Su diversi media israeliani – e di diverso orientamento – cominciano a spuntare domande pesanti sulle cause delle molte morti di civili israeliani il 7 ottobre, e non solo per mano dei palestinesi.
Già nelle scorse settimane avevamo riportato la testimonianza di una donna israeliana sopravvissuta il 7 ottobre, che in due interviste alle radiotelevisioni statali aveva esplicitamente parlato di “fuoco incrociato” da parte dei militari israeliani.
Sui giornali israeliani Yedioth Aronoth e Mako stanno emergendo testimonianze di piloti di elicotteri e soldati che ammettono di aver sostanzialmente “sparato nel mucchio” senza distinguere se quelli a cui sparavano erano guerriglieri palestinesi o civili israeliani.
Del resto anche le immagini delle distruzioni di molte case, nei kibbutz attaccati il 7 ottobre, davano più l’idea di essere stati bombardati che bruciati dai palestinesi.
Una seria inchiesta sulle stragi del 7 ottobre potrebbe svelare che l’alto numero di civili israeliani uccisi non lo sono stati solo per responsabilità dei palestinesi, ma anche per gli ordini dati ai piloti degli elicotteri e ai militari israeliani arrivati sul posto per respingere l’incursione dei palestinesi.
Sul comportamento adottato dalle forze armate israeliane il 7 ottobre occorre sapere qualcosa di più e di cui avevamo già accennato nelle scorse settimane.
Le Forze Armate israeliane hanno adottato un protocollo molto controverso noto come la Direttiva Hannibal.
Le opinioni divergono su come questo protocollo, che è rimasto un segreto militare fino al 2003, sia diventato noto come Hannibal. Ci sono indicazioni che il nome derivi dal generale cartaginese, che scelse di avvelenarsi piuttosto che cadere prigioniero dei Romani, ma i funzionari militari israeliani insistono sul fatto che un computer ha generato il nome casualmente. Qualunque sia la sua provenienza, il soprannome sembra appropriato.
Elaborata da tre alti comandanti delle Forze armate israeliane nel 1986, in seguito alla cattura di due soldati israeliani da parte di Hezbollah, la Direttiva Hannibal stabiliva le misure che l’esercito doveva adottare in caso di rapimento di un soldato.
Il suo obiettivo dichiarato è quello di impedire che le truppe israeliane cadano in mani nemiche, “anche a costo di ferire o uccidere i nostri soldati“.
Mentre le normali procedure dell’IDF vietano ai soldati di sparare in direzione generale dei loro commilitoni, incluso l’attacco a un veicolo in fuga, tali procedure, secondo la Direttiva Hannibal, devono essere derogate in caso di rapimento: “Tutto deve essere fatto per fermare il veicolo e impedirgli di fuggire“.
Sebbene l’ordine specifichi che in questi casi dovrebbe essere utilizzato solo il fuoco selettivo con armi leggere, il messaggio che c’è dietro è clamoroso. Quando un soldato viene rapito, non solo tutti gli obiettivi sono legittimi – compresi, come abbiamo visto durante il fine settimana, le ambulanze – ma è permesso, e anche implicitamente consigliabile, che i soldati sparino da soli.
Per più di un decennio, i censori militari hanno impedito ai giornalisti di riferire sul protocollo, apparentemente perché temevano che avrebbe demoralizzato l’opinione pubblica israeliana.
Nel 2003, un medico israeliano che aveva sentito parlare della direttiva mentre prestava servizio come riservista, in Libano, ha iniziato a sostenerne l'annullamento, portando alla sua declassificazione.
Quell’anno, un’inchiesta di Haaretz sulla direttiva concluse che “dal punto di vista dell’esercito, un soldato morto è meglio di un soldato prigioniero che soffre e costringe lo Stato a rilasciare migliaia di prigionieri per ottenere la sua liberazione“.
Per anni, i soldati israeliani sul campo di battaglia hanno discusso animatamente della direttiva e del suo utilizzo. Almeno un comandante di battaglione, secondo l’inchiesta di Haaretz, si è rifiutato di informare i suoi soldati in merito, sostenendo che era “palesemente illegale“.
E un rabbino, interrogato da un soldato sull’aspetto religioso dell’ordine, gli consigliò di disobbedire.
Il maggiore generale Yossi Peled, uno dei comandanti che ha redatto la direttiva, ha detto ad Haaretz che il suo scopo era quello di affermare fino a che punto i militari potevano spingersi per prevenire i rapimenti.
“Non sgancerei una bomba da una tonnellata sul veicolo, ma lo colpirei con un proiettile di carro armato che potrebbe fare un grande buco nel veicolo, il che renderebbe possibile a chiunque non sia stato colpito direttamente, se il veicolo non esplodesse, di emergere tutto intero“, ha detto Peled. È comprensibile che i soldati si grattino la testa per formulazioni come queste.
Sin dall’inizio della direttiva, l’IDF è noto per averla utilizzata solo una manciata di volte, incluso il caso di Gilad Shalit. L’ordine è arrivato troppo tardi per Shalit e non ha impedito il suo rapimento – o il suo eventuale rilascio, nel 2011, in cambio di milleventisette prigionieri palestinesi.
Quell’anno, nell’ambito dell’inchiesta militare sulle circostanze che portarono alla cattura di Shalit, il capo di stato maggiore dell’IDF, Benny Gantz, modificò la direttiva. Ora consente ai comandanti sul campo di agire senza attendere la conferma dei loro superiori.
Allo stesso tempo, il linguaggio della direttiva è stato temperato per chiarire che non richiede l’uccisione volontaria dei soldati catturati.
Nel cambiare la formulazione del protocollo, Gantz ha introdotto un principio etico noto come “dottrina del doppio effetto“, che afferma che un cattivo risultato (l’uccisione di un soldato prigioniero) è moralmente ammissibile solo come effetto collaterale della promozione di una buona azione (fermare i suoi carcerieri).
Il giornale statunitense New Yorker riporta che Daniel Nisman, che gestisce una società di consulenza per la sicurezza geopolitica, ha commentato sul Times che la direttiva Hannibal “suona terribile, ma bisogna considerarla nel quadro dell’accordo Shalit. Sono stati cinque anni di tormento per questo paese, dove ogni telegiornale finiva con quanti giorni Shalit era stato prigioniero. È come una ferita che non guarisce mai“.
Il 7 ottobre i militari israeliani potrebbero aver ritenuto che la priorità fosse l’uccisione di più combattenti palestinesi possibili e che evitare o limitare le eventuali vittime civili israeliane non fosse una priorità.
E forse, proprio sulla base della Direttiva Hannibal, erano preferibili dei morti piuttosto che degli ostaggi in mano ai palestinesi, soprattutto perché una buona parte degli ostaggi sono militari e agenti di polizia.
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