Dallo scorso 10 ottobre Arundhati Roy, la celebre scrittrice indiana vincitrice del Booker Prize, è nuovamente sotto processo per una vicenda che risale a più di dieci anni fa, quando Roy è stata accusata di sedizione, insieme al professore universitario Sheikh Showkat Hussain, per un discorso pubblico tenuto durante un seminario sul Kashmir.
Nel suo intervento, alquanto provocatorio secondo alcuni gruppi di estrema destra, Roy avrebbe incitato alla secessione del Kashmir dall’India, inasprendo le relazioni già tese tra India e Pakistan. Nel 2010, non appena il discorso è divenuto pubblico, i manifestanti nazionalisti della destra hindu hanno assediato la casa della scrittrice, che da allora riceve regolarmente minacce di morte da diversi gruppi estremisti.
Ora, dopo tredici anni di silenzio, il vicegovernatore di Delhi V. K. Saxena, affiliato al Bharatiya Janata Party (BJP) e in carica dal 2022, ha riaperto il caso contro la scrittrice. La quale ha commentato così: «Minacciarmi di azioni legali ha lo scopo di spaventare gli attivisti per i diritti civili e i giornalisti, e indurli a tacere. Ma penso che avrà l’effetto opposto. Il governo sa che ormai è troppo tardi».
Arundhati Roy è la prima scrittrice indiana non espatriata ad aver vinto il Booker Prize, nel 1997, con il romanzo Il Dio delle piccole cose. Enormemente riconosciuta e sostenuta all’estero, in India è diventata una figura controversa a causa delle sue opinioni e prese di posizione su questioni politicamente sensibili.
Negli ultimi anni, a parte i romanzi, Arundhati Roy ha pubblicato diversi saggi e articoli sulla povertà, evidenziando le contraddizioni e le responsabilità della classe politica indiana.
A favore dell’insurrezione naxalita, in passato la scrittrice ha messo anche in dubbio il coinvolgimento del Pakistan negli attacchi di Mumbai del 2008, facendo infuriare il governo. Di fatto la sua è una delle critiche di più alto profilo al governo Modi, che ora spera di metterla in difficoltà portandola in tribunale.
Quest’azione dal dubbio tempismo ha fatto ribellare quella parte dell’opinione pubblica che ha a cuore la condizione della libertà di pensiero e di stampa in India.
Negli stessi giorni anche il portale di informazione NewsClick è finito nel mirino del governo. Nella capitale Nuova Delhi la polizia ha fatto irruzione nelle case di circa cinquanta giornalisti legati al giornale online, che viene accusato di aver preso fondi da una lobby statunitense filo-cinese.
Il fondatore e redattore capo del portale, Prabir Purkayastha, e il responsabile delle risorse umane, Amit Chakraborty, sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo e sono incorsi nell’Unlawful Activity Prevention Act (Uapa), che consente di detenere i sospettati in carcere senza un’udienza in tribunale e/o senza fornire alcuna prova per giustificare la loro reclusione.
Dal 2014 il Bjp ha utilizzato l’Uapa in numerose occasioni per perseguitare gli oppositori. L’attacco a NewsClick e la ripresa del procedimento penale contro Arundhati Roy sembrano essere parte di un’ampia campagna di repressione e silenziamento della stampa indiana messa in atto dal BJP e dal premier Narendra Modi in vista delle elezioni del 2024.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento