Tra i candidati a presidente in Iran ci sarà anche l’ex presidente Mahmud Ahmadinejad, in carica dal 2005 al 2013, che ha annunciato la sua candidatura alla guida del Paese nelle elezioni che si svolgeranno il prossimo 28 giugno. Il voto è stato indetto dopo la morte di Ebrahim Raisi in un incidente con l’elicottero il 19 maggio scorso.
Ahmadinejad negli ultimi anni della sua presidenza si era messo in contrasto con l’ayatollah Khamenei, tanto che gli era stato poi impedito di partecipare alle elezioni del 2017 e del 2021.
Nel 2018 Khamenei lo ha accusato di «comportarsi come fanno i nemici del Paese». Quindi, ora bisognerà vedere se la sua candidatura passerà il vaglio del Consiglio dei Guardiani, l’organismo di controllo che ha il compito di selezionare i candidati definitivi alle elezioni.
Nonostante Ahmadinejad goda di grande sostegno fra le classi popolari (era noto come il presidente che abitava nelle case popolari, ndr), Khamenei ritiene che le sue posizioni siano troppo divisive e difficilmente controllabili, e potrebbero generare una spaccatura interna tra la parte più conservatrice e quella più progressista. Occorrerà attendere l’11 giugno, giorno in cui il Consiglio presenterà la lista finale dei potenziali successori di Raisi.
Ahamadinejad era succeduto al presidente Mohammad Khatami, ritenuto un “riformista”, ed è stato a capo del Paese per due mandati consecutivi, caratterizzati da posizioni molto dure nei confronti degli Stati Uniti rafforzate dalle sanzioni occidentali contro l’Iran, un isolamento relativamente alleviato con l’avvento di Hassan Rouhani nel 2013.
Le elezioni presidenziali in Iran dovranno definire nuovi rapporti di forza interni al campo politico dominante, dove da tempo esistono contrasti crescenti e nei quali lo scomparso Raisi era riuscito ad essere un punto di equilibrio. Il paese continua a convivere, anche conflittualmente, con la contraddizione di essere un paese moderno in presenza di leggi civili e religiose arretrate. Un contrasto esploso spesso nelle grandi città, meno nelle campagne, animando un dualismo sociale e politico che si rovescia anche sul piano degli esiti elettorali.
Tra gli altri candidati a queste presidenziali ci sono anche l’ex comandante dei Pasdaran, Vahid Haghanian, l’attuale sindaco di Teheran, Alireza Zakani, l’ex governatore della Banca Centrale, Abdonnaser Hemmati, l’ex capo negoziatore sul nucleare, Saeed Jalili, l’ex speaker del Parlamento, Ali Larijani e una donna: Zohreh Elahian, 56 anni, nota però per le sue posizioni conservatrici.
Dal 2006 in poi, le sanzioni contro l’Iran sono cresciute, ufficialmente per contrastare il programma nucleare iraniano. C’è stato un leggero allentamento durante la presidenza Obama, ma dopo Trump le sanzioni sono state pesanti e hanno preso di mira le esportazioni di petrolio, le transazioni finanziarie, il trasporto marittimo e altri settori dell’economia iraniana.
Con le sanzioni, l’Occidente spera di indebolire economicamente il paese e minare l’autorità del governo iraniano, nella speranza di un cambio di regime o di una diminuzione dell’impegno del paese nella regione.
In ogni caso, queste sanzioni hanno un impatto considerevole sull’economia iraniana. Il valore della sua moneta, il rial, è sceso bruscamente, l’inflazione è alle stelle (oltre il 40%) e la disoccupazione giovanile supera il 20%.
L’Occidente ha anche cercato di mettere i paesi sunniti della regione contro l’Iran, ma dopo l’accordo tra Iran e Arabia Saudita, questa strategia di divisione e conquista è fallita. Ora che l’Iran ha aderito ai BRICS+ e ha buone relazioni con Russia e Cina, l’ostilità dell’Occidente verso l’Iran è più grande che mai.
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