A ridosso delle elezioni europee il governo Meloni si è giocato la carta di un doppio provvedimento (un decreto-legge e un disegno di legge) sulle liste di attesa nella sanità. Un tentativo di guadagnare qualche ultimo consenso sul terreno delle riforme sociali e dei servizi essenziali.
Ma ovviamente, per una maggioranza ‘sovranista’ ma di certo non ‘sovrana’, ligia ai dettami di Bruxelles, non ci sono soldi da spendere su queste voci di bilancio. E infatti, il decreto non prevede nessun ulteriore stanziamento.
Viene ora stabilito che le ASL che non sono in grado di garantire la prestazione nel pubblico entro i termini di legge indirizzeranno il fruitore verso l’intramoenia o il privato accreditato. Non si capisce però dove le regioni possano trovare i fondi per corrispondere i rimborsi per questa misura, se non tagliando in altri settori.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha fatto presente che ci sono ancora 500 milioni non spesi dalle regioni e stanziati nel 2022 e nel 2023. Ma oltre al fatto che sono fondi già stanziati nel Fondo Sanitario Nazionale, non riuscirebbero nemmeno a coprire l’ammontare delle previsioni di spesa, calcolato in circa 1,2 miliardi.
Proseguendo sul testo del decreto, si legge la possibilità di effetturare controlli e analisi anche la sera e nei giorni festivi, e ovviamente chi lavora in quei giorni e fasce orarie dovrà essere pagato di conseguenza. Ma l’attuazione della norma dovrà avvenire “senza maggiori oneri per la finanza pubblica”, dice di nuovo il governo.
Come se non bastasse, persino lo stanziamento previsto per la riduzione della tassazione degli straordinari è minore di quella che sembrava dovesse essere all’inizio: 250 milioni. Meloni e compagnia non hanno di certo intenzione di assumere e coprire il fabbisogno del sistema sanitario, ma non sanno nemmeno detassare per invogliare agli straordinari.
Queste non sono le uniche misure prese da Palazzo Chigi, ma sono sicuramente quelle più significativa e quelle più dibattute, per ridurre le lunghissime liste di attesa che sono diventate un vero e proprio ostacolo alla fruizione del diritto costituzionale alla tutela della salute: per fare un esempio, Federconsumatori ha rilevato un’attesa di 735 giorni per una ecodoppler cardiaca in Lombardia.
In pratica, l’unica certezza sul lato finanziario è in entrata, poiché il ticket dovrà essere pagato anche nel caso in cui non ci si presenti alla visita.
Ad avvantaggiarsi di tutta questa situazione è stato il privato, che sostanzialmente rimane garantito nei suoi profitti anche con questi interventi governativi. Il privato che invece si prevede andrà ad aumentare ulteriormente il proprio peso relativo.
L’ultimo rapporto dell’Area Studi di Mediobanca sugli operatori del settore che superano un fatturato di 100 milioni di euro (31 in Italia), già commentato dall’Unione Sindacale di Base, ha mostrato l’incremento dei loro ricavi, e ha segnalato il valore delle attività private vicino ai 70 miliardi. Si tratta del 40% di tutto il comparto.
Le strutture sanitarie pubbliche sono ormai in numero inferiore di quelle private: solo il 43% delle 29.354 registrate a fine 2022. Nel 2023 4,5 milioni di italiani (il 7,6% della popolazione) ha rinunciato a esami e visite mediche, proprio a causa delle liste di attesa.
Nel 2023 ci si attende si sia verificata una sostanziosa crescita aggregata del giro d’affari privato, intorno al 5,5%. Mediobanca calcola che l’ulteriore aumento della spesa sanitaria privata sia dovuto soprattutto al ricorso alle strutture per anziani (+14%).
Nonostante i lauti esborsi fatti di tasca propria, tra i Paesi Ocse l’Italia si trova al di sotto della media di spesa sanitaria complessiva sia a livello pro-capite (circa 600 dollari sotto i 4.986 del 2022) sia in rapporto al PIL (9% contro il 9,2%).
Insomma, nel Belpaese è pericoloso ammalarsi, perché spesso bisogna decidere se curarsi o se arrivare a fine mese. Non una parola da parte del governo che fa finta di voler tagliare le liste di attesa.
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