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26/10/2023

USA - Lo sciopero della UAW ferma i tre maggiori stabilimenti automobilistici

Con un altro sciopero “a sorpresa” i 5 mila lavoratori della United Auto Workers International hanno chiuso martedì mattina il più importante stabilimento statunitense della General Motors, la Arlington Assembly Plant, in Texas.

In questa fabbrica vengono assemblati i Suv di punta della casa automobilistica, come il Tahoe e l’Escalade. È il sito più redditizio per la GM, circa un terzo dei suoi guadagni derivano proprio da questo stabilimento, nei dintorni di Dallas.

L’azienda aveva appena annunciato i suoi profitti record, ed il sindacato non ha perso tempo per ribadire che a ultra-guadagni devono corrispondere super-contratti per i lavoratori – “record profits, record contracts” – ed ha incrociato le braccia.

Da settimane i lavoratori texani del Local 276 si rifiutavano di fare straordinari, vista che il loro contratto è scaduto dal 15 settembre, e si esercitavano nella pratica dei picchetti, trovando soluzioni creative per non assecondare i desiderata della direzione.

Gli elettricisti, per esempio, non si muovevano più in bicicletta tra i reparti del gigantesco stabilimento, ma a piedi.

Lunedì mattina era stato il turno dello SHAP di Stellantis, dove lavorano 6800 lavoratori e vengono prodotti 300mila camion l’anno, con un prezzo base di circa 40 mila dollari l’uno.

Ancora prima “a sorpresa” avevano incrociato le braccia i 8700 lavoratori dello Kentucky Truck Plant di Ford, fiore all’occhiello della compagnia.

È probabilmente il rush finale di questa battaglia contrattuale storica condotta dalla nuova dirigenza della UAW con a capo il carismatico Shawn Fain, ex elettricista di uno stabilimento di Kokomo.

Un “bifolco dell’Indiana” che sta piegando le Big 3 con una strategia di lotta inedita, lo Stand Up Strike, che deriva nome e ispirazione dai sit-down strikes della seconda metà degli Anni Trenta che hanno scritto la storia del sindacalismo nel settore automobilistico, e non solo, trasformando i lavoratori di quel settore nell’avanguardia del movimento operaio nord-americano, almeno fino alla direzione di Walter Reuthner.

Attaccando tutte e tre le case automobilistiche – senza però dissanguare le casse del sindacato che servono a coprire la mancanza di stipendio degli scioperanti e di coloro che vengono lasciati a casa per le ripercussioni create dall’azione dei lavoratori – la UAW ha chiuso per la prima volta nella storia tutto il “cuore” del sistema automobilistico statunitense, le 3 catene di montaggio in cui lavorano circa 20 mila lavoratori in cui si assemblano i mezzi più redditizi.

All’oggi stanno scioperando in tutto 46 mila lavoratori, circa un terzo del totale degli iscritti alla UAW, in 8 fabbriche – tra cui le maggiori tre di Ford, Stellantis e GM – e 38 siti di ricambi.

Nonostante i notevoli avanzamenti nelle trattative su una serie di questioni, vi è ancora un gap tra le richieste formulate dal sindacato e le offerte delle case automobilistiche, che incominciano ad avvertire i danni al portafoglio causati dallo sciopero e la notevole riduzione dei prodotti da offrire ai propri clienti.

Gli aumenti proposti dalle Big 3 in media si aggirano su un 23% per un contratto della durata di 4 anni, contro il 40% chiesti all’inizio dal sindacato, mentre su altre questioni il gap è minore (lavoratori a tempo, sistema di stratificazione salariale, meccanismi di recupero del potere d’acquisto ecc.).

I lavoratori della UAW godono di un consenso maggioritario e trans-partitico tra i cittadini statunitensi, perché pongono questioni attinenti non solo alla propria categoria ma a tutta la working class, e lo fanno con una dimostrazione di forza e disciplina impeccabile, quasi “para-militare”.

Si addestrano a fare i picchetti, sono tutti consci degli obiettivi, si tengono pronti ed in un breve lasso di tempo escono ordinatamente dai tornelli, chiudendo i maggiori stabilimenti industriale del paese.

Allo stesso tempo comunicano al resto del paese quello che un tempo si chiamava il blue collar blues, cioè l’insofferenza della propria condizione, è peggiorata alquanto negli ultimi anni a differenza dei guadagni macinati dal management e dagli azionisti.

Prima di quest’ultima tappa dello sciopero le perdite stimate erano di 200 milioni di dollari la settimana per GM, Ford e Stellantis, mentre il costo complessivo era il doppio del precedente ciclo di scioperi per il rinnovo contrattuale, nel 2019, che aveva investito però solo la GM.

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