Coca Cola
E sei protagonista
Ci sono periodi in cui gioia e malessere "scopano" ogni giorno. È un rapporto sfrenato, che brucia anche senza preavviso. Una droga, in certi casi.
Ebbene, il 1983 è per Vasco Rossi l'anno in cui questo momento speciale raggiunge il K2 con la resistenza di uno sherpa. La transizione tra il culmine dell'estro artistico e il declino umano. Ma soprattutto l'anno in cui viene pubblicato l'album più iconico di tutta la carriera del cantautore rock emiliano.
"Bollicine" è il disco con cui il futuro conquistatore di masse e classifiche gioca meglio le sue carte. L'album più a nudo, al netto dei chiaroscuri. A cominciare dai doppi sensi di cui la title track è piena. E a finire con la canzone generazionale per eccellenza: "Vita spericolata". Uno di quei miracoli dalla rendita pressoché infinita. Non a caso, De Gregori ne eseguirà una cover dieci anni dopo e Vasco ricambierà con una sua versione live a San Siro di "Generale" durante il concerto "Rock sotto l'assedio".
È un instant classic, come direbbero gli anglofoni. Nello specifico la liberazione che si fa corpo. Un manifesto genuino, verace, disarmante.
"Vita
spericolata" è la derapata con sorpasso di un trentunenne fino a quel
momento poco inteso. Vasco è l'uomo che, inneggiando Steve McQueen,
brama in largo anticipo la morte, abbracciando la follia, la pura gioia,
al punto da mandare, con poche semplici parole, letteralmente in tilt
la borghesia bigotta seduta sulle poltrone dell'Ariston con tutti i suoi
lacchè. L'abbandono improvviso a Sanremo, con il playback che continua a girare, è noto anche ai muri e restituisce l'eternità di un addio mai più così spassionato.
Ma
il Vasco di "Bollicine" non è solo quello blasonato. Nelle altre sei
canzoni, il saliscendi di umori, invettive, sfottò, presagi e
alienazioni non dà tregua. "Bollicine" è unico nel suo genere anche per
questo. È un album stravagante, tanto geniale quanto schietto. Inoltre
estremamente ondulato, imprevedibile. Si va da una canzone in bocca a
tutto il paese a una chicca ancora oggi sconosciuta a tanti.
Da
"Bollicine", con cui Vasco vincerà il Festivalbar, a "Ultimo domicilio
conosciuto" il passo è meravigliosamente breve. L'animale da
palcoscenico convive con l'ex-disc jockey smarrito. Il sarcasmo
tutto emiliano è il collante perfetto. Ci si ritrova quindi con due
anime che albergano tra le stanze di un racconto che ha per giunta il
dono della sintesi, eccezion fatta per il parlato volutamente
incomprensibile inserito come special in "Bollicine". Perché inseguire continuamente uno schema sintetico è l'inclinazione perpetua. Lo è in quanto Vasco adora Enzo Jannacci. Basti considerare la canzone che, sia detto di passata, per chi scrive è la cima assoluta del Blasco nazionale: "Ogni volta".
Pubblicata
soltanto l'anno prima nell'altrettanto miliare "Vado al massimo", "Ogni
volta" è l'omaggio malinconico a Jannacci, alla sua scrittura, alla
essenza poetica. Ed è anche l'apripista delle immediate intenzioni.
"Giocala", ad esempio, che ne insegue appunto la melodia con una linea
di basso scoppiettante. Senza troppe moine, è yacht rock (!) all'italiana.
Cogliere un'opportunità a letto per non farsi fottere dall'orgoglio: Vasco maneggia fratture e sottrae. Atterra infine l'uomo medio. La vita qualunque degli altri. Di quelli che ostentano normalità, vergognandosi del resto. Il suo è un rock sanguigno che riprende, "involontariamente", il Vangelo secondo Giovanni: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra".
Non mi vorrai fare credere che
Una deviazione neanche
Sì potrebbe essere tua figlia
Quante volte, quante, dai
C'hai pensato, a me lo puoi dire dai
Non sei un diavolo, sai
Mica ti voglio fare del male sai
Quante deviazioni hai
La squadra di musicisti che accompagna Vasco in studio è perlopiù eccelsa. Ai fidati Guido Elmi, Maurizio Solieri, Massimo Riva, Claudio Golinelli si aggiungono, tra gli altri, Dodi Battaglia, Lele Melotti ed Ernesto Vitolo. Insomma, una bella combriccola.
Non mancano poi le stranezze. Tipo "Ultimo domicilio conosciuto", che riprende il titolo del film del 1970 di José Giovanni, per un brano new wave alla David Bowie – fase "Low", per intenderci – e inneggiante alle radio libere: "A seguito della ingiunzione del pretore Grassi di Bologna, che, attraverso la Escoport, ha ordinato la disattivazione di tutti i punti radio delle emittenti private". New wave a secchiate in faccia anche nella conclusiva "Mi piaci perché", con il basso ancora irresistibile del "Gallo" Golinelli, che sguscia in escandescenza prima che il synth sbilenco entri a gamba tesa sul finale, ad anticipare una chiosa, "Lei è tua mamma?", pronunciata alla velocità della luce da Vasco, giusto per chiudere al meglio la faccenda.
Mi piaci perché sei sporca, perché sei sporcaTra una provocazione e una cruda confessione ("Portatemi Dio"), Vasco Rossi tira fuori anche l'altro miracolo senza tempo dell'album, "Una canzone per te", per una dichiarazione d'amore verso la canzone stessa, che diventa donna e dunque fonte di vita. Vasco canta come nascono le sue canzoni. La spontaneità è alla base di tutto. La semplicità e l'essenzialità di cui sopra formano un orizzonte raggiunto. "Una canzone per te" è a pieno titolo l'ennesimo capolavoro di un cantautore all'apice.
Mi piaci perché sei porca, perché sei porca
Mi piaci perché sei falsa, perché sei falsa
Mi piaci perché sei bastarda, perché sei bastarda
Seguirà di lì a poco l'arresto per cocaina. Ventidue giorni di prigione, dei quali cinque in isolamento. Fabrizio De André e Dori Ghezzi saranno i soli, tra i nomi in vista, a fargli visita. "L'unico rocker credibile in Italia", dirà il primo. E come dargli torto.
Il successivo "Cosa succede in città" sarà inevitabilmente l'album più disturbato e controverso. Per certi aspetti anche il più "odiato" da Vasco. Che si sentirà incompreso, prima di rinascere come star intoccabile, idolatrata a vita da quello che sarà il suo "popolo", tra tournée da record e dischi che lo consegneranno definitivamente alla storia come "C'è chi dice no" e "Liberi Liberi".
Tra le due incisioni, spunterà addirittura anche una pellicola di Giandomenico Curi, "Ciao ma'...", che ne celebra l'onnipotenza, il culto per una generazione intera, tra aspiranti paninari, bravi ragazzi "perduti", giovani amanti e coatti di quartiere.
È la Vasco-mania
della prima ora. Quella più sincera. Da non confondere con una seconda
valanga di fan, quella che inneggia il cosiddetto "komandante", ovvero
il Vasco stanco degli ultimi anni.
Dal 1995 in poi, infatti, il
rocker di Zocca perderà inesorabilmente e inequivocabilmente la propria
miccia, spegnendosi tra una fetecchia e l'altra come un petardo mal
costruito. Riascoltare oggi un album gigante come "Bollicine" implica,
dunque, anche dividere la densità di due storie dal peso specifico
infinitamente diverso.
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