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26/10/2023

Il bombardiere perde il senno, ma non il vizio

Nel grande caos di queste ultime settimane c’è comunque qualcosa che stride, di esagerato, così melenso da risultare alla fine ben poco credibile.

Lo sforzo mediatico di tutto l’Occidente nel presentare l’immagine di un Joe Biden “vecchio saggio”, moderato, rispettoso dei diritti umani, preoccupato della piega che vanno prendendo gli eventi a Gaza, cozza frontalmente con le notizie che invece arrivano giorno dopo giorno.

Hanno cominciato col refrain «non rifate i nostri errori» (mai specificati, peraltro), che avrebbe rivolto a Netanyahu mentre aveva già schierato 300.000 uomini intorno a Gaza.

Quasi nessuno, nel circuito mainstream, ha fatto caso che quella frase è stata pronunciata insieme all’”assoluzione” di Israele per i 500 assassinati nel bombardamento dell’ospedale battista Al Alhi.

Se c’era un errore da non ripetere, per un presidente Usa, era proprio quello: considerare di valore zero le vite dei civili ammazzati da un proprio “amico”.

Ma si sa come funziona l’informazione. Domani è un altro giorno e il giornale di ieri serve ormai “ad incartare il pesce” (diceva Luigi Pintor). “Il pubblico” bombardato di input ha a questo punto la memoria di un pesce rosso, e questo tranquillizza chi comanda e i suoi scribacchini.

Insomma, non basta certo quella frase a dimostrare che “Biden vecchio saggio” è un personaggio costruito sul tavolino dei capiredattori...

Poi però veniamo tutti informati che gli Usa hanno inviato al largo delle coste di Gaza ed Israele una vera e propria flotta da guerra, tra cui la portaerei Gerald Ford e la Mount Whitney, descritta come un “quartiere generale galleggiante in grado di dirigere da sola un conflitto”, abbreviando di molto i tempi operativi altrimenti dipendenti dal comando della Sesta Flotta a Bagnoli.

Un impegno eccezionale, bisogna riconoscere, specie di fronte alla “potenza militare” pressoché irrilevante del “nemico ufficiale”: Hamas.

Basta qui? No, certo. Segue l’annuncio che Biden ha inviato a Tel Aviv anche il generale James Glynn, il comandante dei Marines che ha guidato il massacro di Fallujah e quello di Mossul in Iraq, in condizioni operative piuttosto simili a quelle di Gaza (tunnel, rovine, ambiente cittadino, ecc.), con l’incarico di “consigliare” i vertici di Tsahal nell’invasione di terra. Neanche avesse a che fare con degli scolaretti inesperti...

Poi il Washington Post rivela che Israele ha rinviato di qualche giorno l’invasione di Gaza soltanto perché è in attesa di una robusta fornitura di sistemi di difesa aerea Iron Dome dalle riserve dell’Esercito statunitense.

Altre fonti suggeriscono che in realtà Tel Aviv sta attendendo anche bombe di profondità, in grado di distruggere il sistema dei tunnel gazawi, riducendo così di molto i rischi per la propria fanteria.

Di qualsiasi armi si tratti, comunque, è chiaro un fortissimo impegno diretto statunitense al fianco di Israele.

L’obiettivo dichiarato – sponsorizzato senza dubbi e rimorsi da quasi tutte le cancellerie occidentali, nonché da un sistema mediatico che Goebbels poteva solo sognare – è ufficialmente “distruggere Hamas”, motivato con le solite argomentazioni sul “terrorismo”, “come l’Isis”, ecc.

Nessuno che ponga la semplice domanda: tutta questa potenza militare, tutta questa coalizione da paura, soltanto per sconfiggere una semplice organizzazione che ha base in due territori ristretti (Cisgiordania e Gaza) da cui non si può fuggire?

La sproporzione è abissale. Incredibile.

Un rapido sguardo al resto degli scenari di crisi ci permette di notare che, nel frattempo, la guerra in Ucraina è scomparsa dai radar.

Il mondo arabo è in ebollizione, non certo a favore dell’Occidente, ed anche le petromonarchie sono costrette alla marcia indietro rispetto agli “accordi di Abramo”, mentre cresce il loro interesse per i Brics (l’Arabia Saudita è già stata ammessa...).

Nell’Africa subsahariana si allarga l’area che va realizzando una vera decolonizzazione, cacciando la Francia (e l’Unione Europea).

Così come in America Latina, in modo altalenante (l’Argentina che rischia di finire in braccio a Milei fa da contrappeso alla Colombia di Petro).

Alle frontiere della Cina, dopo aver “sfruculiato” in modo irresponsabile militarizzando Taiwan, l’imperialismo occidentale si interroga ormai sulle possibilità di un’escalation densa di incognite (e certo Pechino non “pesa” come Gaza...).

Inutile continuare con l’elenco. Appare chiaro che gli Usa – con il resto dell’area euro-atlantica al seguito – hanno bisogno di una “vittoria schiacciante” contro un nemico qualsiasi, per ristabilire la credibilità della propria “deterrenza” dopo la fuga dall’Afghanistan, ormai due anni fa.

Devono farlo in una condizione decisamente complicata. L’Ucraina, su cui avevano puntato molto forte – in soldi, armi, assistenza tecnologica, ecc. – non potrà mai “vincere”. Ossia non può riuscire a indebolire Putin e il suo sistema di potere, aprendo la possibilità (sognata, più che immaginata) di una frammentazione della Russia (e delle sue ricchezze).

La stessa Israele, in questo momento apparentemente compattissima, sta già preparando una successione traumatica – e molto incerta – a Netanyahu e all’intero vertice militare (esercito e servizi segreti), per evidente incapacità di capire quel che stava per accadere.

Portando oltretutto la responsabilità di aver, a suo tempo, favorito l’ascesa di Hamas per indebolire il potere contrattuale di Al Fatah e rendere impossibile la creazione dello Stato di Palestina.

Devono farlo, ma hanno anche il problema di come farlo.

Il loro “braccio armato” – il governo Natanyahu – è un delirio di nazionalismo, integralismo (quello ebraico non è diverso da quello musulmano o cristiano), fascismo, populismo. È accecato dall’impotenza politica (tutte le “soluzioni” che aveva proposto alla propria popolazione si sono dimostrate impraticabili e controproducenti), quindi bisognoso di “vendetta esemplare” per mostrarsi tuttora “potente”.

Una strage di civili a Gaza di proporzioni bibliche, come quelle che inevitabilmente seguirebbero un’invasione di terra su un territorio geograficamente limitato e sovrappopolato, dove è impossibile distinguere i civili dai combattenti, sarebbe una ferita irrimediabile per gli equilibri futuri del mondo. Non solo del Medio Oriente.

La sortita di Erdogan – che ha rifiutato di considerare “terrorista” Hamas, qualificandola invece come “movimento di liberazione” – va vista come l’emergere in superficie di una posizione che è di tutto il mondo islamico. Ovvero di circa 2 miliardi di persone, il 25% del pianeta, con Stati rilevanti per risorse petrolifere e finanziarie.

È una sortita “preventiva”, probabilmente. Mirante ad ottenere quel che Biden ha riconosciuto di non aver mai chiesto a Netanyahu: fermarsi qui, non andare oltre.

Ma se gli Stati Uniti non hanno mai dato quel “consiglio”, fornendo al contrario un’assistenza militare di altissimo livello, allora hanno dato un sostanziale “via libera” al massacro dei palestinesi.

Non solo a Gaza, perché anche in Cisgiordania sarà impossibile fermare sia le proteste che l’aggressività dei coloni israeliani illegalmente insediati – secondo il diritto internazionale e i trattati – in quello che doveva essere lo Stato di Palestina.

Il che apre scenari “imprevedibili” solo nelle dimensioni, non certo nelle direzioni...

Non c’è nessun “vecchio saggio”, al vertice dell’imperialismo. Solo un “vecchio bombardiere” al servizio di un sistema senza più prospettive.

Il massimo del pericolo. Sul serio.

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