Il discorso di Biden alla nazione, pronunciato ieri in condizioni psicofisiche piuttosto imbarazzanti, inchioda forse definitivamente gli Stati Uniti fuori dai confini della credibilità internazionale.
Restituisce l’immagine di un paese ancora potente, ma incapace di razionalizzare e quindi affrontare i cambiamenti che erodono la sua ormai lunga egemonia.
Se Trump rappresenta al peggio la “tentazione nazionalista”, cercando di farsi scudo – anche a fini puramente elettorali – degli interessi della parte più antica o arretrata dell’economia e della società Usa, Biden e l’establishment “democratico” hanno finito per rappresentare soprattutto gli interessi delle multinazionali e del capitale finanziario.
Una contraddizione immane, per dimensioni e radicalità, tra la necessità ansiogena di controllare ogni angolo del pianeta e il progressivo impoverimento sociale interno, che erode i consensi in misura decisamente superiore a quanti ne può conquistare con il solo discorsetto politically correct su “diritti” nel frattempo diventati inesigibili in buona parte del paese.
Visto il moltiplicarsi di focolai di guerra aperta, e dei sommovimenti che altre ne annunciano, l’ormai vecchio e confuso Biden ha preferito sorvolare sulle cause dei problemi per concentrare l’attenzione soltanto sulle pericolose “soluzioni” tirate fuori dai think tank di riferimento.
Gioco complicato, che è diventato scoperto soprattutto quando – come da necessità retoriche – è stato costretto a giustificare con i sacri “princìpi e valori” scelte che sono totalmente arbitrarie e criminali.
Ci vuole infatti un notevole grado di intorpidimento mentale per infilare nella stessa frase la condanna per la “barbara invasione” russa contro un “vicino più piccolo” e l’annuncio di invio di armi per decine di miliardi ad Israele, nel mentre la si autorizza ad invadere la Striscia di Gaza (un terzo della città di Roma).
Sarebbe stato un ragionamento ipocrita anche se avesse “staccato” i due problemi, e tutti, nel mondo, avrebbero egualmente colto il “doppio standard” che costituisce da sempre la vera cifra dell’imperialismo yankee. Ma tenerli insieme così spudoratamente, dài, è veramente da dementi.
Roba da licenziare sui due piedi il ghost writer o sbarazzarsi del presidente, quando inciamperà in qualche altro scalino…
Al minuto 2:50, per di più, ha messo sullo stesso piano Hamas e la Russia, in quanto “entrambi vogliono annientare una democrazia vicina“.
Chiunque conosca la Storia del Medio Oriente sa – anche se poi magari non lo dice – che fin dal 1948 l’obiettivo strategico dello stato israeliano è deportare (displacement) la popolazione palestinese fuori dai confini della “grande Israele storica” (Giudea e Samaria, più altri territori a piacere).
E che questo obiettivo viene perseguito in ogni istante e con ogni mezzo: insediamenti illegali (secondo il diritto internazionale e le Risoluzioni dell’Onu votate anche dagli Usa) nei territori di quello che doveva diventare lo Stato di Palestina, uccisioni mirate di leader palestinesi (di qualsiasi organizzazione), pressioni continue sulla popolazione perché “se ne vada”, provocazioni dei coloni integralisti, guerre vere e proprie.
Il che naturalmente impedisce ormai ogni ipotesi di soluzione diplomatica fondata sui “due stati”. “Dove metti lo stato palestinese?“, direbbe Lucio Caracciolo...
E chiunque abbia letto i giornali dell’ultimo anno sa che proprio in Israele è (o era, fino a dieci giorni fa) fortissima l’opposizione popolare contro la devastazione dei meccanismi democratici ad opera del governo Netanyahu.
E basta leggere anche i peggiori quotidiani italiani per sapere che il “destino di Gaza”, secondo quel governo, è di diventare “molto più piccola”. Meglio ancora, di sparire del tutto costringendo oltre 2 milioni di persone verso l’Egitto.
Che non a caso rifiuta questa “soluzione”, dichiarando fin d’ora che questo farebbe de Il Cairo il prossimo soggetto contro cui Tel Aviv indirizzebbe l’accusa di “terrorismo”, ben sapendo che una popolazione eradicata dalla propria terra certo non lascerebbe “in pace” l’occupante, neanche il più spietato.
Inutile dilungarci sulla “democraticità” del governo di Kiev, in mano agli ultrà nazisti e responsabile della messa fuorilegge di ben dodici partiti d’opposizione. Ma comunque appoggiata militarmente e “angelicata” politicamente perché “‘sta solo cercando di liberare la sua terra dall’invasore”.
Esattamente la stessa cosa che stanno facendo da sempre i palestinesi, senza che gli Stati Uniti abbiano mai mostrato un’identica solerzia nei loro confronti...
Cose che Biden conosce – se la mente lo assiste ancora – assai meglio di noi. E che consiglierebbero quanto meno prudenza nell’accostare focolai di crisi esplosivi.
E invece “per quanto questi conflitti possano sembrare distanti” restano “vitali per la sicurezza nazionale dell’America”. Il tutto per giustificare la “richiesta di bilancio urgente” al Congresso per “finanziare le esigenze di sicurezza nazionale dell’America per sostenere i nostri partner critici, tra cui Israele e Ucraina”.
In soldoni, un finanziamento di 105 miliardi di dollari, di cui 60 miliardi per l’Ucraina (14 anche per Israele), gran parte dei quali andrebbero a rimpinguare le scorte di armi statunitensi fornite in precedenza, ma ormai agli sgoccioli.
Ma non pago dell’enormità della richiesta – il Congresso, oltretutto, è paralizzato dall’impossibilità di eleggere il nuovo speaker della Camera e in maggioranza contrario a ulteriori spese militari – “ha voluto esagerare”, infilando nello sconnesso discorso anche Taiwan, e dunque il possibile conflitto con la Cina (che, ricordiamo, ha fin qui stoccato 500 testate nucleari e nei prossimi anni raggiungerà il limite di 1.500 fissato dai trattati strategici).
Più modeste le richieste di finanziamenti per Taiwan (7 miliardi, genericamente destinati alla regione Indo-Pacifico), ma esplicita l’intenzione di incrementare la minaccia verso Pechino.
L’immagine dell’America che viene così consegnata al mondo intero è quella di una superpotenza dalla razionalità offuscata, ma determinata a sfidare tutti – anche contemporaneamente – confidando sul solo uso della forza.
Una scommessa decisamente stupida, anche se pericolosissima, perché proprio tutto il mondo ha potuto vedere in diretta la fuga della “potenza più forte di sempre” dal ginepraio afgano, davanti ad una “armata” di pastori armati alla bell’e meglio.
Una scommessa persa in partenza, verrebbe da concludere, visto che proprio Biden batte cassa per reintegrare riserve militari in via di esaurimento per via di un solo conflitto regionale: quello in Ucraina.
Non ce la fai a tenere in due situazioni del genere e vorresti essere credibile nel minacciare tutto il mondo?
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento