di Gioacchino Toni
Moira Weigel, L’amore è lavoro. Economia e relazioni dalla rivoluzione industriale alle app di dating, Luiss University Press, Roma 2023, pp. 251, € 19,50
Il volume di Moira Weigel mostra come la storia del dating (da intendersi come appuntamento amoroso) si intrecci inevitabilmente con le trasformazioni del modo di lavorare delle persone. Una storia che ha preso il via con la rivoluzione industriale e con l’urbanizzazione, con l’uscita di casa delle donne per recarsi al lavoro, quando si è presentata la possibilità di incontrare persone estranee alla ristretta cerchia famigliare e di vicinato ampliando in maniera inedita le possibilità di relazioni. Il diffondersi di spazi pubblici nelle città, come le bettole e le sale da ballo destinate alla working class, che consentivano la concentrazione di estranei in un medesimo spazio delimitato, dunque la possibilità di entrare in relazione con estranei, hanno svolto un ruolo non così diverso da quello delle attuali app per incontri.
Il dating, però, sottolinea la studiosa, non è soltanto influenzato dal lavoro, è lavoro in senso stretto, un lavoro al contempo fisico ed emotivo. Nel primo caso si pensi a tutto ciò che, scrive Weigel, – secondo le riviste, i programmi televisivi, il cinema e le piattaforme digitali – deve fare una donna per essere desiderabile: l’acquisto di capi di abbigliamento alla moda, la cura della forma fisica e dell’aspetto si traducono in un costante sforzo sulla propria produttività, dunque in lavoro necessario per far fronte alle spese richieste dall’imperativo consumista che pretende di essere seducenti consumando. Occorre aggiungere a quanto sostenuto dall’autrice, che da ormai diverso tempo l’intero sistema dell’intrattenimento estende all’universo maschile imperativi di consumo legati all’attrattività un tempo riservati all’ambito femminile. Per quanto riguarda il lavoro emotivo necessario, si pensi invece agli sforzi necessari all’opera di self branding richiesta per presentare una versione di sé capace di suscitare interesse negli estranei e, soprattutto, di farla percepire come naturale.
Portando il corteggiamento fuori dalle abitazioni private, dunque incontrando il mercato, il dating è divenuto un business redditizio. In un tale contesto il dating ha reso necessario l’acquisto di merci per potersi incontrare con un/una potenziale partner e ciò avviene anche sulle attuali app di incontri che, per quanto in molti casi apparentemente gratuite, richiedono come pagamento il tempo speso ad aggiornare l’account personale, l’attenzione che occorre riservare agli inserzionisti e, soprattutto, la concessione di dati personali anche molto intimi. Il fatto che risulti difficile percepire se si sta lavorando o se ci si sta godendo il tempo libero, sostiene Weigel, «è un sintomo della confusione tra lavoro e gioco creata all’inizio del dating». Anche nel caso del dating emerge insomma come nell’economia digitale l’esperienza percepita come ludica tenda a celare quanto l’utente-giocatore sia spinto a trasformarsi in un vero e proprio consumatore-produttore, nonché a mercificarsi.
La studiosa ricorda come la lingua americana possieda ancora numerose espressioni gergali che descrivono il dating come una «forma di transazione»: si ricorre ancora ad espressioni come shop around, per suggerire che gli esseri umani devono guardarsi attorno per “acquistare” un/una partner; si invita, o si è invitati, a non concedersi troppo velocemente per non “svendersi”; si afferma di essere sul punto di “concludere l’accordo” alludendo al raggiungimento della consensualità nel rapporto di coppia; si parla di friends whit benefits (equivalente dell’italiano “trombamici”) quasi a sottintendere una tranquillizzante sensazione di sicurezza nell’investimento sessuale.
Con esplicito riferimento al dating si parla poi di “costi e benefici”, di “investimenti a basso o ad alto rischio” alludendo alle relazioni che si intendono intraprendere e persino di “posizionamento” e di “ottimizzazione” nel settore della “industria dei consigli” in cui si invita ad affrontare la vita amorosa con strategie di tipo aziendale.
Il linguaggio utilizzato, per quanto a volte pretenda di essere semplicemente ironico, tradisce come la cultura occidentale tenda a considerare il dating «una transazione che avviene su un terreno incerto, tra lavoro e gioco», inoltre, sottolinea la studiosa, lo slang suggerisce come il dating sia solitamente vissuto come un lavoro per le donne e un passatempo per gli uomini.
Non a caso l’immaginario neoliberista degli anni Ottanta ha celebrato nel cinema la coppia escort-imprenditore in quanto entrambi disposti a vendere qualsiasi cosa; basti pensare alla celebre coppia messa in scena dal film Pretty Woman (1990) di Garry Marshall che poi, suggerisce Weigel, rappresenta la versione edulcorata del romanzo American Psyco (1991) di Bret Easton Ellis – da cui Mary Harron ha derivato nel 2000 l’omonimo film – in cui si «metteva in evidenza il lato oscuro degli appuntamenti in cui qualsiasi cosa chiunque volesse e potesse pagare era un bersaglio legittimo». Sempre per restare alla fiction, nel film Working Girl (1988) di Mike Nichols – uscito in Italia con il titolo Una donna in carriera – viene mostrato come una semplice segretaria pendolare, «vestendo i panni della sua capa» riesca a siglare un importante accordo e, con esso, a «rubarle il fidanzato» ponendo così le basi per una famiglia yuppie destinata a vivere felice e contenta.
La consuetudine del dating, scrive la studiosa, si è sviluppata in un’epoca in cui si riteneva ancora che il lavoro e il tempo libero fossero due sfere ben distinte dell’esistenza umana e l’appuntamento veniva percepito come un allontanamento dal lavoro, un momento di divertimento utile a riprodurre la forza lavoro. Quando il tempo libero iniziò a rivelarsi a sua volta monetizzabile e gli impieghi stabili tradizionali lasciarono il posto a lavori sempre più temporanei, a rendere difficile la costruzione di relazioni al poco tempo a disposizione si aggiunse la sensazione di precarietà. «Quando tutti hanno poco tempo», o perché hanno troppo lavoro da sbrigare o perché, vivendo nella precarietà, sono costretti a spendere il loro tempo nel lavoro di trovare lavoro, «gli appuntamenti cominciano a sembrare non più un piacere diversivo ma l’ennesimo impegno da incastrare», un impegno che richiede investimento la cui vantaggiosità è tutta da calcolare.
L’immaginario yuppie ha ribadito sfacciatamente come non mai che se l’amore richiede lavoro, non di meno richiede tempo e dato che quest’ultimo è denaro, non conviene investire eccessivamente su un rapporto che potrebbe non esaudire le aspettative in maniera duratura. “Non c’è tempo per un appuntamento”. “Non si può investire in una relazione”. “Il dating online è un lavoro part-time, annuncia un banner su una piattaforma di incontri. «Se il matrimonio è il contratto a tempo indeterminato che molti sperano ancora di ottenere, spesso il dating sembra la forma peggiore e più precaria del lavoro contemporaneo: uno stage non retribuito». Non si può essere sicuri del risultato finale, ma – commenta ironicamente Weigel – si può «tentare di fare esperienza».
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