale dei costi dell’energia dovuta a una molteplicità di cause: crescita della domanda da parte di paesi emergenti, oltre che della Cina, ripresa dell’attività nell’Occidente neoliberista e infine con la guerra in Ucraina cui proprio l’Occidente ha risposto con “sanzioni” unilaterali che hanno comportato la segmentazione del mercato globale (tra chi aderisce alle sanzioni e chi non le rispetta), con il risultato finale che l’energia costa molto di più qui piuttosto che nel resto del mondo.
Nei fatti, dunque, l’aumento dei tassi di interesse non può incidere più di tanto sul livello di questa inflazione “importata” (che non nasce cioè da dinamiche interne al sistema economico), anche se indubbiamente avrà effetti pesantemente negativi per l’economia statunitense e di riflesso anche europea (l’unico altro pezzo del mondo che aderisce alle sanzioni contro Mosca).
Tutto ciò ricorda un famoso motto popolare che irride il privarsi di una parte essenziale di sé per fare un dispetto a qualcun altro...
In qualche misura persino Powell sembra esserne consapevole: “Nessuno sa se ci sarà una recessione e quanto durerà – ha ammesso – nessuno sa dove sarà l’economia tra un anno. Centrare un atterraggio morbido è difficile“.
Ma in economia un “atterraggio non morbido” si chiama crisi, e resta solo da vedere se si manifesterà solo come recessione (più o meno drammatica) o, come sembra stia già avvenendo, come stagflazione (compresenza distruttiva di stagnazione-recessione e alta inflazione).
La Bce, immancabilmente, seguirà la stessa logica. Il che è ancora più grave, per noi “europei”, perché almeno gli Stati Uniti possono contare sull’autonomia in materia di risorse energetiche. L’Unione Europea, com’è noto, deve invece districarsi con le importazioni da cambiare in corsa (dal 40% di gas russo ad altri fornitori, più cari e meno affidabili).
E ancora non è esplosa del tutto la carenza strategica di gasolio da autotrazione...
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