Le guerre, purtroppo, non finiscono limitandosi a spegnere i riflettori o le telecamere su di esse. Mentre si incendia il Medio Oriente, la guerra in Ucraina è andata avanti ma dentro scenari completamente diversi, sia sul fronte che nelle “retrovie politiche e diplomatiche”.
La manifestazione “fuori l’Italia dalle guerre” convocata per il 4 novembre, mette i piedi nel piatto di come il nostro Paese si è ritrovato coinvolto in guerre che l’opinione pubblica ripudia più o meno apertamente ma che le forze belliciste intendono alimentare, con tutti i rischi che ne derivano.
“Le situazioni ad Avdiivka e Maryinka sono particolarmente difficili. Numerosi attacchi da parte dei russi. Ma le nostre posizioni sono protette”, ha affermato domenica il presidente ucraino Zelenski in un discorso pubblico.
L’agenzia ucraina Ukrinform riferisce che l’esercito russo ha attaccato per 177 volte 24 insediamenti nella regione sud-orientale di Zaporizhzhia.
Praticamente la famosa controffensiva ucraina si è ormai esaurita da un bel pezzo senza risultati e guadagnando solo qualche fazzoletto di territorio nella “terra di nessuno” tra le linee ucraine e quelle russe.
Nonostante gli sforzi propagandistici sia di Kiev che dei governi e del sistema massmediatico occidentale arruolato nel conflitto, tutti si sono accorti che l’Ucraina – anche con gli aiuti militari della Nato – non può avanzare o riconquistare i territori perduti dal febbraio 2022, tanto meno quelli del 2014. Paradossalmente, dal fronte vengono segnalati da tempo i contrattacchi russi, come sopra descritto.
Al vertice europeo di Granada del 6 ottobre scorso, il presidente ucraino Zelensky non ha usato mezzi termini per definire l’attuale situazione.
Una volta consapevole dei guai che scuotono l’amministrazione Biden, ormai coinvolta e travolta da una aspra campagna elettorale in vista delle presidenziali del novembre 2024, secondo Zelensky “gli europei non possono permettersi il lusso della stanchezza, o di abbandonare l’Ucraina o di accettare un congelamento del conflitto con la Russia”.
Se lo facessero, secondo il presidente ucraino, saremmo tutti in pericolo poiché nel 2028 l’Europa rischia un altro “momento critico” con la Russia pronta ad attaccare altri obiettivi.
Sul quotidiano britannico Times, anche il noto giornalista e storico militare Max Hastings ha scritto che: “Il mondo non può permettersi di essere stanco dell’Ucraina”.
Eppure lo stesso autore, arruolato tra i guerrafondai britannici, nel suo editoriale scrive un passaggio che solo pochi mesi prima era inimmaginabile potesse avere la sua firma: “Al fine di mantenere la simpatia pubblica, sembra sempre più necessario formulare un esito plausibile della guerra, invece di vuoti mantra secondo cui deve continuare fino a quando ogni metro di terra occupata non sarà restituito alle mani di Kiev.
Qualunque cosa dicano i falchi, è improbabile che la liberazione della Crimea e del Donbas orientale avvenga. Anche se c’è la volontà politica, non ci sono i mezzi militari per raggiungere questo obiettivo, e non ci saranno mai”.
Due guerrafondai della prima ora come Bernard Henry Levy (il commentatore che ha il record di torte in faccia ricevute in giro per il mondo) e Boris Johnson, ex premier britannico “dimissionato”, hanno provato a suonare la carica scrivendo un articolo a quattro mani comparso su Le Figaro e The Daily Telegraph, e sostenendo che l’Occidente dovrebbe contemporaneamente sostenere sia l’Ucraina che Israele.
A poco a poco, la “stanchezza per l’Ucraina” inizia così a trasformarsi in una comprensione dell’irrealizzabilità del sogno occidentale di “vittoria sulla Russia“, mentre l’ondata di rifiuto verso l’Occidente che emerge da tutto il Medio Oriente (e anche dall’Africa, ndr), ci dice che la linea di scontro cercata e voluta dalla Nato sui vari teatri di crisi, è tutt’altro che una passeggiata, al contrario.
Nasce dalle molte cose andate male a partire dal ritiro della Nato dall’Afghanistan nel 2021 in poi, la consapevolezza che le potenze imperialiste storiche – Usa ed europee – non sono in grado di blandire la carota né di agitare il bastone verso un resto del mondo non più obbediente ai vecchi apparati di comando.
Ciò non significa che tale comprensione sia già diventata comune tra le classi dirigenti dell’Occidente capitalista – e il recente discorso di Biden sui 100 miliardi di crediti di guerra per Ucraina e Israele ne è una chiara prova.
Ma anche dietro i discorsi sulla necessità di continuare a finanziare le avventure militari di Kiev, si insinua sempre più l’idea della necessità di negoziare urgentemente la pace con la Russia, almeno mentre c’è ancora qualcosa che l’Ucraina possa negoziare. Poi sarebbe troppo tardi.
E lo stesso identico problema – con forze militari invertite – si sta ponendo per Israele, la questione palestinese e gli equilibri in Medio Oriente e in Africa.
L’Italia nelle guerre e piazze contrapposte
In questo contesto internazionale, l’Italia si trova ad essere guidata da un governo espressione del più becero avventurismo e servilismo della destra.
Prima il governo “tecnico” e liberale di Draghi, poi quello “politico” fascista della Meloni, hanno coinvolto il Paese prima dentro la guerra in Ucraina ingabbiati nella Nato e nella Ue, ed ora schierano l’Italia apertamente a sostegno di Israele facendo saltare tutte le interlocuzioni faticosamente costruite nel mondo arabo.
Il fallimento della conferenza del Cairo, con la spaccatura sul documento finale e la Meloni praticamente isolata, è emblematico dei rischi a cui il governo sta esponendo consapevolmente il paese.
Sabato 4 novembre è stata convocata da tempo una manifestazione che chiede l’uscita l’Italia dalle guerre e dagli apparati militari come la Nato, in cui i governi hanno incastrato il nostro paese trascinandolo su un piano inclinato.
L’infiammarsi dell'irrisolta causa del popolo palestinese, ha aggiunto a questa scadenza sia obiettivi alla piattaforma per la manifestazione contro la guerra sia una ritrovata spinta alla mobilitazione nelle piazze che sembrava sopita nel paese.
A rendere ancora più significativa la manifestazione di Roma sul 4 novembre, c’è l’aperta contrapposizione con la piazza razzista e islamofoba convocata da Salvini a Milano.
Due piazze che descrivono due mondi radicalmente antagonisti nei contenuti, nei valori ma anche sulle prospettive in cui vedono la collocazione internazionale dell’Italia.
È tempo di entrare in campo con forza su questo terreno.
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