Siamo stati tutti risvegliati da un sonno tossico.
Perché solo in un universo drogato si può pensare che un intero popolo, come quello palestinese, massacrato per quasi 80 anni, ingannato con una lunga serie di “accordi di pace” mai tradotti in fatti, abbandonato e tradito spesso dai “fratelli”, rinchiuso in bantustan circondati da muri e filo spinato, usato come poligono di tiro per cecchini in addestramento o come laboratorio sperimentale per nuove armi super-tecnologiche, affamato scientificamente... possa accettare per sempre questa condizione inumana.
Tra le molte similitudini storiche fatte in queste ore (“11 settembre”, “guerra del kippur”, ecc.) stupisce che non sia venuta in mente a nessuno la battaglia disperata che più si avvicina al “Diluvio di Al Aqsa” per quanto riguarda la logica degli assediati e quella degli assedianti: l’insurrezione del ghetto di Varsavia, aprile-maggio del 1943.
A Gaza come a Varsavia chi decide di battersi a viso aperto contro un nemico militarmente strapotente sapeva benissimo di non poter mirare a nessuna “vittoria” immediata, e che avrebbe pagato con un massacro la propria ribellione.
Ma a Gaza come a Varsavia la scelta da compiere era limitata a due sole alternative, altrettanto letali. Accettare di essere sterminati un po’ alla volta, tra un bombardamento e la mancanza di cibo, acqua, futuro, oppure gettare nella battaglia tutto di se stessi e lasciare un monito – e un esempio – al resto del mondo.
Tra accettare di scomparire quasi in silenzio o far pagare un prezzo all’assediante si è scelta la seconda opzione.
E l’assediante – a Gaza come a Varsavia – reagisce nello stesso identico modo e con la stessa logica.
Di fronte a quella che ormai si configura come una insurrezione del popolo palestinese, le parole con cui il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha motivato l’ordine di assedio completo sono un “manifesto della razza” in versione rovesciata: “Stiamo combattendo animali umani e ci comporteremo di conseguenza”. Promette insomma di usare Gaza come un mattatoio...
Considerati Untermenschen dai nazisti e dai razzisti, i massimi governanti dello “stato ebraico” – in cosa differirebbe da uno “stato islamico” o “cristiano”? – applicano ora lo stesso schema nei confronti dei palestinesi (ma per l’estrema destra israeliana questa “qualifica” andrebbe estesa a tutti “gli arabi”).
Ed esattamente come il Terzo Reich preparano la soluzione finale, senza più tante distinzioni tra combattenti (“terroristi”) e popolazione civile.
Questo orrore appare “accettabile” solo a chi è convinto di avere Gott mit uns, al di sopra e fuori dall’umanità “normale”. A chi, come l’imperialismo occidentale, si era convinto di poter tranquillamente disporre del mondo secondo i propri esclusivi interessi, disponendo golpe, invasioni, bombardamenti, “sanzioni”, embargo, uccisioni mirate, liste di proscrizione, ecc.
E di fronte ad una realtà che vede il resto del mondo non accettare più tale supremazia, l’Occidente si scopre più vulnerabile di quanto aveva ritenuto fino ad oggi. L’isteria che ne deriva comincia a riprodurre grumi reazionari e fascisti anche all’interno dei propri paesi.
Il “suprematismo” – slittato dal colore della pelle alla residenza nel “giardino” del benessere – ha partorito i suoi frutti. Il mondo “fuori da quel recinto”, che un alto dirigente europeo ha definito come un giungla, ormai rifiuta in blocco questa pretesa coloniale.
Non è un fronte omogeneo, non condivide gli stessi sistemi politici, economici, culturali, religiosi. Presenta soggetti potenti, che agiscono in modo razionale. Ed altri molto più “istintivi”, “reattivi” più che progettuali, disperati ma non rassegnati.
In comune hanno il rifiuto del dominio imperiale e il bisogno di relazioni internazionali tra pari. Un multilateralismo privo di imperatori.
Il sogno tossico del dominio incontrastato dei “giardinieri” è finito. Il terremoto delle rivolte nel resto del mondo è solo all’inizio.
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