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30/10/2023

Quel linguaggio “messianico” che rivela la crisi

Chi parla male, pensa male perché sta male. In tempi di guerra questo diventa particolarmente evidente, è sempre andata così. Ma in questa – tra Gaza e Tel Aviv – sta emergendo qualcosa di più grave.

La mostrificazione e disumanizzazione del nemico è quasi fisiologica, in qualsiasi guerra. Bisogna motivare i propri combattenti, convincerli a morire per una “causa giusta”, stringere la popolazione intorno allo sforzo bellico e ai “sacrifici” che ne derivano come qualità della vita, perdita di benessere, ecc.

Niente di nuovo...

Ma in qualsiasi guerra – ha provato a ricordare Massimo Cacciari, e non solo lui – ci deve essere una recta intentio, ossia un obiettivo politico razionale e raggiungibile (fondato su interessi particolari, ci mancherebbe...) che dovrebbe inaugurare un nuovo periodo di assenza di guerra (la ‘pace perpetua’ è una speranza nobile, ma tale resta).

Il che significa che il nemico sarà di nuovo accettato come interlocutore, in altre condizioni “a noi” più favorevoli. Non che “cesserà di esistere”.

È la visione interpretata al meglio, sul piano della teoria militare, da von Clausewitz – “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” – che è poi la chiave del “realismo politico”. Inutile insomma porsi obiettivi “ipergalattici” o metafisici, perché sicuramente non saranno mai raggiunti.

Eppure, se guardiamo alle “strategie comunicative” delle cancellerie occidentali – a partire da Israele – e del sistema dei media che ne dipende (la “stampa libera” è una foglia di fico; sono ben poche, e non primarie, le testate che possono fregiarsi a ragione di questa definizione), vediamo che predomina la retorica ultra-ideologica o addirittura religiosa.

“Il bene contro il male”, “la luce contro le tenebre”. “il giardino contro la giungla” e via infilando metafore da scemi di guerra.

Proviamo a fare un brevissimo volo sulle espressioni usate in queste ore, senza alcuna pretesa di completezza (parlano tutti, parlano male e l’elenco andrebbe aggiornato di minuto in minuto).

Il premier israeliano Netanyahu ha dato il suo nuovo imprinting alla comunicazione occidentale, ieri, arrivando a dire che “Israele combatte per tutta l’umanità”.

Calcolando che Gaza è grande quanto un terzo della città di Roma e Hamas è una organizzazione “proporzionale” a quel territorio, l’umanità deve essere ridotta veramente male se affida a gente come “Bibi” o il suo vice Ben-Givr la “difesa finale”.

Qualcuno potrebbe dire che, in fondo, Netanyahu sta solo pescando nella sua limitata formazione culturale, dove le letture della Torah (non proprio un testo della “modernità illuministica”, diciamo) offrono una spolverata di citazioni utili per giustificare scelte militari genocide.

Stiamo del resto parlando di un ex membro dei commandos dell’esercito israeliano incaricati di “operazioni speciali” – protagonista, nel maggio del 1972, dell’assalto all’aereo Sabena all’aeroporto di Lod, dirottato da quattro guerriglieri palestinesi. Rimasero uccisi due sequestratori, uno degli ostaggi (altri due e lo stesso “Bibi” restarono feriti).

Stiamo per di più parlando di un malfattore politico, capace di far pubblicare un tweet in cui – in piena offensiva che il mondo vorrebbe fermare – attacca i vertici del suo stesso esercito e servizi segreti, asserendo di “non essere stato avvertito” di quel che stava per accadere; e poi di cancellare tutto, come fosse un gioco da sottobosco parlamentare.

Da uno così ci si può attendere “determinazione” e menzogne a gogo, certo, ma non ragionamenti che tengono conto della complessità del mondo.

Com’è pensabile che l’“intera umanità” si riconosca nelle sue parole e, soprattutto, nel bombardamento di due milioni e mezzo di persone per “estirpare il male” (rappresentato da circa 30.000 miliziani)? Eppure ci prova lo stesso. E qualcuno lo trova, in Occidente...

Cosa ne pensi il resto dell’umanità, a gente come lui, non interessa affatto. Al di là delle centinaia di manifestazioni e dei milioni di persone che le hanno frequentate, in tutto il pianeta, c’è in ogni caso il voto all’Assemblea Generale dell’Onu, due giorni fa, in cui 120 governi hanno chiesto a Israele di fermarsi per una “tregua umanitaria” e solo 13 – oltre a Tel Aviv – si sono opposti (dei 45 astenuti inutile parlare; don Abbondio ha seguaci ovunque).

Tredici complici di “Bibi” che comunque, Stati Uniti a parte, rappresentano una quota di popolazione piuttosto ristretta e un “ruolo politico internazionale” totalmente dipendente da Washington, spesso in mano a governi di destra (Tonga, Papua, Nuova Guinea, Paraguay, Fiji, Guatemala, Nauru, Micronesia, Isole Marshall, oltre ad Austria, Cechia, Ungheria, Australia, Croazia).

A voler essere precisi, insomma, l’azione di Israele è rifiutata dalla stragrande maggioranza dell’umanità. E davanti a questo – a meno di non considerarsi “il popolo eletto” da un dio fuori di testa – ci si dovrebbe fermare.

Persino il confindustriale Sole24Ore è a questo punto molto allarmato. “Israele ha pericolosamente alzato il livello dello scontro. Per una coincidenza forse non del tutto casuale, l’assalto d’Israele si è fatto più duro mentre al Consiglio di Sicurezza Onu il mondo chiedeva il contrario.
Israele è sempre più isolato: non se ne è accorto o non gliene importa.”


Al contrario, però, la retorica bellica israeliana è stata fatta propria da tutto l’Occidente neoliberista.

Qualche perla qua e là. “Ucciso il capo delle forze aeree di Hamas: era la mente dietro i raid coi deltaplani”, hanno titolato tutti i maggiori quotidiani e i Tg, riprendendo la “rivendicazione” dell’esercito di Tel Aviv.

Se basta qualche deltaplano per fare delle “forze aeree” allora, simmetricamente, si potrebbe mandarne a Zelenskij una fornitura ordinata da Decathlon, invece degli F-16 che continua a chiedere...

Stesso discorso per l’altro “omicidio mirato”, relativo al “capo della marina militare di Hamas”, che aveva inutilmente provato a far arrivare qualche gommone sulle coste israeliane.

La “tecnica” retorica è piuttosto rozza: si innalza fino al ridicolo la “potenza distruttiva” che sarebbe in mano al nemico per poter giustificare il massacro che concretamente sta avvenendo in un carcere a cielo aperto e senza vie di fuga.

È la stessa tecnica con cui brevi spezzoni di video provenienti da Gaza – con migliaia di persone che ne soccorrono altre migliaia sotto le bombe e tra le macerie – vengono alternati con lunghi “quadretti” incorniciati intorno a poche persone in Israele. Il massacro a Gaza è invisibile, le molto minori sofferenze israeliane sono in onda h 24.

Il “trattamento” riservato alle manifestazioni per la pace e la libertà della Palestina segna la stessa logica, ma con “specializzazioni” differenti tra testate laico-europeiste e fogliacci clerico-fascisti.

Il Corriere traccia la linea. Non se ne deve parlare proprio, per lo meno in prima pagina. Dove campeggia semmai “la folla antisemita” che in Dagestan ha accolto un aereo proveniente da Tel Aviv, riproponendo l’ormai stantia e truffaldina identificazione tra “ebrei”, “semiti” e Israele (per la precisione: anche i palestinesi sono semiti...) che autorizzerebbe uno Stato all’impunità in virtù del tentativo di genocidio subito da un popolo definito sulla base di una religione.

Oppure – sempre il Corriere“Il doppio standard di Erdogan sul genocidio”. E sicuramente il massacratore turco applica la stessa “tecnica” dell’Occidente. Solo che per lui “i terroristi” da sterminare con qualsiasi mezzo sono i curdi, mentre considera strumentalmente Hamas un “movimento di liberazione”.

È la conferma di quanto scriviamo da sempre: “terrorista” è una parola-stigma, che pretende di vietare ogni ulteriore ragionamento, ma non ha un significato internazionalmente condiviso, venendo usata per qualificare il “nemico” che si vuole sterminare. E ogni Stato ha un nemico diverso...

Definisce insomma una “collocazione arbitraria” che può cambiare nel corso degli anni senza alcun preavviso, e ognuno può passare dall’essere “il nostro figlio di puttana” al “nuovo Hitler” (Noriega, Saddam Hussein, ecc.).

E proprio quello che era una volta unanimemente riconosciuto come “il male assoluto” – il nazismo, appunto – è diventata la cartina tornasole della “sterzata ideologica” in atto nell’Occidente neoliberista.

Da una parte devono infatti “angelicare” i nazisti veri e propri (specie in Ucraina, tra battaglione Azov ed eredi di Stepan Bandera), dall’altra qualificare come “nuovi nazisti” tutti coloro che si oppongono o contrastano l’egemonia occidentale, qualsiasi sia il loro “credo” o sistema valoriale.

Anche se sono, come i comunisti, storicamente la parte più importante della lotta al nazifascismo (lo sbarco americano in Normandia avviene un anno e mezzo dopo la vittoria sovietica a Stalingrado, che rovesciò il corso della guerra).

Compito difficile, specie se condotto da falsari di bassa lega, poco abituati a maneggiare concetti complessi. A meno di non ricorrere alle balle pure e semplici...

Il corto circuito è continuo, sul piano politico, e quindi la tentazione di “buttarla sul religioso” è immediata (tipo Salvini che agita il rosario e chiama manifestazioni “in difesa dell’Occidente”).

Altra complicazione: Bergoglio sorveglia quel versante attentamente, e non avalla le stronzate del primo che passa.

Dunque, scartato il “dio ufficiale”, non resta che parlare di lotta del “bene contro il male”, della “luce contro l’ombra”, dell’“umanità contro i mostri” (“gli orchi” di Tolkien, sintetizzano a Kiev). Parole che ognuno poi riempie come sa e come vuole, con esempi tratti dalla cronaca quotidiana (di guerra e non).

Alla fine resta forte l’impressione che tutto questo straparlare messianico e “da santoni” nasconda un pensiero indicibile o comunque malato. È come se l’ansia tutta occidentale di non essere più in grado di “ordinare il mondo” – e al mondo – non riuscisse a produrre una visione del prossimo futuro accettabile anche per il resto del pianeta (a partire dai soggetti statuali più forti e naturalmente dai diversi popoli).

Se esistesse davvero, ai vertici dell’Occidente neoliberista, una visione razionale da proporre come “nuovo ordine internazionale”, non si lascerebbe ad Israele la possibilità di bruciare ciò che resta del vecchio edificio istituzionale – l’Onu, in primo luogo – ergendo il proprio interesse nazional-religioso (la propria follia) a punta di lancia di un fronte minoritario sicuramente schierato al suo seguito, ma altrettanto certamente sull’orlo di una crisi di panico.

Se esistesse davvero quella visione razionale, gli “adulti nella stanza” (Usa, Cina e Russia) disporrebbero tutta la forza di persuasione necessaria a ricondurre “Bibi” e i suoi forsennati “arraffa-terre” nell’alveo della “guerra politica”, e quindi a un tavolo o una “conferenza di pace” sufficientemente mediata da risultare accettabile per Israele, i palestinesi, l’intero (e spesso “disponibile”) mondo arabo.

E invece no. Tutti, qui in Occidente, a sposare “un linguaggio” messianico che non prevede mediazioni, ma solo la soluzione finale.

Non è un caso – e dovrebbe apparire un problema anche ai diretti interessati – che in questa fogna linguistico-ideologica si siano buttati con entusiasmo i peggiori arnesi della galassia neofascista e neonazista.

Loro sì che hanno la “strumentazione retorica” adeguata al compito.

Loro sì che hanno la determinazione allo scontro, anche sul piano interno (contro la propria popolazione), per collegare la guerra al nemico esterno con i “necessari sacrifici” dell’economia di guerra.

Loro sì, ricordiamo noi, che sanno come aggredire tutto il mondo fino a provocarne la reazione e restarne annientati.

Non certo quei “mollaccioni” dei liberali a proprio agio nei corridoi di Bruxelles...

Avevamo capito che l’imperialismo occidentale faceva fatica a razionalizzare efficacemente la crisi del capitalismo. Ma non credevamo foste ridotti così male...

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